Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Napoli 1799. Cap. III - Il re Ferdinando IV di Borbone (1)

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Ferdinando è il terzo figlio di Carlo di Borbone, re di Napoli, e di Maria Amalia di Sassonia. Sin dalla sua nascita, il 12 gennaio 1751, è considerato essere l’erede al trono di Napoli, perché il padre Carlo è destinato a rilevare la corona di Spagna in quanto il fratello Ferdinando VI –attuale sovrano- è cagionevole di salute. E così avviene.

Quando,infatti, Carlo di Borbone, col nome di Carlo III, diventa re di Spagna (1759), esclude dalla successione al trono del regno di Napoli il primogenito Filippo, perché incapace sin dalla nascita, mentre porta con sé il secondogenito Carlo, quale erede al trono di Spagna; non resta che Ferdinando, il terzogenito, ad essere successore designato.”Re Nasone salì al trono a sei anni,come Luigi XIV, e morì quasi altrettanto vecchio che lui.

Regnò dal 1759 al 1825:cioè 66 anni, compreso la minorità. Tutto quanto avvenne di grande in Europa nella seconda metà del secolo scorso e nel primo quarto del presente si svolse sotto i suoi occhi. Napoleone tutto intero passò nel suo regno. Lo vide nascere e grandeggiare, lo vide declinare e cadere. Si trovò mescolato a quel dramma gigantesco che sconvolse il mondo da Lisbona a Mosca, e da Parigi al Cairo”.

Così il giovane Borbone, a solo otto anni, diventa re di Napoli. Troppo piccolo d’età per assumersi le responsabilità che competono ad un sovrano! Allora è affidato ad un consiglio di reggenza – composto da Don Michele Reggio, Balì di Malta e Generale d’armata; Jacopo Milano, Principe di Ardore e Marchese di San Giorgio; Pietro Bologna, Principe di Camporeale; Giuseppe Pappacorda, Principe di Céntola; Bernardo Tanucci, Professore di Diritto; Domenico Cattaneo, Principe di san Nicandro; Domenico Di Sangro, Capitano generale dell’esercito; Lelio Carafa, Marchese d’Arienzo - che si occupa sia della sua educazione che del governo del paese. Nel consiglio di reggenza si impongono due personalità: quella di Domenico Cattaneo, principe di S.Nicandro, e quella del marchese Bernardo Tanucci.Il primo, che è anche precettore del giovane re, si interessa della sua istruzione e della sua educazione; il secondo, giurista toscano tra i più noti dell’epoca, già collaboratore di Carlo, si occupa più dei problemi politici.

Spesso i due uomini di governo entrano in rotta di collisione sugli aspetti politici e su quelli che riguardano l’educazione da impartire al giovanissimo sovrano. Tanucci, infatti, ha il senso dello Stato, ha una visione dinamica e realistica del governo, immagina un futuro in cui la Chiesa  ed il clero non abbiano una parte predominante nella vita civile e politica del paese.

Il Cattaneo, invece, è un nobile napoletano, conservatore e favorevole al mantenimento dei privilegi baronali ed ecclesiastici. Per di più non è dotato culturalmente e possiede scarse capacità politiche. E’ un ”ignorante, ipocrita, gretto, perfino vizioso”.

Benedetto Croce lo definisce prototipo del nobile plebeo in auge sino ai tempi dell’unità d’Italia: con favella e modi e gesti plebei, animale di genere affatto diverso rispetto a un uomo di pensiero e di lavoro, ma di specie assai affine a quella del suo cocchiere, e bravo cocchiere esso stesso: bonario, del resto, verso la plebe, ed amato come buon Signore. In una relazione dell’epoca, poi, il nunzio apostolico aggiunge:

"La politica del S. Nicandro era quella di incoraggiare il re a divertirsi e tenerlo lontano da quanti avrebbero voluto sviluppare la sua intelligenza. Gli permetteva di perdere tempo con i servitori e con i ragazzi illitterati dai quali il precettore non aveva nulla da temere. La moglie di S. Nicandro ricercava il favore di Ferdinando lasciando che la sua bella bambina di dieci anni giocasse con lui a tutte le ore, tanto che gli faceva compagnia all’Opera e veniva perfino a  fargli visita quando era a letto".

Così è educato il re di Napoli, che ha come compagno di giochi Gennaro Rivelli, figlio della sua balia, il menino (paggio di corte), che con lui divideva cibo e giochi!

E Ferdinando viene su spensierato, superficiale, scellerato ed ignorante.

Insidia continuamente serve e servitori, ama giocare al lotto, a carte. Ama bere il vino; ma la passione maggiore è per la caccia e per la pesca. Le sue riserve sono nei dintorni di Napoli ed a Portici. Il suo gioco preferito e travestirsi da pescatore e vendere il pesce che ha pescato, truffando sul prezzo ed accompagnando la sua frode con gesti e parole da trivio: “Lleru,lleru t’aggio arrubato, lleru lleru t’aggio arrubato e lu citrulo s’è fatto arrobbà!”

Ha, perciò, un linguaggio sboccato, erutta continuamente, è solito, quando è preso dalla spinta dei bisogni corporali, farsi accompagnare da qualche valletto o ciambellano per parlare degli avvenimenti del regno,”poi, senz’altre cerimonie, corse, i pantaloni calati e il vaso puzzolente in mano, dietro a due signori che si diedero alla fuga”. E’solito recitare “Io una sola poesia saccio, la diceva ‘no viecchio de Persano. Siente, siente: 

                                         

Quanto è bello lo cacare,

 meglio assaie de lo mangiare.

A  mangia’ se fa fracasso

Co’criate e ca’vaiasse;(col servitore e con la fantesca)

a cacare sulo sulo

te la vide tu e lo culo”.

       

A tavola il giovane re è godereccio, non ha rispetto per i commensali, che ama colpire con molliche di pane, getti di vino o avanzo di cibo. E chi si salva dai lanci non può certo sottrarsi dal successivo turpiloquio. Una delle cose che ama di più Ferdinando è quella di occupare il palchetto del Teatro San Carlo e, davanti ad una folla di lazzari plaudenti e felici, ingoiare piatti di maccheroni presi unicamente con le mani.

Re Ferdinando legge e scrive poco e male. Mentendo è solito attribuire la colpa della sua ignoranza al padre, Carlo,”che non legge mai niente, non sottoscrive il suo nome,e pertanto vuole che anche io non legga e che non mi sottoscriva”.

Conosce poco o niente la lingua italiana o altre lingue; le sue conversazioni avvengono normalmente in dialetto napoletano. Ed in vernacolo ha una buona parlantina, tanto che  il padre, quando il figlio ha da chiedergli qualcosa anche a nome dei fratelli e delle sorelle,  lo chiama “paglietta”, termine napoletano col quale si indicano gli avvocati.

Dal punto di vista fisico Ferdinando non è un Adone. E’alto, magro, un po’curvo e con braccia molto lunghe.

Il cognato Giuseppe d’Asburgo scrive che “si può dire che non puzza…sulla testa piccola vi è una selva di capelli color caffellatte, che egli non incipria mai; un naso che trae origini dalla fronte e che crescendo a poco a poco in linea retta senza diventare aquilino sembra entrargli in bocca”. Non a caso è chiamato “Re Nasone”.

E non a caso il Re si compiace di questo irriverente epiteto; salvo, poi, a ripensarci ed a vietarne che si propaghi, minacciando di mandare in carcere i contravventori. E il bando offre la possibilità ai lazzari di irriderlo cantando:

 

Mò se ghiettato lu banno (bando)

Ca nun se po’ dì nasillo di mamma,

Ma nun ‘mporta ca vaco in presone(prigione)

Voglio gridà –Viva nasone!

 

 

 

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