La congiura di Frà Tommaso Campanella nella Calabria del 1599

Categoria principale: Storia
Categoria: Dalla Storia antica al XVII sec.
Creato Martedì, 14 Ottobre 2014 15:16
Ultima modifica il Venerdì, 17 Ottobre 2014 18:25
Pubblicato Martedì, 14 Ottobre 2014 15:16
Scritto da Angelo Martino
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La documentazione relativa alla congiura calabrese del 1599, su iniziativa del frate domenicano Tommaso Campanella, recuperata e pubblicata da Luigi Amabile nel 1882, fu donata alla Biblioteca Nazionale di Napoli. Essa costituisce la testimonianza che l'autore de La città del Sole promosse una rivolta che assunse i connotati di un tentativo di insurrezione popolare per instaurare un regime comunista di stampo teocratico-repubblicano e la realizzazione di un programma fondato sulla soppressione della proprietà privata con l'abolizione delle gerarchie sociali.

Primariamente la rivolta si proponeva la cacciata degli Spagnoli dalla Calabria.
Il testo di Amabile si mostra interessante in quanto risponde a buona parte delle domande che gli storici si sono posti:

Quale valenza ebbe in Calabria la sommossa antispagnola promossa dal frate domenicano? Quali ceti sociali si posero tale ambizioso obiettivo politico?

 Quale fu il programma dei rivoltosi? Quale fu il ruolo di Tommaso Campanella e in quale misura il suo impegno si mostrò collegato all' instaurazione di una " democrazia fraterna" in cui i beni privati fossero banditi?

 

Come è noto, nel sogno utopico della Città del Sole la proprietà privata era bandita, non esistevano servi e padroni, a tutti si insegnavano le stesse arti che avevano tutte pari dignità; inoltre le mense, così come i dormitori, i posti di ricreazione, i vestiti, erano comuni, per cui sorgeva spontaneamente anche la questione relativa a quali strumenti ideologici e propagandistici fecero ricorso il frate filosofo e gli altri capi della rivolta del 1599 per instaurare la Città del Sole in terra di Calabria.

Il frate domenicano aveva iniziato la sua attività febbrile di proselitismo dalla primavera del 1599 sia con prediche pubbliche in cui preannunciava gravi sconvolgimenti politici, sia tramite una corrispondenza attiva in codice con gli altri rivoltosi, come anche partecipando a convegni clandestini.

Anche gli altri capi della rivolta, tra cui frate Dionisio, Paolo Ponzio e Maurizio De Rinaldis, avevano svolto una rilevante campagna di propaganda e proselitismo, stigmatizzando la tirannia del governo spagnolo e il gravoso fiscalismo imposto ai sudditi del Regno.

Un tale fermento di iniziative, rivolto a promuovere una rivolta, non passò inosservato ai segugi del nuovo viceré Fernando Luiz De Castro, conte di Lemos, che il 16 luglio aveva sostituito il viceré conte di Olivares.

In una lettera datata 24 agosto 1599, inviata al Re, il Lemos informava il sovrano di aver ricevuto il giorno 18 agosto una dettagliata relazione da Don Luis Xarava del Castillo sulla confessione resa da Fabio Di Lauro e Giovanni Battista Biblia all’avvocato fiscale della Regia Udienza di Calabria Ultra. La relazione riportava che nella confessione i due dichiaravano di aver fatto parte del tentativo di disegno criminoso approntato dai frati domenicani Tommaso Campanella e Domenico Porzio per poi dissociarsi dal piano, sostenuto da nobili ed ecclesiastici.

A questo punto Fernando Luiz De Castro inviò uno dei più fidati e valenti uomini di combattimento del Regno, qual era Carlo Spinelli, in Calabria, escogitando un piano ben mirato alla ricerca della verità riguardo al piano di rivolta.

Lo Spinelli si recò in Calabria con il pretesto di controllare le coste al fine di scongiurare un’eventuale incursione turca, ma la permanenza con la sua armata in Calabria gli permise di accertare un piano ben strutturato di rivolta, che si estendeva dalla Calabria Citra, con nuclei di ribelli a Castrovillari, Cosenza, Cassano, Bisignano, Sant’Agata e Amantea, alla Calabria Ultra ove i maggiori centri di sollevazioni erano Taverna, Terranova, Crotone, Squillace, Nicastro, Rosarno, Paola, Catanzaro, Monteleone, Mileto, Stilo, Seminara, Arena e Tropea.

La vastità dei territori calabresi coinvolti nel tentativo di rivolta si mostrò allarmante e le notizie arrivarono presto al viceré De Castro preoccupandolo per le dimensioni della rivolta.

A queste notizie se ne aggiungevano altre  ben più inquietanti che riguardavano le alleanze che i  rivoltosi erano riusciti a tessere con  alcuni signorotti italiani. Ma la notizia più eclatante  fu quella  di una collusione del  papa Clemente VIII e Tommaso Campanella tramite il cardinale Cinzio Aldobrandini.

Se tale notizia non ha trovato prove cartacee, è pur vero che le informazioni, di cui si ha riscontro documentale, riferiscono di un “ copioso numero de otros predicatores y religiosos” appartenente a vari ordini monastici nonché del vescovo di Nicastro, Pier Francesco Monitorio, il vescovo di Mileto, Marco Antonio del Tufo e di qualche appartenente al patriziato urbano e alla nobiltà calabrese e meridionale, fra cui il principe di Bisignano, Nicola Bernardino Sanseverino, il duca di Gravina, Lello Orsini e soprattutto Maurizio de Rinaldis, nobile di Stilo, paese natale di Tommaso Campanella, che si mise a capo di una compagnia di 200 armati.

Con l’arrivo dello Spinelli in Calabria, il viceré Lemos gli ordinò di tessere una rete, formata da signorotti locali di fiducia, che potessero aiutarlo nello scoprire la reale portata de “ este negocio” e mostrarsi pronto a sconfiggere qualsiasi segnale di sommossa di cui si avesse sentore.

Giunto a Catanzaro, lo Spinelli incominciò “a mettere mano all’affare”, disponendo eccezionali misure difensive nei castelli di Gerace, Santa Severina, Squillace e Monteleone. Inoltre lo Spinelli creò un apposito tribunale da lui stesso presieduto e, con la collaborazione dei signorotti locali di sua fiducia, intraprese una vasta e violenta attività repressiva.

Accusati di ribellione e di lesa maestà, i rivoltosi furono anche dichiarati colpevoli di eresia. Lesa maestà ed eresia erano da considerare a quel tempo espressione dello stesso delitto. Infatti alla doppia imputazione rivolta ai ribelli seguì un duplice processo contro Tommaso Campanella e gli altri capi della rivolta.

Il frate domenicano si rifugiò in un casolare Di Roccella Jonica, con la speranza di trovare un imbarco che lo avrebbe condotto lontano, ma fu tradito dal suo ospite Antonio Mesuraca e, catturato la sera del 6 settembre 1599 dagli uomini del principe Fabrizio Carafa, nipote dello Spinelli, fu tradotto nel carcere di Castelvetere.

Nella lista dei rivoltosi condotti nelle carceri di Catanzaro e rinchiusi nel castello di Monteleone, inviata dal viceré conte di Lemos a Madrid il 12 settembre, oltre al Campanella e a frate Domenico Petrolo da Stignano detenuti nel castello di Castelvetere, vi furono numerosi cittadini di Terranova, di Pizzoni e soprattutto di Catanzaro, fra cui persone influenti come il barone di Cropani, Antonio Sersale, a conferma del ruolo centrale assunto dalla città di Catanzaro nella rivolta.

L’inchiesta accertò che il progetto di fra Tommaso Campanella prevedeva, in caso di vittoria, il suo ingresso trionfale a Catanzaro, scortato dai rivoltosi.
Alla fine di settembre anche Maurizio de Rinaldis fu catturato con oltre cento rivoltosi per essere condotto l’8 novembre a Napoli nelle carceri di Castel Nuovo, Castel dell’Ovo e Sant’Elmo.

Il 18 gennaio 1600 ebbe luogo, tra atroci torture, il primo interrogatorio di Tommaso Campanella; con esso  iniziò la sua durissima reclusione durata ben ventotto anni. Proprio lo stesso 18 gennaio il viceré conte di Lemos inviò a Madrid la sua ultima lettera sulla congiura calabrese del 1599, informando il sovrano del pentimento di Maurizio de Rinaldis, che, prima di essere giustiziato, aveva confessato la sua partecipazione ai moti del 1599 per “salvare l’anima".

 

Bibliografia:


Luigi Amabile, Fra Tommaso Campanella: la sua congiura, i suoi processi, la sua pazzia,  Napoli, 1882