La deportazione borbonica dei prigionieri politici

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Categoria: Storia del Risorgimento
Creato Martedì, 01 Dicembre 2015 22:18
Ultima modifica il Martedì, 08 Dicembre 2015 14:59
Pubblicato Martedì, 01 Dicembre 2015 22:18
Scritto da Angelo Martino
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Ferdinando II di Borbone, allo scopo di attenuare la diffusa avversione internazionale dopo la revoca della Costituzione del 1848 e l’uccisione di Carlo Pisacane, concluse il 13 gennaio 1857 un trattato con la Repubblica Argentina, per istituire in quel territorio una colonia di prigionieri politici. Nelle varie carceri borboniche più dure vi erano patrioti del calibro di Carlo Poerio, Luigi Settembrini e Silvio Spaventa.

Tuttavia il trattato fu ratificato dal governo argentino e, in base ad esso, il re di Napoli avrebbe mandato a sue spese i condannati e detenuti politici, con l’impegno da parte del governo argentino di dare a ciascun prigioniero un pezzo di terra e gli strumenti necessari per la coltivazione.

Due agenti governativi del Regno, il Tournier e il Guppy, furono incaricati di persuadere i prigionieri politici a recarsi in Argentina. Nel penitenziario di Procida diversi detenuti  aderirono alla proposta, mentre in quello di Montesarchio, vi fu un netto rifiuto. Carlo Poerio, in rappresentanza di tutti, disse ai funzionari regi: “Perché tanta spesa e tanto incomodo per farci morire in America o per viaggio? Lasciateci morire in galera”.

Le vive proteste del Times di Londra fecero eco contro la deportazione inducendo la Repubblica argentina a non eseguire il trattato che era stato concluso.

Ma il fallimento del progetto non valse a far desistere Ferdinando II dal proposito di raggiungere, in altro modo, il suo scopo.

Nei primi giorni del gennaio del 1859 fu pubblicato un decreto, con il quale a sessantasei prigionieri politici- fra cui Settembrini, Poerio, Spaventa, Pironti, Agresti, Faucitano, Castromediano, De Simone, Barilla e Braico- veniva commutata la pena dell’ergastolo e dei ferri in esilio perpetuo.

Un successivo decreto stabiliva che la destinazione dei sessantasei prigionieri sarebbe stata New York. Il 17 gennaio 1859 i sessantasei prigionieri politici furono condotti a Pozzuoli e imbarcati sul vapore “Stromboli” a rimorchio della corvetta “Ettore Fieramosca”. La spedizione era comandata dal colonnello Brocchetti. Lo “Stromboli” giunse a Cadice. Durante  l’attesa di un vapore mercantile americano, che avrebbe trasportato  i prigionieri a New York, Carlo Poerio aveva scritto al presidente della Camera di Spagna, chiedendo l’intervento dei rappresentanti del popolo spagnolo per impedire tale vergognosa e illegale “ tratta di bianchi”.
Non si sa se le lettere di Poerio giunsero a destinazione. Certo è che il colonnello Brocchetti sentì il dovere di comunicare al re di Napoli che stavano sorgendo ostacoli nell’esecuzione del compito affidatogli.
Ferdinando II, incurante, inviò al Brocchetti l’ordine di “imbarcarli a qualunque costo”.

Per la traversata dell’Oceano venne noleggiato un vapore americano a vela, che avrebbe raggiunto gli Stati Uniti in due mesi.

Quel viaggio non ebbe mai luogo perché il figlio di Luigi Settembrini, Raffaele, riuscì a prendere posto come cameriere sull’imbarcazione, costringendo il capitano a dirottare verso l’Irlanda, dove i patrioti prigionieri approdarono il 6 marzo 1859 sbarcando a Queenstown.
I 66 deportati furono accolti con entusiasmo dagli irlandesi, prima del rientro come esuli in varie città italiane.

 

Bibliografia:

Saverio Cilibrizzi- Il pensiero, l’azione e il martirio della città di Napoli nel Risorgimento Italiano e nelle due guerre mondiali- vol II- Napoli pagg 380-383