La figura di Antonio Iannotta nel “ Partigiano Montezemolo” di Mario Avagliano
Quindi si mostra prezioso il preavviso del fratello del colonnello Montezemolo al capitano Antonio Iannotta affinché si mostrasse più cauto negli spostamenti, considerato che le SS stavano cercando di far rivelare al colonnello la sua identità. Il capitano Antonio Iannotta aveva in quel momento il ruolo importante e delicato di Capo di Stato Maggiore del Comando Raggruppamenti Patrioti Italia Centrale con alle dipendenze dirette una particolare formazione “La Pilotta”, che esplicava ruoli rilevanti nella resistenza militare. La formazione “La Pilotta”, il cui nucleo iniziale era costituito da trenta militari fra ufficiali, sottufficiali e truppa, in breve tempo aveva raggiunto una consistente forza di duecento militari effettivi e tutti gli ufficiali assumevano uno pseudonimo, giurando di non rivelare mai, in caso di cattura, l'identità degli uomini del Fronte Militare Clandestino. Pertanto il capitano Antonio Iannotta era il ricercato Giannini, la cui identità Kappler voleva fosse svelata dal colonnello Montezemolo, dato i ruoli che la formazione di Iannotta svolgeva, tra cui il rifornimento di uomini, di armi, di munizioni a tutte le altre bande, l’assistenza morale agli affiliati, la propaganda e le missioni di soccorso. Per tale ragione era di primaria importanza per Kappler individuare il capobanda Giannini affinchè fosse sconfitto il fronte militare clandestino.
"In realtà, nei 58 giorni di detenzione, Montezemolo subisce a più riprese snervanti interrogatori e terribili torture. Nella camera adibita agli interrogatori, gli aguzzini nazisti lo tormentano a suon di calci e scudisciate. Ma lui non parla. Mantiene il riserbo sugli altri membri del Fronte Militare Clandestino.” In effetti in quei 58 giorni, prima dell’uccisione barbara alle Fosse Ardeatine, il colonnello Montezemolo subì un vero e proprio calvario ma, nonostante ciò, “incitava i propri compagni ad avere fede nei destini della Patria, parlando della morte che lo attendeva con familiarità e serenità sconcertanti.” In quello scorrere dei giorni, tra momenti di serena attesa della morte e di torture tramite mazzuoli, cavalletti con sottili fili di acciaio, flagelli, verghe di ferro, il colonnello non rivelò i nomi dei suoi camerati. Dopo la prima settimana di febbraio, finalmente la famiglia di Montezemolo riuscì ad avere notizie circa la sua detenzione nel carcere di via Tasso. Ma nulla poterono per salvargli la vita. Kappler era determinato nell’odio e attendeva solo il momento per poterlo fucilare perché Montezemolo si mostrava “eroico“ nel non rivelare le preziose notizie sull’identità di Bianchi e Giannini. La situazione precipitò dopo l’attentato di Via Rasella. Montezemolo trovò la morte nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Fu uno dei 335 dell’eccidio. Morì gridando: Viva l’Italia! Il capitano Antonio Iannotta, medaglia d'oro al valor militare, ha preservato la memoria di quei drammatici momenti, con eterna riconoscenza al colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, medaglia d'oro al valor militare. Bibliografia: Mario Avagliano, Il partigiano Montezemolo, Dalai Editore, Milano,2012
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