Procida 1799. La Repubblica della libertà

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Creato Venerdì, 20 Settembre 2013 00:02
Ultima modifica il Venerdì, 20 Settembre 2013 00:14
Pubblicato Venerdì, 20 Settembre 2013 00:02
Scritto da Antonella Orefice
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Saverio Della Gatta  Battaglia tra le navi anglo-borboniche e repubblicane  nel canale di Procida. Vista da Miliscola.(Dialogo tra Bernardo Alberini, commissario a Procida della Repubblica Napoletana del 1799 e padre Antonio Scialoja, rappresentante del governo rivoluzionario)

- Sarà una battaglia dura Bernardo. La Repubblica ci ha resi liberi, ma le responsabilità che pendono sulle nostre teste la stanno rendendo un fardello grave da sostenere.  Ferdinando su quest’isola aveva trovato una miniera d’oro e non rinuncerà a riconquistarla a costo di ammazzarci tutti impietosamente.

Le nostre terre sono fertili, c’è abbondanza di ogni grazia di Dio, selvaggina, frutta, verdura, il mare è generoso, la lavorazione dell’oro che ci arrivava dalle Indie, per secoli ci ha reso ricchi, e lui di questa ricchezza se ne era appropriato e la rivuole. Infame, ingordo e scellerato! Investirà tutte le sue forze pur di rimettere le mani sull’ isola e sui nostri cadaveri.

Mi chiedo come Dio possa permettere tanta cattiveria e come possa non bruciare il suo nome sulla bocca dei tanti  tiranni che se ne servono per sottomettere la povera gente. E adesso si è messo pure il cardinale Ruffo… Lui che dovrebbe essere un uomo di fede e di pace, lui che porta il crocifisso sul suo petto e  dovrebbe spendere una parola buona per la vita di tutti noi! Ma come si fa ad usare Dio ed i Santi per permettere ad un carnefice di massacrarci tutti! Come può Dio acconsentire a tutto questo! E’ un’offesa al suo nome ed al genere umano. Ma siamo o non siamo  figli suoi?

 -  Chiedetelo al vostro Dio, padre Scialoja. Voi siete più vicino a lui che non io… io ho solo creduto e credo nella vita, nella libertà ed ora più che mai sono pronto a morire. Oramai la morte è mia parente, la sento addosso, sulla pelle, nei pensieri, ma non la temo, no… si nasce per morire ed io almeno non ho consumato inutilmente la mia vita, questo dono immenso che qualcuno o qualcosa mi ha fatto. Morirò da uomo libero, morirò con dei valori, con dignità e con coraggio.

 

Dalle finestre del castello filtrava un tenue sole primaverile, Procida iniziava ad ammantarsi di mille colori, la natura si risvegliava rigogliosa, il mare ed il cielo brillavano di un azzurro intenso, per le stradine la gente passeggiava serena, molti erano intenti a lavorare dentro e fuori le botteghe, il porto era gremito di viandanti, carretti ricolmi di frutta, verdure e cesti di pesci. 

Dopo lunghi giorni di freddo e burrasca i pescatori avevano ripreso il mare pacifico ed ora tornavano soddisfatti,  trascinando a terra reti stracolme di pesci, alghe e crostacei, fischiettando, richiamandosi tra loro coi nomignoli più strambi, tra gli striduli versi dei gabbiani che arrivavano a stormi sulle loro teste, elemosinando qualche dono dalle abbondanti reti. Sembrava un’isola felice, tranquilla, piena di vita, sole e pace.

Bernardo lasciò il castello alla buon ora, tuffandosi nei colori di quello splendido mattino. Si guardava intorno con il cuore a pezzi ed  una soffocante angoscia  nell’anima, qualche popolano iniziava a sorridergli, a salutarlo con un pizzico di simpatia, i nobili decaduti lo evitavano peggio di un appestato bersagliandolo arcigni.

- Commissà…commissà, me lo date un tornese? Gli fece un bambino dagli abiti laceri, scalzo ed il viso lentigginoso.

- Certo che te lo do, tieni!

- Grazie commissà! Come sono belle le monete che avete portato da Napoli!

- Ah, si ti piacciono?

- Si, sono colorate, ma la più bella è quella grossa d’argento. L’ho vista in mano a dei pescatori. Vale molto mi hanno detto, e come è pesante!

-  Quale dici, la piastra?

-  Si, la piastra. Ma è roba da ricchi.

-  Come ti chiami?

- Michelino.

- E dove abiti?

- Nelle case dei pescatori già a Chiaiolella, mio padre fa il marinaio.

- E chi è, lo conosco?

- Ma certo, commissà, lui parla sempre tanto bene di voi. Io sono il figlio di Giacinto.

- Giacinto Calise?

- Si, e tengo altri cinque fratelli.

- E fai il marinaio pure tu?

- Certo, quando il mare è calmo mio padre mi porta per mare con lui! Ma posso chiedervi una cosa?

-  Dimmi…

-  Me la fate vedere quella cosa che avete portato da Napoli? Ne stanno parlando tutti, chi bene, chi male,  ma io non l’ho ancora vista. Penso che è bellissima, è una cosa nuova. Mio padre dice che sono ancora piccolo per capirla, ma io voglio vederla lo stesso. Vi prego, me la fate vedere voi? Lo so che la tenete. Siete stato voi a portarla da Napoli!

- Non ho capito, cosa devo farti vedere, la coccarda tricolore,  la piastra d’argento?

-  No, quelle le ho già viste! Io vorrei vedere quella cosa che avete portato da Napoli, quella cosa che ora state difendendo, come si chiama?? Ah, si… la libertà!! Si chiama libertà!

 

(Da "Procida 1799. La rinascita degli eroi - di Antonella Orefice, Introduzione di Renata De Lorenzo. Arte Tipografica Ed. Napoli 2011)