Gli uomini forti dei Borbone per reprimere migliaia di briganti in Calabria

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Categoria: Storia del Risorgimento
Creato Sabato, 24 Gennaio 2015 21:25
Ultima modifica il Sabato, 24 Gennaio 2015 21:29
Pubblicato Sabato, 24 Gennaio 2015 21:25
Scritto da Angelo Martino
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Se solo nel periodo 1847-1852 furono “ tolti di mezzo, morti o arrestati, un migliaio di briganti”- come scrive lo studioso e storico Enzo Ciconte, si può conseguentemente dedurre che fossero migliaia i briganti presenti in Calabria durante il Regime borbonico negli ultimi anni del regno nelle Due Sicilie.
In effetti, dopo il periodo rivoluzionario del 1848, il governo borbonico aveva deciso di affidare a vari “uomini forti” del Regno il compito di combattere il brigantaggio, soprattutto a militari.

Così nel 1849 fu il marchese Ferdinando Nunziante ad avere pieni poteri dal governo borbonico quale comandante della divisione territoriale delle tre Calabrie.

Fu proclamato lo stato d’assedio in Calabria Citra e Ultra seconda, mentre a Cosenza si insediava un consiglio di guerra con lo scopo di giudicare i briganti con rito sommario. Tale misure, con un eccezionale spiegamento di forze, porteranno inizialmente alla repressione di 107 briganti, tra uccisi e catturati e all’arresto di ben 180 parenti degli stessi briganti. L’arresto dei parenti dei briganti faceva parte delle misure eccezionali che il Marchese Ferdinando Nunziante chiese ed ottenne dal governo borbonico.

Inoltre il marchese Nunziante agiva con la convinzione che il brigantaggio non derivasse dalla “miseria, ma da indole prava e rapace, e prova ne sia che gli scorridori di campagna non sorgono dalla classe dei coltivatori, ma da quella dei guardiani e da gente vagabonda”.

Lo stato d’assedio durò cinque anni, dal 1847 al 1852, e portò all’eliminazione, tra morti ed arrestati, di ben un migliaio di briganti. Il Regno visse, a tal riguardo, una tregua fino a quando dovette combattere sempre in Calabria , nel 1856, le bande di Giuseppe Guzzo di Miglierina e di Pietro Scalise di Serrastretta.

Di tale repressione si occupò il generale Gaetano Afan de Rivera. La scelta del governo di affidare a de Rivera il compito di eliminare anche tali briganti era dettata anche dalla motivazione che il generale facesse parte di quella schiera di uomini forti del Regno, il quale pretendeva una legislazione speciale.

L’invio in Calabria di Afan de Rivera in “missione straordinaria”,  prevedeva la misura di sorveglianza sui possidenti “onde vedere se abbiano relazione con i malfattori” e in caso positivo riferire all’intendente Leonardo Morelli.

Tale decisione si motivava con la considerazione che “i malfattori non attaccano mai i grandi proprietari”, mentre i “loro attentati sono diretti contro quelli che posseggono piccole fortune”.

Da tempo circolava voce che i possidenti calabresi aiutavano i briganti e di ciò ne erano a conoscenza tutti.

Nel 1852 Orace Rilliet scriveva nella sua “Colonna mobile in Calabria” che “i proprietari sono ricattati e pagano ai briganti una somma, in cambio della quale essi si impegnano a non molestare i lavoratori nei campi e a rispettare i proprietari”.

La misura che venne prorogata fu quella dell’arresto dei parenti dei briganti, misura che si rivelò efficace.

Quindi, dal 1849 fino al fine del Regno, il governo borbonico mostrò, contrariamente a quanto aveva fatto in altro periodo storico, il suo pugno duro, e il 18 ottobre del 1859 il generale Afan de Rivera cedette il posto al brigadiere Emanuele Caracciolo di San Vito.

 




Bibliografia:

Enzo Ciconte- Banditi e briganti- Rivolta continua dal cinquecento all'ottocento- Rubettino- 2011