“Di Pura Razza Italiana”, ovvero quando gli Italiani si scoprirono razzisti e antisemiti

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Si mostrava necessaria la pubblicazione del saggio Di Pura Razza Italiana, scritto da Mario Avigliano e da Marco Palmieri (Baldini & Castoldi ed.), che ha il merito notevole di evidenziare con una documentazione rigorosa e puntuale il rilevante consenso alle leggi razziali approvate nel 1938 dal regime fascista e correggere in tal modo alcuni frettolosi giudizi di italiani “brava gente”, che in fondo non erano stati contagiati da un “antisemitismo attivo”.

Il testo, invece, comunica tutto il dramma conseguente alle leggi razziali, le quali furono fatte proprie dalla massa della popolazione, dopo un periodo di indifferenza.

Ciò che tristemente emerge dalla lettura è l’interiorizzazione di tali leggi da parte del popolo italiano a tal punto che agli stessi amici ebrei furono voltate le spalle, oltre a determinare una vero ostracismo degli ebrei italiani da tutti i gangli della vita civile.

Si è voluto rimuovere il grado di consenso alle leggi razziali per autoassolversi, ma non vi furono “ giusti” in Italia nel periodo dal 1938 al 1943, anzi.

Il consenso andò progressivamente aumentando, rivelandosi quale “espressione di un coagulo di forze, esperienze, ideologie, interessi e convenienze trasversali” tra “antisemitismo attivo” e “ indifferenza passiva”.

Quindi fu una maggioranza consistente di italiani che fecero proprie le parole del Manifesto della razza che proclamava il tempo che gli italiani si dicessero francamente razzisti.

Ciò emerge da una documentazione rigorosa composta da diari, lettere, carteggi vari, rapporti della polizia di regime e dello stesso Partito Nazionale Fascista.

Inizialmente si pensava che tali leggi fossero state approvate per compiacere Hitler, ma nel prosieguo tali leggi furono applicate nella loro valenza di crudeltà e ciò che desta non poco stupore è che tanti intellettuali furono i primi a farsi portatori di una campagna antisemita.

Il Manifesto della Razza era preceduto da una “velenosa“ campagna di propaganda che si attivava già l’anno precedente tramite libri antisemiti e una mirata campagna giornalistica.

La “bella gioventù“dell’epoca rappresentò la roccaforte dell’”antisemitismo italiano”.

La libertà, l’emancipazione che avevano apportato il glorioso Risorgimento agli ebrei, come ai protestanti, non solo svaniva, ma facevano riemergere la triste realtà del ghetto. In più, come evidenziano gli autori “La stessa partecipazione ebraica al Risorgimento, ampia ed appassionata, veniva reinterpretata e trasformata da contributo eroico all’unificazione italiana a infida lotta contra la Chiesa cattolica”.

Il fior fior della gioventù fascista di allora rappresentò l’avanguardia di tale propaganda. Di alcuni di loro già se ne conoscevano i nomi: Giorgio Bocca, Indro Montanelli, Eugenio Scalfari, Guido Piovene, a cui , secondo la ricerca archivistica, bisogna aggiungere i nomi di Enzo Biagi, Antonio Ghirelli, Giulio Carlo Argan, Concetto Pettinato, Giovanni Spadolini, Mario Missiroli, Maria Luisa Astaldi, Aldo Capasso e Alfio Russo.

Non solo. Il testo comunica come anche parte del mondo cattolico fosse sedotto da tale misure antisemite, ad iniziare da Padre Agostino Gemelli e con il consenso di cardinali, vescovi e mondo intellettuale cattolico.

In particolare le tesi antisemite di Padre Gemelli, riportate in “ Vita e Pensiero”, furono riprese dall’organo dei gesuiti “Civiltà Cattolica”, mentre ben diverso si mostrò l’atteggiamento ufficiale dell’Osservatore Romano, organo della S. Sede, che criticò le posizioni degli intellettuali fascisti che avevano redatto il Manifesto della Razza.

Si pose l’interrogativo sul perché tali intellettuali laici e cattolici ritenessero  giusta la legislazione antisemita e in che misura la convinzione a sostenere le tesi razziste fosse penetrata nel proprio io.

Abbiamo focalizzato l’attenzione sugli intellettuali noti, ma ovviamente al loro fianco trovarono funzionari statali, magistrati, imprenditori, avvocati, per cui l’antisemitismo italiano assunse tutt’altro che una valenza banale.

Si tratta davvero di una cronaca triste, a tratti implacabile nel descrivere il consenso degli italiani portava non solo a denunciare il collega, il vicino, ma a pubblicare lettere in cui si chiedeva al Duce di eliminare la razza ebraica dal suolo della Patria.

Non mancò la triste e vergognosa espulsione dei ragazzi dalle scuole, un’epurazione condotta “tra indifferenza e approvazione”.

Ed è forse la parte dedicata alla “bonifica” nelle scuole, come la definì l’editoriale di un quotidiano, la parte più triste che comunicava la “piccolezza” degli italiani che si scoprirono in stragrande maggioranza razzisti antisemiti.

Inoltre il divieto di matrimonio misto, l’allontanamento dagli impieghi pubblici, il divieto di prestare servizio militare e altre brutture sono rese note tramite una ricca documentazione fornita degli autori che ci forniscono un ritratto di italiani tutto altro che “brava gente”, ma individui determinati ad appoggiare ed interiorizzare il razzismo di Stato.

Poche ed isolate le coraggiose voci di dissenso, che sono tutte riportate nel testo, come la lettera della coraggiosa cittadina Ada De Morvi , indirizzata allo stesso Duce.

Anche lo stesso Partito Comunista d’Italia, dopo una posizione iniziale dura contro il Manifesto sulla Razza, in seguito al patto Hitler – Stalin del 1939, mostrerà un “imbarazzato silenzio”, pur se nel testo non sono disconosciute le posizioni personali di aperto dissenso di alcuni esuli come Giuseppe Di Vittorio.

Molto attivi contro le leggi razziali furono invece i membri di “Giustizia e Libertà” e ammirevoli le posizioni dei due intellettuali che espressero  il proprio attivo, continuo, coerente dissenso, Benedetto Croce e Ernesta Bitanti, vedova di Cesare Battisti, a cui gli autori rendono il giusto riconoscimento con pagine che descrivono appieno il loro attivo impegno contro le leggi razziali.

In seguito alla approvazione della Dichiarazione sulla Razza del 20 dicembre 1939 il consenso verso l’antisemitismo fece registrare nella popolazione picchi ancora più alti rispetto al periodo precedente, con funzionari solerti, proliferazione di intellettuali razzisti in un contesto di “antisemitismo di massa”.

Furono i momenti in cui si passò  all’odio razziale attivo con il capitolo delle delazioni che “è stato uno dei più tristi della vicenda della persecuzione degli ebrei”.

E poi il clima di odio che si acuì dopo l’ingresso dell’Italia in guerra nel 1940, con l’internamento degli ebrei  in “ veri e propri campi o strutture riadattate per la reclusione” e l’allontanamento degli stessi ad iniziare dall’estate del 1941. Si va, quindi, verso quella “Shoah italiana” che causò oltre 7500 vittime.

Di Pura Razza Italiana è un saggio completo che non solo riesce ad analizzare l’iter dell’approvazione di leggi antisemite da parte del regime fascista, ma in particolare sottolinea il consenso che esse provocarono in maniera dirompente nella società civile italiana .

 

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