Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Saverio Mattei, il Beccaria calabrese

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«Ho conosciuto in Napoli un uomo, che da filosofo insegnava sulla cattedra  lingue orientali; toccava l’arpa e cantava salmi da poeta; e guadagnava contemporaneamente gran danaro arringando cause d’avvocato».

Così si esprimeva il viaggiatore svedese Jacob Jonas Biörnståhl in una lettera riguardante il suo soggiorno nel Regno di Napoli. L’uomo in questione era il calabrese Saverio Mattei.

Basterebbe questa breve ma efficace descrizione per capire appieno la statura culturale di Mattei; cogliere la versatilità del suo ingegno. Ma egli fu molto di più.  Fu avvocato e giurista, filologo e linguista, poeta e musicologo, teologo e biblista.

Un uomo, insomma, che ricoprì un ruolo di primissimo piano nella Napoli della seconda metà del Settecento. Quella Napoli in cui operavano, tanto per intenderci, personalità come Pagano e Filangieri, Genovesi e Galiani.

Oltremodo stimato a corte, era tenuto in grande considerazione dal primo ministro, nonché a lungo reggente del re Ferdinando I, Bernardo Tanucci che gli procurò non pochi incarichi di prestigio. La sua fama arrivò persino a oltrepassare i naturali confini d’Italia e a estendersi nei Paesi d’oltralpe. Passando per il Granducato di Toscana, il suo nome risuonò fin alla corte di Vienna.

Illustri personalità europee conobbero le sue opere e intrattennero con lui intensi scambi epistolari. Esse vano dai pontefici Clemente IX e Pio VI, all’imperatore d’Austria Ferdinando I, al re di Prussia Federico II; da D’Alembert a Voltaire a Rousseau.

Con Pietro Metastasio, infine, strinse un fraterno rapporto di  amicizia e reciproca stima che lo legò per tutta la vita e che fu suggellato da un intenso scambio epistolare che intercorse tra i due.

Metastasio - scrive Domenico Martuscelli in Biografie degli uomini illustri del Regno di Napoli - «lo ebbe sempre come suo eguale; e ben lungi d’invidiarlo, amollo finché visse e costantemente il rispettò». E Lorenzo Giustiniani, in Memorie storiche degli scrittori del Regno di Napoli, ebbe a dire che «la mia nazione certamente vanterà in tutti i tempi ne’ fasti della sua letteratura la persona del sig. Mattei, il quale ha saputo occupare il miglior luogo tra i più eleganti poeti, savi giureconsulti ed eruditi del corrente secolo».

Il periodico Brünner Zeitung, che si stampava a Brunn in Moravia, arrivò a pubblicare, in versione integrale, una sua arringa opportunamente tradotta in lingua tedesca.

Gli attestati di stima e di lode, di cui Mattei fu destinatario, invero non si contano. L’abate Sparziani, in una lettera al padre Camillo Varisco lo definisce «onore della nostra Partenope», e prosegue dicendo di avere conosciuto in lui «una cantica chiara quanto il sole, un vezzo che sorprende e diletta».

Ma su tutti, valga quanto ebbe modo di esprimere l’Accademia di scienze e belle lettere  di Napoli nel nominarlo suo socio onorario: «Saverio Mattei, savio giureconsulto, autore di opere che tengono in perpetuo esercizio l’invidia e la fama: ingegno in cui si unisce, con rara alleanza, la pazienza del riflettere alla impetuosità delle idee vivaci, robuste e ridenti, possiede tutta la suppellettile dei cultori delle lingue dotte; ma non possiede l’orgoglio».

Benedetto Croce lo definisce lapidariamente «grande letterato». Che è quanto dire. E il già citato Martuscelli, indulgendo probabilmente all’enfasi oratoria, si studia di adombrare i suoi lineamenti umani e morali, allorché scrive che «Fu egli un uomo generoso, ameno, gioviale, buon amico, vero filantropo, magnifico e splendido in tutte le sue cose.

Amava di grandeggiare nella festa di musica, e nelle cene che solea dare in varie occasioni, e facevale eseguire con lusso e splendidezza. La sua casa  era il tempio dell’amicizia, e la sua tavola  l’ara del genio e del buon gusto».

In tanti estimatori e apologeti non mancarono i denigratori: «pedante, presuntuoso e fanatico per le lingue morte» lo definì il suo contemporaneo Michele Scherillo. O quelli che cercarono di farlo cadere nel ridicolo, celiandolo per il suo carattere alquanto remissivo alle presunte eccentricità della sua prima moglie.

In primo luogo, l’abate di origine abruzzese, nonché celebre economista, Ferdinando Galiani, che si esercitò in una satira a buon mercato e alquanto malevola nella sua opera buffa   Socrate immaginario, musicata da Giovanni Paisiello.

In essa, Mattei viene rappresentato come un mentecatto che si illude di essere filosofo e che si dibatte tutto il giorno a fronteggiare gli isterismi e la morbosa gelosia di una santippe di consorte.

Ammesso che corrispondesse al vero, questo aspetto della vita privata di Saverio Mattei non scalfisce affatto il valore e i meriti dell’uomo di elevata erudizione. Non tralasciando di rimarcare che da sempre il successo genera livore e maldicenze. E va da sé che la Napoli salottiera  e ciarliera del XVIII secolo di ciò non era certamente immune.

La critica moderna tende piuttosto a sottovalutare Mattei, quando non si lascia andare in vere e proprie stroncature, soprattutto per quanto attiene alla sua produzione poetica. Gli si rinfaccia l’assoluta mancanza di ispirazione e di contenuti, e di aver sopperito a questa lacuna con il ricorso al vacuo virtuosismo specioso. Insomma, versi metricalmente e musicalmente ineccepibili, i suoi, ma vuoti di sostanza.

Uno dei suoi difetti maggiori pare sia da ascrivere alla consapevolezza di saper padroneggiare le lingue italiana, latina e greca e di volerne a tutti i costi farne sfoggio.

Sicché - scrive G. Natali in Il Settecento, Milano, 1944 - compose «sonetti, canzoni, poemetti, cantate, elegie, scherzi poetici, cioè epistole familiari in endecasillabi sdruccioli, paradossi, X epistole in versi sciolti al Voltaire, al Rousseau, al Metastasio, al Beccaria e ad altri illustri, noiose prediche rivolte a provare questa peregrina verità: che nella nostra felicità o infelicità siamo noi stessi gli autori».

Sono rilievi che, ancorché pesanti, difficilmente possono essere confutati. Ma neanche sposati in toto. E ciò perché essi riguardano solo una particolare faccia del complesso poliedro che fu la personalità di Mattei, e con essa la sua produzione. Egli va giudicato nella sua globalità e non segmentando le innumerevoli discipline in cui con competenza e padronanza ebbe a che fare.

Va da sé che a fronte di un esame critico,  parcellizzato e avulso da quel contesto di armonicità che fu la sua caratteristica, i rigorosi censori troverebbero materia su cui sbizzarrirsi.

A volerne rivedere le bucce, egli alla fin fine non risulterebbe essere stato né un poeta, né un teologo, né un biblista, né un giureconsulto, né un linguista degno di nota. Eppure, preso nella sua interezza, fu tutte queste cose insieme.

Fu un intellettuale formatosi in una società in cui era prevalente la concezione prerinascimentale del sapere integrale, e la conseguente specializzazione era ancora di là da venire. Fu, in ultima istanza, «uomo dal multiforme ingegno». E questo costituisce, se proprio si vuole, il suo pregio e il suo difetto.

 

 

Bibliografia:

Francesco Pitaro, Saverio Mattei, letterato e giurista calabrese del XVIII secolo, Grafica 2000, 1997.

 

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