Le interviste impossibili: Napoleone Bonaparte

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Napoleone: il generale, lo statista, l’uomo

«Due volte nella polvere, due volte sull’altar… Fu vera gloria?»

Dicono che fosse alto appena un metro e cinquantacinque, ma che emanasse una grande autorità, un eccezionale carisma.

Non possaiamo che confermarlo: siamo andati in viaggio nel tempo, e ci troviamo dinanzi a Napoleone Bonaparte, il Primo Console, Imperatore dei francesi, Re d’Italia, il condottiero, vincitore di tante battaglie, l’autore del capolavoro guerresco di Austerlitz, colui che ha portato oltreconfine e fatto conoscere in tutta Europa gli ideali della Rivoluzione francese. E mi sembra un gigante.

Maestà, un nostro grande poeta e scrittore, Alessandro Manzoni, scrisse di lei, ammirato: “due volte nella polvere, due volte sull’altar”. La prima volta che perse il potere fu dopo la ritirata dalla Russia…

La campagna di Russia fu terribile. Persi 500.000 soldati. La mia Grande Armata tornò in patria decimata. Io guardavo quegli uomini superstiti e mi tremava il cuore. I miei soldati avevano un coraggio incredibile, si battevano come leoni, ma il “generale inverno” e lo spirito patriottico dei Russi li sconfissero. Fu terribile. Fu l’inizio della mia fine. Con loro, avevo dominato dalla Spagna alla Polonia. Io stesso ero alla loro testa, insieme ai mie fidi marescialli: era l’esercito migliore del mondo.

Le brillano gli occhi, mentre ne parla, Maestà…

Sa, io sono sempre stato un soldato, e, anche ora, sono un vecchio soldato. Un soldato che amava stare con i propri uomini, che desiderava respirare l’ebbrezza del campo di battaglia, per poi tornare tra le braccia della donna amata.

Si dice che i suoi uomini la adorassero: è vero?

È sicuramente vero per la mia Vecchia Guardia, per i grognards (i "brontoloni"). Io avevo costruito la Grande Armata, amalgamando vecchi soldati esperti e nuove reclute, che facevano subito esperienza sul campo. I miei ufficiali ed i sottufficiali non erano bellimbusti e damerini: venivano dalla gavetta, andavano avanti per merito, per il coraggio e le capacità dimostrate. Erano combattivi, determinati, con il morale alto… alla loro testa, mi sentivo invincibile.

Maestà, lei divenne generale a ventiquattro anni, Primo Console a trenta. Aveva un potere enorme anche così giovane: costrinse alla pace l’Austria e l’Inghilterra. Qual era la sua forza?

Erano tempi straordinari: bisognava sradicare l’Antico regime, le vecchie abitudini, i privilegi, le parrucche, il sistema sociale bloccato, i rimasugli feudali. La Rivoluzione … sa cosa feci, dopo la presa della Bastiglia? Eravamo nel 1789: le idee della Rivoluzione erano giunte anche in Corsica, la mia patria. Per affermarle, ho combattuto nelle fila di Pasquale Paoli, il patriota.

Ma avevamo idee divergenti: lui credeva nell’indipendentismo corso ad ogni costo e aveva mire di potere. Io avevo una prospettiva più vasta. Pensavo che gli ideali della Rivoluzione dovessero estendersi in tutta Europa. Sono andato in Franca, con tutta la mia famiglia.

Quali ricordi ha di sua madre?

Mia madre, Letizia Ramolino, era una grande donna. Si sposò a 14 anni con mio padre Carlo (allora il nostro cognome era Buonaparte) e ne rimase vedova a 24. Mi portava nel suo grembo, quando, dopo il 9 maggio del 1769, fu costretta a fuggire sulle montagne corse con mio padre, poiché entrambi erano partigiani dell’indipendentismo di Pasquale Paoli e combattevano contro i francesi, che avevano invaso la nostra isola. In quei momenti, ricordo mi diceva, sentiva che mi muovevo e trasalivo, come se fossi già impaziente di partecipare anch'io alla lotta”. Infatti, nacqui pochi mesi dopo, il 15 agosto.

Lei è stato il  più grande di molti tra fratelli e sorelle?

I miei genitori ebbero 13 figli, di cui ne sopravvissero 8. La nostra era una grande famiglia.

Era molto legato a tutti loro?

Sì, la famiglia è fondamentale, importantissima. Non per nulla, è al centro di un’opera di cui vado estremamente orgoglioso: il Codice Civile.

Infatti lei scrisse: “La mia gloria non è di aver vinto qualche battaglia. Ciò che nulla potrà offuscare e che vivrà in eterno è il mio Codice Civile”.

Ho presieduto di persona a 57 delle 102 sedute tenute dal Consiglio di Stato per discutere il progetto. La mia idea era giungere a statuire un sistema di valore universale, applicabile ovunque in base a quel diritto naturale, in cui la tradizione giuridica europea vedeva la radice di ogni forma e ordinamento di giustizia. Posso dire, a ragion veduta, di aver costruito un impero giuridico, oltre che politico e istituzionale.

Il suo Code Civile, del 1804, divenne, nel 1807, Code Napoléon.

Come le ho detto, ne sono assai orgoglioso. Nel 1806 seguì il Codice di Procedura Civile, nel 1807 quello Commerciale, nel 1808 quello di Procedura Penale, e nel 1810 quello di Diritto Penale.

Un corpus giuridico completo, il mio Impero imperituro, che sanciva in una sistemazione organica le principali e più durature conquiste della grande Rivoluzione francese: l’assunzione dell’individuo a base della normativa, la sua piena laicità, l’affermazione dell’uguaglianza dinanzi alla legge, l’abolizione del diritto di primogenitura e del maggiorascato e la conseguente parità ereditaria tra fratelli, la tutela della proprietà esentata da ogni servitù o limitazione di origine privilegiata o feudale, la individuazione della famiglia come cellula basilare per la vita sociale e per l’ordinamento giuridico, l’introduzione del divorzio, la piena autonomia delle parti nel negoziare contratti, col solo limite dell’interesse pubblico e del buon costume, l’equivalenza stabilita per i beni mobili fra proprietà e possesso.

Una grande opera, Maestà. Ma ora vorrei portare il discorso sulla sfera privata: ci parlerebbe di Giuseppina, la sua amata prima moglie?

Quando la conobbi, era vedova del generale Beauharnais, morto sul patibolo. Di origine era creola, nata Tascher. Era una donna bellissima: l’ho amata molto.

Sono famose le lettere che vi scambiavate…

Ah, sono giunte ai posteri? Beh, alcune sono un po’ .. come dire, licenziose. Ma dopo tanti anni …

Allora non me ne vorrà, se ne cito un brano… "Attenta, una notte sfonderò le vostre porte e mi infilerò nel vostro letto. Ricordatevi del pugnale di Otello!... Spero di stringerti fra poco tra le mie braccia e di coprirti di un milione di baci, ardenti come all' Equatore... un bacetto ben dato sul tuo robino. Mille baci su tutto".

Si, l'amavo?

L'amava e la incoronò imperatrice, vero?

Sì, nel 1804. Volli che la cerimonia si celebrasse nella cattedrale di Nôtre Dame, alla presenza di papa Pio VII. Posi da me stesso la corona sul mio capo: ero io l’artefice della mia sorte. E incoronai Giuseppina.

Sua madre non aveva buoni rapporti con Giuseppina..

Mia madre era una donna austera e severa: Giuseppina era spumeggiante, allegra, tutta un’altra donna. Non potevano legare.

E la sua seconda moglie, l’austriaca Maria Luisa d'Asburgo-Lorena?

Fu un matrimonio politico. Mi dette l’erede, l’Aiglon, Napoleone Francesco Giuseppe. Ho potuto stare poco con lui, ma l’ho amato molto.

Dopo Waterloo, a quattro anni, la madre lo portò alla Corte asburgica, da dove non fece più ritorno. Ma ho cercato di stargli vicino, in quel breve periodo. A sette anni, nonostante fosse cresciuto in un ambiente fortemente anti-bonapartista, mi scrisse una lettera. Per tutto il foglio, si leggeva: “Padre, vi amo e vi stimo con tutto il mio cuore”. E’ stato un grande dono, nell’esilio di Sant’Elena. Ero solo, stanco, malato: quella lettera fu l’unica gioia, dopo la sconfitta. È morto giovanissimo, povero figlio mio, di tisi.

Quanto costa essere immortali?

Costa tanto, costa il coraggio di mettere in gioco la vita, conquistare e saper tenere, saper vincere e saper perdere. Sono nella storia, con tutte le mie vittorie ed i miei errori. Sono immortale e sempre augurerò lunga vita al mio nemico perchè possa assistere al mio trionfo oltre il tempo.

 

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