Il Settecento riformatore e la Rivoluzione Napoletana del 1799
La formazione di una cultura politica nel Settecento riformatore italiano precede la rivoluzione francese del 1789. Come scrive egregiamente lo storico Franco Venturi, una delle matrici fondamentali delle repubbliche italiane del 1799, in particolar modo della Repubblica Napoletana, non è il giacobinismo, a cui impropriamente o erratamente si fa riferimento, ma un repubblicanesimo che viene da lontano e ha radici ben solide nell’illuminismo italiano. Mentre il repubblicanesimo classico- aggiunge Venturi- accomuna gli illuministi italiani e quelli francesi, la peculiarità della storia italiana va individuata nel fatto che il repubblicanesimo delle città medievali presente in Italia è assente nella tradizione francese. In particolare il Mezzogiorno d’Italia diventava, grazie soprattutto a Antonio Genovesi, Pietro Giannone, Gaetano Filangieri il laboratorio di una selezione della classe dirigente che avrebbe portato all’esperienza della Repubblica Napoletana, ove si sarebbero incontrate le varie anime, religiose e laiche, del Settecento riformatore. Tali persone provenivano da ceti sociali diversi, da diversi ambienti dell’apparato statale e delle istituzioni religiose, accomunate soprattutto dal fattore generazionale, con una presenza consistente di ecclesiastici, legati alla tradizione dell’anti-curialismo e del giansenismo, di giovanissimi e giovani nobili che avevano fatta propria la cultura illuministica e massonica non solo francese ma prettamente napoletana, ossia di quelli che lo studioso Ferrone chiama i Profeti dell’illuminismo della scuola filosofica napoletana. Oltre a Genovesi, Giannone, Filangieri, annoveriamo, tra i più conosciuti, Gian Battista Vico, Mattia Doria, Ferdinando Galiani, Domenico e Francesco Antonio Grimaldi, e ovviamente Mario Pagano, che prima di salire sul patibolo di Piazza Mercato, era stato non solo il “maitre a penser” della cultura filosofica e politica napoletana, ma colui che aveva dato la sua impronta fondamentale alle idealità della democrazia repubblicana nella prassi politica. Questi grandi uomini ricercarono anche un interlocutore nella monarchia borbonica, ma era il ministro Bernardo Tanucci il vero punto di riferimento in presenza di re ignoranti che non avevano la minima disponibilità e capacità di comprensione delle riforme che in altre parti d’Europa trovavano, invece, monarchi sensibili al pensiero dell’illuminismo napoletano, a quella scuola di pensiero che diventerà il punto di riferimento per gli stessi rivoluzionari e repubblicani nordamericani di fine Settecento Fu Gaetano Filangieri a considerare non praticabile un’interlocuzione con una monarchia borbonica, intestardita a rinchiudersi nell’ignoranza propria e di coloro che considerava propri sudditi, mentre era il momento storico in cui si aspirava a diventare cittadini e non più sudditi. Si trattava - citando lo stesso Filangieri - di percepire la “patria come istituzione politica, comunità repubblicana di uomini liberi, soggetti alle sole leggi che essi si sono date”. Gaetano Filangieri avrebbe trovato un interlocutore ideale in Benjamin Franklin, l’uomo che scrisse la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, il padre costituente degli Stati Uniti d’America, il quale si ispirò a lui per il nuovo “repubblicanesimo dei moderni” Tale repubblicanesimo dei moderni, in cui possiamo ravvisare le radici illuministiche della cultura democratica e repubblicana italiana risulta più pregnante - secondo Vincenzo Ferrone - in relazione alla formazione politica dei rivoluzionari repubblicani napoletani, rispetto all’apporto del repubblicanesimo antico e delle istituzioni di ascendenza repubblicana medievali. E’ pur vero che l’uomo di punta del rivoluzione napoletana del 1799, Mario Pagano, studiò con attenzione le istituzioni repubblicane classiche, ma la formazione ideologia dei democratici repubblicani del 1799 sarebbe stata influenzata soprattutto dal repubblicanesimo dei moderni in un’ottica di sviluppo del pensiero libertario italiano legato alla tradizione dei diritti universali di libertà e uguaglianza, che avrà il suo apogeo con la grande figura di Gaetano Filangieri. Lo storico Ferrone ha quindi il merito di aver messo nella giusta luce, con il suo studio La società giusta ed equa, interamente dedicato all’opera di Gaetano Filangieri,”, l’apporto determinante del grande filosofo napoletano allo sviluppo compiuto del concetto di democrazia rappresentativa. Lo storico Ferrone ha quindi il merito di aver messo nella giusta luce, con il suo studio La società giusta ed equa, interamente dedicato all’opera di Gaetano Filangieri,”, l’apporto determinante del grande filosofo napoletano allo sviluppo compiuto del concetto di democrazia rappresentativa, che Francesco Mario avrebbe recepito nel suo progetto di costituzione della Repubblica Napoletana del 1799. In particolare è da citare, a tal riguardo, lo studio di Quentin Skinner che ha dedicato una quarantennale ricerca per la comprensione compiuta del pensiero del ” Segretario fiorentino”. Come scrive Antonio Andria, i repubblicani napoletani del 1799 vollero rivendicare anche nella simbologia la fierezza di una rivoluzione che attingeva a un rilevante apporto di pensiero italiano, segnatamente napoletano. Nella terza tipologia della simbologia rivoluzionaria napoletana del 1799- scrive Andria- su una carta del governo scritta da Ciaia, la Repubblica appare con la palma in rilevante evidenza, simbolo di pace per eccellenza, dato che i repubblicani napoletani, le menti letterarie in particolare, cercavano di ” ritagliare al proprio governo un’autonomia ed una tranquillità per creare la pax repubblicana”.
Bibliografia:
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