Girolamo Tartarotti: quando le streghe smisero di volare
Iniziarono ad affermarsi nuove correnti di pensiero che misero in crisi la cultura dominante tramite la pubblicazione di opuscoli, libelli e manoscritti sulla stregoneria e su quella che sarebbe stata la terribile caccia alle streghe iniziata alla fine del XV secolo. Uno dei pionieri del libero pensiero, che si batté contro la superstizione, la leggenda e la terribile caccia che aveva provocato innumerevoli roghi in vari paesi d’Europa, fu l’abate illuminista Girolamo Tartarotti (Rovereto, 5 gennaio 1706- Rovereto, 16 maggio 1761) con il suo manoscritto Del Congresso notturno delle lammie, messo in circolazione nel 1744 e pubblicato a stampa nel 1749. “Le lammie ossia le streghe, non esistono - scrisse Tartarotti - in quanto si tratta di pura leggenda e superstizione. Non esiste alcun patto con il demonio e alcun potere più o meno diabolico”. Nel suo testo, l’abate di Rovereto usò la forma dialogica, chiedendosi, tra l’altro, come mai non si era avuta alcuna conoscenza di almeno un caso in cui il demonio fosse accorso in aiuto delle sue pupille mentre stavano per essere terribilmente giustiziate. E come mai non si era avuta mai conoscenza di un solo caso in cui una strega, unitasi al demonio, fosse rimasta incinta? Attraverso siffatti ed analoghi interrogativi, il Tartarotti denunciò una superstizione che aveva condotto tante donne al rogo. Oltre all’affermazione della verità intellettuale ed illuminata, si rivelava nel testo la volontà tutta umanitaria di fermare “il terribile macello”. Infatti in Germania soprattutto ed in altri paesi d’Europa, come in Italia anche se in misura decisamente minore, i roghi continuavano a divorare innocenti, pur se il periodo terribile iniziato alla fine del 1400 stava progressivamente scemando con il secolo dei lumi. Il Tartarotti cercò di spiegare sia in termini storici che sociali il fenomeno, ricollegandolo alla stregoneria dell’antico culto di Diana e osservando come tale superstizione si manifestasse in un determinato contesto sociale di “persone povere e di contado” e “nei paesi freddi e incolti”. Infatti la dea Diana, identificata nella sua manifestazione lunare, era stata oggetto di culto nella stregheria della tradizione italiana. Come riporta Charles Leland nel Vangelo delle streghe, Diana era adorata come dea dei poveri, degli oppressi e dei perseguitati . Per il Tartarotti la stregoneria era un fenomeno popolare collegato al sottosviluppo ed alla miseria, evitando con molta prudenza di collegare il problema del rapporto con la religione. A tal riguardo l’abate di Rovereto operò un’opinabile netta distinzione tra stregoneria e magia, riconoscendo a quest’ultima una dignità di fenomeno collegato ad ambienti socialmente e culturalmente evoluti. Le autorità ecclesiastiche non reagirono in maniera rilevante, tranne casi di nostalgici della Controriforma che fecero sentire la loro voce di condanna verso le idee del Tartarotti. Fu invece la distinzione netta tra stregoneria e magia che provocò le reazioni di Scipione Mattei, il quale invece sferrò un attacco alla magia con L’arte magica dileguata, un testo pubblicato a stampa nel 1749. Negli anni cinquanta Maffei, assieme a Ludovico Antonio Muratori, aprì un dibattito su magia e religione, mettendo in luce l'incompatibilità del cristianesimo illuminato e ragionevole con la persistenza della magia, criticando vivamente le tesi di Girolamo Tartarotti, il quale, pur avendo condannato la persecuzione delle streghe, aveva ammesso l'esistenza delle pratiche magiche. Sulla scia del dibattito, che pose gradualmente termine alla fantasticheria del diavolo che insegnava alle streghe a volare e che aveva prodotto nel corso di secoli tanti lutti e fatto sgorgare tanto sangue innocente, si pose l’opera di Clemente Baroni che diede una battuta di arresto al dibattito culturale in Italia sulla stregoneria, sugellando la fine di un terribile fenomeno storico e sociale. Come scriverà Voltaire "le streghe hanno smesso di esistere da quando noi abbiamo smesso di bruciarle". |
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