La religione secondo Rousseau

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Cresciuto calvinista, a sedici anni, Jean-Jacques Rousseau nel 1728 passò al cattolicesimo, per poi abiurare nel 1754 e far ritorno al calvinismo.

Nel suo Contratto sociale condusse una vigorosa campagna per la separazione tra chiesa e Stato. Rousseau avversò le autorità della chiesa e la loro rivendicazione del diritto esclusivo di rappresentanza del popolo.

Era convinto che ogni persona può e deve trovare la fede nel proprio cuore, lasciando agire ciò che si trova nella sua stessa natura.  Rousseau adorava Dio nella natura e la considerava la meravigliosa creazione di Dio - un Dio buono, intelligente e potente.

“Tutto ciò che viene dalle mani del Creatore è buono; tutto degenera nelle mani degli esseri umani”, scrisse nel 1762 nella sua opera Emilio o dell'educazione. Secondo la sua opinione non è possibile penetrare l'essenza di Dio.

Risale a lui la frase secondo cui poteva sentire Dio “in me e sopra di me, ma non posso comprendere il mistero della sua essenza”. Tuttavia era certo che Dio è perfetto e giusto: di conseguenza anche la natura era per lui intrinsecamente buona.

Otto Schäfer, teologo ed etico presso la Federazione delle chiese evangeliche svizzere, individua quattro aspetti della tradizione riformata che emergono nell'opera del filosofo ginevrino: prima di tutto la sua comprensione della legge e del contratto sociale così come il suo sentimento religioso per l'armonia della creazione.

Oltre a ciò c'è la critica della civilizzazione e delle convenzioni sociali e, come quarto aspetto, la sua osservazione del proprio stato psichico e spirituale. Un merito di Rousseau, secondo Schäfer, consiste nell’aver sottolineato la sacralità della natura, la quale nel suo ordine e nella sua bellezza celebra la saggezza e la bontà di Dio.

Nel suo rispetto per la natura, Rousseau era in accordo con il riformatore Giovanni Calvino, il quale vedeva nella creazione il “teatro della magnificenza di Dio”. Non è forse un caso il fatto che i primi sostenitori delle idee ecologiste, in Svizzera, nel XIX secolo, furono in prevalenza di confessione riformata. Jean-Jacques Rousseau sostenne che la fede non è in contraddizione con la ragione.

Nella sua opera Emilio il vicario di Savoia fa una professione di fede. In essa si argomenta che la fede in Dio può e deve essere basata sulla ragione. Rousseau allargava in questo modo la “religione naturale”, che può sussistere di fronte alla ragione, all'ambito politico.

Come “inventore” della religione civile, che deve seguire le convinzioni della ragione e non le direttive delle autorità religiose e i dogmi, pose le basi per l'instaurazione della sovranità popolare nella Repubblica.

Forse il maggiore conseguimento in ambito religioso filosofico di Rousseau risiede proprio in questo consolidamento della fede basato sulla ragione. Nonostante le sue veementi critiche all’istituzione ecclesiastica, Rousseau rimase legato alla chiesa riformata.

Nelle sue confessioni ne parla con molta riconoscenza e nei molti anni in cui visse a Parigi frequentò spesso i culti riformati. Leggeva la Bibbia e faceva continuamente riferimento ad essa. Tutto ciò fece di Rousseau anche un precursore della teologia liberale del XIX secolo, il cui scopo era di trattare la discussione sui contenuti della fede partendo da presupposti umanistici.

 

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