Quei briganti che volevano riportare sul trono Francesco II di Borbone
Il revisionismo sta cercando di imporsi, tramite tante pubblicazioni di storici non professionisti, con il rappresentare gli eventi storici del brigantaggio post-unitario quale forma di resistenza ideale, spontanea in relazione soprattutto alle vicende che videro protagonisti i briganti del periodo postunitario, più famosi quali Carmine Crocco, Ninco Nanco e altri più o meno conosciuti. Con riferimento alla vasta pubblicistica degli ultimi dieci anni, ritroviamo tanti politici, giornalisti e scrittori che si sono accaniti nel dare al brigantaggio una connotazione di carattere politico – sociale, arrivando ad affermazioni poco credibili riguardo a tali briganti nel momento in cui li si considera antesignani dei protagonisti di una resistenza partigiana. Come scrive Luciano Priori Friggi: “ Quando oggi gli scrittori e i propagandisti neoborbonici parlano di esercito di occupazione sabaudo, installatosi dappertutto al sud fin da subito per opprimere le popolazioni, dicono solo e semplicemente il falso. Il caso della Basilicata è emblematico: la regione nell’agosto del ’60 è insorta autonomamente, ha cacciato l’esercito e il personale borbonico, dandosi una nuova dirigenza politica." E’ notorio altresì come la rapida trasformazione politica conseguita nel Mezzogiorno provocò risentimenti e malcontenti non solo da parte del popolo e della vecchia classe borbonica, ma anche dei borghesi liberali e soprattutto dei democratici radicali.
Ricordiamo come il cardinale Ruffo nel 1799 era riuscito a raccogliere un esercito di volontari e realisti, nonché rinomati briganti per sconfiggere la gloriosa Repubblica Napoletana e riportare sul trono la dinastia borbone. Anche dopo l’Unità la corte borbonica fece di tutto per riconquistare il trono, indirizzando verso una reazione antiunitaria un brigantaggio che già da tantissimi anni prima del 1860 infestava le province del Meridione. Nella primavera del 1861 il brigante Carmine Crocco, che operava con la sua banda al confine tra la Basilicata e la Campania, fu accolto dall’arciprete di Lavello, Ferdinando Maurizio, con la bandiera bianca dei Borbone. Le parole del brigante Francesco Gumbaro potevano essere sottoscritte da tanti altri. Appena arrestato, durante l’interrogatorio, il brigante Gumbaro ebbe a dire: “Mi unì alla banda di Sacchitiello, perché mi illusero che era protetta da Francesco II, che mandava denari e munizioni e che tra breve sarebbe rientrato a Napoli e ci avrebbe dato terreni e denari”. Quella, di cui rende testimonianza Camillo Battista, fu senza dubbio la “trovata” di Crocco più riuscita. Il brigante fece arrivare nella piazza di Venosa un soldato borbonico, che si mostrava stanco, affannato, impaziente di raccontare a tutti il grande evento: “ vengo da Napoli – e sia benedetto Iddio che Francesco II s’è assettato sulla seggia reale di suo padre”. Ci furono anche i festeggiamenti con “illuminazioni, spari , baccani popolari, campane a festa, baldorie, acclamazioni a perdigola”. I briganti, che sono entrati nella Grande Storia, tra cui Carmine Crocco, Ninco Nanco, Michele Caruso, erano privi di quelle grandi idealità che avevano e avrebbero guidato nei vari momenti storici gli uomini con il cuore rivolto all’emancipazione delle classi subalterne. Scrive Luciano Priori Friggi: “Le loro storie non avrebbero avuto niente di eccezionale rispetto alla sorte dei briganti pre-unitari. Senza la spedizione dei Mille essi sarebbero restati in carcere se liberi, sarebbero stati uccisi dalla forza pubblica oppure presi e impiccati, o internati nei bagni penali del regno…” “...il grande brigantaggio, specie nella sua fase più cupa, non essendo rischiarato da alcuna luce né politica né sociale, era sorretto solo dall’istinto di conservazione dei suoi membri e dalla pulsione distruttiva nei confronti del mondo esterno…il grande brigantaggio degli 1862-1864 fu solamente ferocissimo malandrinaggio di dimensioni apocalittiche mai viste”. “E mai, dico mai, un brigante ha posto al centro della sua azione la questione sociale, il riscatto dei poveri o l’assegnazione delle terre ai contadini." Come abbiamo già avuto modo di evidenziare, lo storico Cinnella attribuisce un “afflato” sociale solo ad alcuni piccoli gruppi vicini alla gente umile e, a mò di esempio, cita alcuni briganti minori, che non sono entrati nella Grande Storia, i quali agivano nel Materano. “Alla nostra salvezza contribuirono in massima parte i signori col loro potente ausilio, od almeno il loro silenzio. Io stesso che scrivo, nei vari anni della mia vita di bandito, dormii poche volte al bivacco, e trovai alloggio e ristoro presso personalità da tutti ritenute intangibili sotto ogni rapporto. Non fui mai tradito; molte di queste persone non mi tradirono per paura benché io non lo minacciassi, ma altre molte mi diedero ricovero per interesse e altri per cupidigia.” Per aver una consapevolezza dell’intreccio di interessi tra "signori" e briganti postunitari, intendiamo citare un episodio clamoroso, che testimonia il tipico gattopardismo delle famiglie ricche, pronte ad adattarsi al momento contingente. L’episodio è riportato da Basilde Del Zio, il quale ci comunica il tipico doppio gioco di tante famiglie ricche nei confronti dei nuovi governanti, dato che ufficialmente si proclamavano liberali e nel contempo trafficavano con i briganti. Come era diventata brigantessa Filomena Pennacchio? Dopo aver ucciso il marito, si rivelò spietata quanto i briganti maschi, e per questo era ammirata e rispettata. Dato che Schiavone era stato catturato per la soffiata di Rosa Giuliani, gelosa di Filomena, la Pennacchio decise di collaborare all’arresto di Agostino Saccatiello come forma di rivalsa. Così il generale Pallavicini poté conoscere che era il signor Michele Rago, luogotenente della Guardia Nazionale, con la complicità di suo zio Donato Rago, ad ospitare i briganti in una camera sotterranea. I signori Rago, sicuri, fecero entrare gli ufficiali di cavalleria e i bersaglieri. Così, mentre Sacchitiello con i suoi briganti banchettavano nel nascondiglio sotto la volta della galleria, gli ufficiali della Guardia Nazionale danzavano al piano superiore. Al momento opportuno la Guardia Nazionale catturò gli stupefatti Agostino Saccatiello, Vito Saccatiello, Giuseppina Vitale e Maria Giovanni di Ruvo. Si può immaginare l’incredulità dei signori Rago, i quali avevano aperto le danze, sicuri di trascorrere una serata memorabile. E così fu.
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