La grandezza universale della lingua italiana
L'argentino gesuita cardinale Bergoglio, divenuto Papa Francesco, nel recentissimo, importante, delicato viaggio importante in Turchia, crocevia storico millenario della religione cristiana nella sua configurazione ortodossa, bizantina, sede del patriarcato con l'attuale titolare Bartolomeo, riconosciuto come primo da tutte le chiese cristiane nazionali d'Oriente, e della religione islamica, che ha trovato attraverso il sultanato secolare turco un rilievo possente fino ai confini d'Europa, ha usato in ogni occasione ufficiale, davanti ad uditori di diversa formazione culturale e religiosa, sempre la lingua italiana, con riconoscimento memorabile. Non lo spagnolo, sua lingua natale e di rilievo sovranazionale, non l'inglese, non il francese, non lo stesso latino, lingua ufficiale interna alla Chiesa cattolica. Questo dimostra che la nostra lingua non ha un impianto espressivo limitato di tipo nazionale o di aree sovranazionali, ma circoscritte, ma è capace di comunicare con il suo immenso lessico e la sua struttura grammaticale tutte le movenze del pensiero e delle emozioni, dalle più alte concettualmente a quelle più calde, quotidiane e familiari. La nostra cara, grande lingua è segnata in questa sua possente, straordinaria espressività non solo anzitutto dalla grande eredità latina e greca (tenace e diffusa specialmente nel Sud, ad esempio a Napoli), ma dal fatto che ha avuto alle sue origini una genialità universale, quale quella di Dante, padre della nostra lingua e della nostra identità nazionale più intima e profonda. Nelle tre cantiche Dante ha rivelato e costruito in modo indelebile, memorabile, incancellabile, la espressività linguistica italiana su tutti i registri possibili, da quelli teologici, ardui, mistici del Paradiso, a quelli realistici e crudi dell'Inferno, a quelli più calmi e chiaroscurali del Purgatorio. La nostra lingua è stata rafforzata nella sua espressività lungo i secoli con i contributi memorabili di Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso, Bruno, Machiavelli, Galilei, Vico, Goldoni, Parini, Alfieri, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Verga, Carducci, Pascoli, Pirandello, Croce, per ricordare alcuni dei grandi, ed ha trovato nella creazione tipicamente italiana dell'opera lirica un altro dei suoi veicoli universali dal Settecento ad oggi ( tutte le opere da Cimarosa a Rossini, a Bellini, a Donizetti, a Verdi, a Puccini, per ricordare alcuni grandi, sono cantate in italiano in tutti i teatri del mondo). Lo studio e la ripresa sempre più accurate della nostra grande lingua costituiscono la via maestra sia per assicurare nel dialogo la fedeltà più piena alle nostre intenzioni espressive, sia per sentirci sempre più parte ed eredi di una grande tradizione culturale e spirituale, orgogliosi di una appartenenza ad una comunità storica, quella italiana, onorata ed ammirata in tutto il mondo, a partire dalla sua lingua. Nei momenti di smarrimento, di confusione, di tentativo di ribaltamento della nostra grande identità nazionale, il rilievo da dare alla nostra lingua, come ha fatto Papa Francesco, è importante, come aveva intuito e praticato ad esempio negli anni Trenta e Quaranta dell'Ottocento a Napol il purismo del grande Marchese Basilio Puoti, che nella sua scuola libera sita nel suo palazzo che si affacciava nell'attuale Piazza Dante (opportunamente intestata), aperta modernamente a uomini e donne, tra i quali Francesco De Sanctis, visitata da Leopardi, era tutta e soltanto concentrata nello studio e nella ripresa dei modelli linguistici e stilistici degli autori del Trecento e del Cinquecento. |
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