Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Giuseppe Garibaldi: un’eredità storica condivisa e trasversale

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Il mito di Giuseppe Garibaldi ha resistito a ogni cambiamento di contesto politico e storiografico, e la dimostrazione della sua intramontabile popolarità si relaziona al fatto che in tempi diversi e momenti storici opposti , della sua figura si sono appropriati, per veicolare la forza delle idealità, tutti i movimenti politici postunitari, dai socialisti della fine dell’ottocento ai nazionalisti interventisti del primo Novecento, dal Fascismo che ne fece il profeta del mito di Roma e della grandezza dell’Italia agli antifascisti comunisti e socialisti del fronte popolare del 1948.

Da più di un decennio una sorta di revisionismo, che ha poco di riferimenti documentali, ma che si alimenta tramite la rete e la diffusione metodica di testi di giornalisti che s’improvvisano storici, cerca di puntare proprio sulla denigrazione della figura di Giuseppe Garibaldi in un momento storico di crisi di valori, di idealità e di decadenza.

Alcuni lo fanno senza pudore in quanto consapevoli che il buttar fango su Garibaldi sia diventato un lucroso business, in tempi in cui il materialismo consumistico fine a se stesso si è ormai imposto.

L’ex presidente della Repubblica,  Giorgio Napolitano ha rimarcato più volte che, in relazione alle grossolane denigrazioni messe in atto sulla " straordinaria figura di Giuseppe Garibaldi, non vale nemmeno la pena di commentare”.

Invece noi riteniamo che sia più che necessario e doveroso rilanciare in questi momenti di decadenza dei valori ideali e morali la figura adamantina di Giuseppe Garibaldi a cui è stato riconosciuto da tutte le forze politiche e sociali, nei vari momenti della nostra storia postunitaria, l’incarnazione dei valori dell’amor patrio, della libertà, della giustizia, dell’uguaglianza.

E’ notorio che moderati, monarchici , repubblicani, interventisti e anti- interventisti, fascisti e antifascisti, ragazzi di Salò e partigiani, tutti hanno considerato Giuseppe Garibaldi una propria icona, tirandolo per la camicia, riconoscendo in lui l’umile, onesto, generoso e combattente italiano vero.

E’ altresì noto e inconfutabile che, non ancora conclusa l’Unità, tutti, destra e sinistra storica,  si appropriarono della sua figura, contendendosi scritti, ricorrenze, celebrazioni.

Dopo la morte dell’Eroe dei Due Mondi, nei vari momenti storici, compreso il periodo fascista e quello della Resistenza, la figura di Giuseppe Garibaldi costituì il riferimento ideale per tutti .

Da una parte si rivendicava l’aspetto democratico, repubblicano e socialista in opposizione alla parte moderata, conservatrice e monarchica, ma gli stessi moderati monarchici lo esaltavano come paladino della Nazione in opposizione all’internazionalismo marxista.

Dopo l’età liberale dei governi della destra e della sinistra storica, anche il Fascismo esaltò un Garibaldi “in camicia nera” quale campione dell’Unità, paladino del bene supremo della patria , uomo di pensiero ed azione ideale e morale, come descritto nel volume del 1932 “Garibaldi. Biografia ed aneddoti pei fanciulli d’Italia” e nel volume “Fascismo garibaldino” scritto dallo stesso nipote dell’eroe Ezio Garibaldi, editore anche del mensile “Camicia rossa. Rassegna mensile di pensiero e azione”.

Nel decennale della Marcia su Roma furono organizzate ogni sorta di celebrazioni dell’epopea dei Mille, da opuscoli patriottici a francobolli, cartoline postali, medaglie, volantini di carattere didascalico e celebrativo, anche se l’ evento più rilevante fu la trasposizione delle spoglie di Anita Garibaldi da Genova a Roma con una cerimonia curata nei minimi dettagli.

Nel 1944 parimenti la figura di Giuseppe Garibaldi venne esaltata sia dai fascisti che dagli antifascisti, come anche dagli Alleati che pubblicarono, tra l’altro, “Garibaldi fighter for a free Italy” in una rincorsa di tutte le forze politiche a legittimarsi come i veri eredi degli ideali di Garibaldi.

In particolare la Repubblica Sociale Italiana utilizzò ed esaltò in Garibaldi il leale suddito della Monarchia, ma soprattutto il fiero sostenitore della Repubblica nello stesso momento in cui le Brigate della Resistenza di ispirazione socialista e comunista prendevano il nome di “Brigate Garibaldi”.

Fu il primo momento storico in cui si esaltò, da parte decisamente opposta, il Garibaldi repubblicano sia dai sostenitori della Repubblica Sociale Italiana che dai repubblicani socialisti e comunisti.

Nello stesso tempo i due schieramenti contrapposti fecero riferimento all’anima sociale di Garibaldi quale difensore dei diseredati e degli umili.

Il richiamo a Garibaldi quale figura simbolica della libertà, della rinascita, della riscossa, della repubblica fu fatto proprio, quindi, sia da coloro che combatterono per la Repubblica Sociale Italiana che dalle Brigate Garibaldi della Resistenza.

Nel dopoguerra, come è noto, comunisti e socialisti scelsero l’emblema di Giuseppe Garibaldi nel presentarsi alle elezioni del 18 aprile 1948 come Fronte Popolare: la figura di Garibaldi è incastonata in una stella.

In questo caso lo schieramento opposto democristiano non denigrò per niente la figura di Garibaldi, presentando l’immagine di Garibaldi rovesciata in cui appariva la figura di Stalin, come è stato scorrettamente scritto, ma si voleva semplicemente veicolare il seguente messaggio: fate attenzione, si servono della figura di Garibaldi , ma in realtà il loro “capo” è Stalin.

Il testo veicolato dalla propaganda della democrazia cristiana, in quell’anno duro di battaglia politica, fu  quindi, il seguente: Il Fronte Democratico Popolare ha sbagliato a usare quale simbolo Giuseppe Garibaldi in quanto patrimonio comune di tutti gli italiani. E’ più che eloquente, al riguardo, un manifesto della Democrazia Cristiana in cui compare Giuseppe Garibaldi che indica: Non votate per me! Non ho mai aderito al Fronte Popolare Democratico.”

La figura di Giuseppe Garibaldi era amata, esaltata dai democristiani in quel 1948 e si voleva solo rimarcare la scorrettezza di una parte politica, quella comunista e socialista, di aver utilizzato, l’emblema di Giuseppe Garibaldi, che invece, apparteneva al comune sentire politico e ideale.

Farlo considerare un’icona della sinistra unita in funzione antidemocristiana sembrava scorretto e strumentale in quanto Garibaldi era il rappresentante comune dei valori della libertà, dell’uguaglianza, della giustizia.

Nel 1960, con i Socialisti non più legati ai Comunisti, il Partito Socialista Italiano utilizzò la figura di Garibaldi in cui si evidenziava il Socialismo come “continuatore del moto popolare del Risorgimento” .

Negli anni successivi memoria comune, onore e riconoscenza imperitura saranno tributati a Garibaldi, i cui momenti più esaltanti saranno l’occasione del centenario della morte nel 1982 e quella del bicentenario della nascita del 2007 che offrirono particolari occasioni di rinnovato riconoscimento per il determinante apporto dell’Eroe dei Due Mondi al glorioso processo storico del Risorgimento.

Dunque tutti, nei vari momenti storici, si sono riconosciuti in quelle parole che l’eroe scrisse nella prefazione alle sue Memorie: “ Coscienza di aver cercato il bene sempre per me e i miei simili… Odiatore della tirannide e della menzogna, col profondo convincimento essere con esse l’origine principale dei mali e della corruzione del genere umano.

Repubblicano, quindi, essendo questo il sistema della gente onesta, sistema normale, voluto dai più… Tollerante e non esclusivista, non capace d’imporre per forza il mio repubblicanismo…”. Tali sue parole sono la risposta ideale a molti suoi denigratori in quanto Garibaldi, dopo il triste fallimento della spedizione di Carlo Pisacane, come altri, si avvicinò alla convinzione che fosse necessario un compromesso, pur sofferto e che avrà momenti di duri scontri, con la Monarchia per l’indipendenza nazionale.

Dopo tanti anni di sconfitte dei tanti moti rivoluzionari risorgimentali italiani, con il sacrificio di tanti giovani, vi fu per Garibaldi, (che qualcuno avrebbe, forse, voluto che finisse come Carlo Pisacane), la consapevolezza della distanza tra realtà e idealità.

Garibaldi non aveva difficoltà ad asserire - e lo avrebbe fatto in seguito anche in seguito all’Unità con l’azione - che era un’altra l’Italia quella sognata dai patrioti repubblicani che con lui avevano combattuto tante battaglie.

Pertanto le parole delle sue Memorie costituiscono altresì un’ideale risposta a Friedrich Engels il quale aveva invitato Giuseppe Garibaldi a liberare non solo l'Italia meridionale, ma attaccare simultaneamente lo Stato Pontificio per dare un compiuto aspetto rivoluzionario all'unità ed indipendenza italiana.

Tuttavia Friedrich Engels, dalle colonne del New York Daily Tribune del 21 settembre 1860, attribuiva al movimento rivoluzionario italiano, chances decisamente maggiori di quante in realtà potesse avere, anche se era ben presente un rilevante slancio ideale.

Engels aveva idealizzato troppo le condizioni della realtà effettuale presenti in Italia, ove allora non era possibile un’avanzata su Roma, protetta da Napoleone III.

Nel prosieguo degli anni Giuseppe Garibaldi avrebbe riflettuto su tutto quello che aveva fatto e poteva fare meglio per l’Italia, ma, come scrive lo storico Alfonso Scirocco, forse l’immagine che gli sarà rimasta impressa fu l’omaggio di quasi tutti i vescovi siciliani, in particolar modo quella del vescovo di Monreale e di quello di Palermo, mentre partecipavano "simbolicamente alla demolizione del forte di Castellammare, emblema della tirannide".

 

Bibliografia:

Giorgio Napolitano, Una e indivisibile, Rizzoli, 2011

Elena Pala, Garibaldi in camicia nera, Mursia- 2011

Friedrich Engels, New York Daily Tribune, 21 settembre 1860, in Karl Marx,  Friedrick Engels, Sul Risorgimento Italiano, Manifestolibri, 2011

Alfonso Scirocco, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Laterza & figli, 2001

Gilles Pécout,  Il lungo Risorgimento, Bruno Mondadori Editori, 2007

Lucio Villari, Bella e perduta, Laterza 2009

 

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