1799. Michele Marino e la Repubblica del popolo napoletano
Benedetto Croce, ricordando il Marino nel suo studio sui lazzari, ne riportava le famose parole sull’uguaglianza: “Io sono lazzaro e colonnello. I signori erano colonnelli nel ventre della madre; io lo sono per l’uguaglianza; allora si nasceva alla grandezza, oggi vi si arriva”. Michele Marino era pervenuto a siffatta consapevolezza in maniera graduale, ma poi con determinazione sentì di aver sposato la giusta causa, soprattutto dopo che San Gennaro, facendo il suo miracolo durante quelle giornale repubblicane, gli aveva dissipato ogni possibile dubbio. Da quel momento il vinaio iniziò la sua opera di proselitismo tra i lazzari, spiegando in lingua napoletana, quelli che erano i principi cardine di un assetto costituzionale dal compiuto impianto democratico e repubblicano. Certo, neanche per Marino fu facile convincere i lazzari dell’assurdità dei privilegi, di elevarne l’atavica rassegnazione, “predicando” come all’uguaglianza si associasse la forza crescente dell’ideale di libertà. Anche Michele Marino, come scrisse Indro Montanelli, fu tra quegli uomini che ebbero il solo torto di essere nati in anticipo sui tempi, ma che con il loro sacrificio contribuirono non poco a farli maturare. Pur non avendo potuto conoscere il messaggio comunicativo della grande triade del pensiero illuminato napoletano (Pietro Giannone, Antonio Genovesi, Gaetano Filangieri), a modo suo Marino lo aveva fatto proprio in termini essenziali, sforzandosi di renderne partecipe la gente a lui più vicina. Il vinaio repubblicano, che nel 1799 aveva 46 anni, fu citato anche dal Generale Antoine Girardon nel testo in lingua francese ” Le patriotisme et le courage” in relazione all’evento che aveva determinato la sua adesione agli ideali della Repubblica: lo scioglimento del sangue di San Gennaro, il Santo a sua volta accusato di giacobinismo, e spodestato da Sant’Antonio con il ritorno dei sandesiti borbonici. Si può, quindi, facilmente comprendere lo stato d’animo del Marino nei momenti in cui la controrivoluzione si apprestava a stroncare nel sangue il sogno repubblicano, avanzando con l’immagine di Sant’Antonio sulle bandiere, affiancate da quelle con la bianca mezzaluna bianca dei turchi e quelle bianche con l’aquila nera dello zar. Da questo momento del Marino ci restano solo notizie relative alla sua condanna a morte, dopo la sconfitta della Repubblica, ma sono le più rilevanti ed imparziali, considerata la fonte. Lo scrivano Minutolo in data 29 agosto 1799, nel compilare il Registro della Congregazione dei Bianchi della Giustizia, i confratelli a cui era affidato il compito di assistere i condannati prima della esecuzione, fornì notizie dettagliate riguardo alle sue ultime ore di vita. La documentazione è stata reperita e riprodotta in anastatica dalla storica Antonella Orefice nel volume ‘La Penna e la Spada”, nel quale è stato riportato anche il profilo storico che ne diede Mariano D’Ayala: “Michele Marino fu più conosciuto come il “Pazzo”, ed era tutt’altro che pazzo: pazzi come sono tenuti tutti coloro che amano la patria e fanno il dovere per sentimento e non per sé. Non è giusto né utile che soltanto gli uomini grandi o di qualche levatura abbiano privilegio della storia. Però che oltre ad essere questa una lacuna e forse un errore, vien così malamente giudicata la nazione delle idee soltanto degli uomini ragguardevoli, da loro sentimenti, da’ loro costumi e dalla loro vita. Moltissimo aiuto recò certamente alla repubblica Michele Marino; adoperandosi dì e notte in mezzo al popolo; e notiamo anche una missione di far proseliti al libero reggimento in varie città. Fu tra i capitolati di Castel Nuovo. Fu denunciato da un soldato ed il 29 di agosto usciva dal castello del Carmine insieme con Nicola Fiani, Nicola Fasulo, Gaetano De Marco, e con l’altro popolano Antonio Avella. Ed egli il primo salì animoso la scala del patibolo”.
Bibliografia Angiolo Gracci- La rivoluzione negata- La città del sole- 1999
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