Il diario di Josè Borjés e connotati del brigantaggio di Carmine Crocco
A Roma esisteva nel 1861 un Comitato reazionario con a capo lo stesso Borbone Francesco II che era coadiuvato da consiglieri politici e militari ed avente il pieno sostegno del Regno Pontificio in base all’alleanza allora vigente tra Trono ed Altare. Sono noti coloro che provenivano dalla Spagna, dall’Austria, dalla Germania, dal Belgio: Lagrange, Tristany, De Rivière, De Trazégnies, Zimmermann. Vogliamo occuparci nel presente scritto di Josè Borjés, spagnolo, il quale ci fornisce diverse informazioni riguardo alla natura del brigantaggio delle bande di Carmine Crocco, definendoli “miserabili e scellerati dediti a furti ed eccidi ed altri fatti biasimevoli”. Borjés sbarcò nel 1861 sulle spiagge di Brancaleone con una trentina d’uomini, tutti spagnoli. Nel suo diario, redatto con puntualità, Borjés racconta i vari momenti prima di arrivare nel regno di Carmine Crocco, ossia nei boschi di Lagopesole. Dopo poco tempo Borjés si rese conto di che natura fosse la banda del Crocco. La loro prima incursione insieme avvenne a Trivigno. Uno sbalordito Borjés ebbe a scrivere nel suo diario: “Dopo un combattimento di oltre due ore, ci impadronimmo della città, ma debbo dirlo con rammarico, il disordine più completo regna tra i nostri, cominciando dai capi stessi. Furti, eccidi ed altri fatti biasimevoli furono la conseguenza di questo assalto. La mia autorità è nulla.” Josè Borjés era un uomo, un ufficiale, che combatteva per un ritorno al passato, portatore di un sentimento di restaurazione reazionaria dell’antico regime, ma non riteneva che avrebbe avuto quali compagni dei banditi “miserabili e scellerati”. Fu lo stesso Carmine Crocco che commentò a tal riguardo nella sua autobiografia , da cui emerge chiaramente che era a conoscenza che Josè Borges teneva un diario. Queste le testuali parole di Crocco: “Le stragi e le carneficine di Trivigno segnano una triste pagina della mia vita; Borjés non ingiustamente ne attribuì la colpa a me solo, egli però allora non comprese che se le stragi ed il saccheggio fossero state risparmiate, sarebbe mancato a lui in seguito tutto l’intero appoggio della mia banda”. Quindi Borjès ebbe subito la consapevolezza che aveva a che fare con dei banditi e, quando fu catturato, dopo aver abbandonato la banda di Crocco, ai militari italiani confessò: “Andavo a dire al re Francesco II che non vi hanno che dei miserabili e scellerati per difenderlo e che Crocco è un sacripante…” In effetti il 1861, dopo aver combattuto solo l’anno precedente a fianco delle truppe garibaldine nella famosa battaglia del Volturno, fu per la banda di Carmine Crocco l’anno in cui si commisero le atrocità più rilevanti, di cui lo stesso capobrigante, nell’interrogatorio dell’agosto 1872 nel carcere di Potenza, ritenne responsabile il carlista legittimista José Borges, il quale invece nel suo diario aveva esplicitamente attribuito a Crocco la responsabilità di tali atrocità”. Crocco aveva letto il diario di Borjés che accusava la sua banda esplicitamente di essere dei grassatori, briganti dediti per lo più ad omicidi, furti, rapine, utilizzando tali parole: “appena penetrati in paese cominciarono a scassinare porte per rubare tutto ciò che a loro capitava di meglio nelle case. Chi resisteva, chi rifiutava di consegnare il denaro od i gioielli, era scannato senza pietà.” La conoscenza dei crimini della banda dei briganti è possibile consultando la stessa autobiografia di Carmine Crocco. Dopo il sacco di Trivigno, la banda di Crocco giunse a Calciano ove, come ebbe a scrivere, “ si moltiplicarono gli atti brutali a persone e cose…” Crocco raccontò del suo imbattersi nella pubblica via in una donna barbaramente trucidata e, nonostante il villaggio di Calciano fosse povero “ciò non pertanto impongo qualche piccola taglia e raccolgo denari. Ricordiamo a tal proposito la reazione dei Borjés che rivela di sentirsi sgomento”. Scrisse Borjès nel suo diario: “si saccheggia tutto, tanto i realisti quanto i liberali in modo orribile; hanno anche assassinato una donna e persino, da quel che mi dicono, tre o quattro contadini”. Nel corso di tali spedizioni brigantesche nel mese di novembre, giunto ad Aliano, Crocco coltivava il sogno di godersi per tutta la vita quale duca in palazzo signorile ove aveva preso alloggio”. Aveva davvero accarezzato il sogno di godersi quella “piccola reggia” rivelando: Il conclusione riportiamo il commento di Ettore Cinnella, autore di una recente biografia sul brigante Crocco, confermando la verità storica: “Giova riportare le riflessioni del brigante sull’episodio, che sgorgano dal più profondo dell’animo, lasciando affiorare pulsioni e desideri, e sfatano la sciocca leggenda che vorrebbe Crocco, sia pur rozzo, campione dell’emancipazione sociale”.
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