Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Storia d’Italia e Scuola

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Oggi più che mai crediamo che i problemi dell’Italia  siano strettamente intrecciati con quelli della sua Scuola e della sua Università.

Se volessimo un po’ arbitrariamente scomporre la nostra storia nazionale e quella della nostra Scuola, potremmo forse individuare quattro fasi: dal Risorgimento alla Resistenza e alla Repubblica, dal Sessantotto alla Globalizzazione.

Tutte e quattro queste fasi determinanti nel processo di modernizzazione della Nazione e della sua Scuola oggi sono sottoposte a un tentativo, al momento ancora in corso e con esito ancora mal definito, di screditamento prima storico e poi politico ed educativo.

Tutto ciò aggravato dall’impressione e dalla sensazione che ancora gran parte della nostra opinione pubblica non se ne sia resa conto come pure probabilmente essa non si sia resa conto del disegno e del progetto politico di rivincita neo-oligarchica e identitaristica, ormai neanche tanto invisibile. Cominciamo dal Risorgimento.

Il processo di indipendenza e di unificazione della Penisola, pur escludendo e reprimendo il ceto contadino,  portò alla nascita e alla instaurazione di un governo nazionale e di una politica nazionale. E la Scuola ne fu la manifestazione, l’emanazione  e l’istituzione principale.

Essa non solo  sostenne e propagandò una ideologia nazionale che, purtroppo, gradualmente, ma inesorabilmente, col trascorrere del tempo, divenne nazionalistica, ma contribuì anche, nel bene e nel male, alla diffusione di una educazione nazionale e di una coscienza nazionale, limitata e carente quanto si vuole, ma, comunque, in via di elaborazione  e di  maturazione.

 

Fu almeno abbozzata e architettata una infrastruttura intellettuale e pedagogica che, anche attraverso mitologie, simbologie e ritualità pseudo-storiche e cerimoniali, propose un approccio global-nazionale in cui riconoscersi a scapito dell’atavico territorialismo e  dell’ancestrale, claustrofobico e ghettizzante localismo degli Staterelli pre-risorgimentali divisi e succubi dello “Straniero”.

 

Tutto sommato, anche  con uno sguardo retrospettivo  freddo , critico e tagliente, e pur con tutte le immense contraddizioni e immani ingiustizie sociali perpetrate, continuate e aggravate da una insufficiente, pavida, fragile e gracilissima classe dirigente borghese senza rivoluzione, il difficile e complesso  processo di unificazione mal riuscito e  incompiuto , ci reintrodusse, anche per mezzo di una carente Scuola nazionale, di nuovo, dopo secoli bui e amari, nell’ambito della Modernità.

Vennero gli anni oscuri del fascismo che contribuirono alla definitiva implosione delle anguste, decrepite e obsolete istituzioni liberali.

La Controrivoluzione fascista cercò di elaborare, progettare e predisporre una nuova  infrastruttura sociale in cui reinserire, contenendole e  pilotandole, le masse nazionali ormai incontenibili nell’insostenibile e  improponibile sistema liberale.

In qualche modo per qualche anno il fascismo sembrò riuscire a imbrigliare il movimento inarrestabile della società e della Scuola  verso la democratizzazione.

Ma la guerra, la fame, le evidenti restrizioni all’esercizio del  libero e critico  pensiero nella Scuola, nell’Università e nella Società e alla sua pubblica manifestazione ed espressione, la lotta e la Resistenza di tanti  italiani, che, anche grazie alle terribili e durissime prove maturate nelle dolorose esperienze  della guerra e della repressione fascista, non si sentivano ormai né sudditi del re né succubi del duce del fascismo, conclusero un’epoca nefasta e vergognosa e avviarono una stagione di trasformazione e di rinnovamento senza precedenti nella storia della Nazione risorta sulle macerie di una rovinosa e palingenetica sconfitta. Ci  fu la nascita e l’instaurazione della Repubblica democratica.

Si chiese e si ottenne dal basso una Scuola democratica.

Ma la Scuola della neonata Repubblica, pur diffondendo una cospicua alfabetizzazione di base, nei due decenni successivi alla fine del conflitto mondiale, non riuscì a scalfire e tanto meno a scardinare un sistema educativo che continuava a sbarrare l’accesso ai livelli superiori dell’istruzione ai ceti sociali meno privilegiati.

La Contestazione nelle Università americane, il rifiuto di modelli educativi ritenuti obsoleti e costrittivi, in Italia un sentimento politico giovanile che non si ritrovava più nel vuoto e ritualistico cerimonialismo resistenziale, aggravato da miopi e conservatrici politiche nazionali   di una repubblica avvertita come traditrice  dei suoi ideali  fondativi di liberazione sociale e politica non mantenuti e la richiesta immediata di liberalizzazioni istituzionali ed educative condussero alla nascita e alla formazione di quel movimento di protesta totale e globale che  non solo in Italia prese il nome di “Sessantotto”.

Fu un movimento sociale, politico e culturale che ebbe profonde radici non solo nelle masse studentesche e giovanili, ma anche in altri settori della società non solo italiana.

Esso  non raggiunse il potere né portò al potere l’immaginazione, ma fu un concreto e visibile contropotere mobile, fluido e flessibile che per anni determinò in una società obsoleta, bloccata e ristagnante una specie di “Rivoluzione permanente” che certamente non intaccò le strutture dure, vischiose e impermeabili di un potere forte e consolidato, ma che certamente ne bruciò le sovrastrutture.

Fu una vittoria di una intera generazione studentesca e giovanile che, nel bene e nel male, rivoluzionò l’anima profondamente retriva e classista  della  nostra Scuola e della nostra Università.

La nostra classe dirigente fu costretta a democratizzare concretamente ed  effettivamente gli accessi ai gradi superiori dell’Istruzione pubblica: non si nasceva più medici o avvocati, era data  la possibilità, strappata con una mobilitazione sociale senza precedenti, anche ai non privilegiati di diventare medici o avvocati.

Qualcosa che non si era mai visto e verificato negli annali della Storia patria, una vittoria meritata e guadagnata sul campo attraverso una costante  e prolungata pressione politica e sociale determinata e sostenuta da una ribollente ed effervescente contestazione  non solo studentesca e giovanile.

Ma la scuola e l’università di massa negli anni a venire furono lentamente e gradualmente disgregate e  tradite da una classe dirigente, complice l’affievolimento e poi il riflusso dell’onda contestatrice,  che le svuotò dall’interno non dotandole di politiche, strategie educative e curricoli innovativi e  adeguati, capaci di non solo di stare al passo coi tempi, ma soprattutto di anticiparli.

A ciò si aggiunga, almeno nell’ultimo ventennio, la crisi strutturale e sovrastrutturale delle istituzioni  educative e formative indotta dal processo di globalizzazione e dal suo opposto “reazionario” non solo italico, la rinazionalizzazione.

Al processo di cosmopolitizzazione, di ibridizzazione, di rottura di tutti i confini  geografici e disciplinari e di spaesamento ideologico, culturale, epistemologico ed educativo oltre che politico e sociale, soprattutto, ma non solo in Italia, si risponde col neo-territorialismo, il localismo e il neo-identitarismo che nascondono fobie e carenze non solo pedagogiche.

La Scuola e l’Università sono ritornate luoghi di autoreferenzialità storica, cognitiva e curricolare.

Nel tentativo di recuperare spazi da lungo tempo occupati dalla contaminazione interdisciplinare e dalla fluidità cosmopolitizzatrice che spezza e spazza ogni velleità di ritribalizzazione  “distrettuale” o neocomunalistica , gran parte dei nostri dirigenti e docenti agitano lo spettro ideologico di una globalizzazione  contro e senza “radici”.

Essi chiedono a gran voce un ritorno alle “radici” , ai “fondamenti” e alle “fondamenta” della cultura classica e cristiana.

A quanto pare, al pari degli islamici , anche noi in Europa e in Italia abbiamo i nostri “fondamentalisti”.

Come questi ultimi , i nostri docenti  non solo scolastici, non essendo in grado di rispondere alla sfida della globalizzazione e della cosmopolitizzazione e di delineare e  proporre un eventuale  progetto critico  e alternativo, si rinchiudono nell’orto concluso della “Tradizione”, del neoidentitarismo esclusivo e dogmatico e del neodisciplinarismo autoreferenziale e autoriflessivo.

Ma questi non improvvisati fondamentalisti dell’Occidente ormai si scontrano con una realtà planetaria  storica, politica e culturale che ha sempre meno bisogno non solo dell’educazione umanistica, che ormai è divenuta anche minoritaria dal punto di vista demografico ed educativo, ma anche dell’Occidente stesso.

La crisi americana, economica, politica e culturale,  le contraddizioni e le debolezze strutturali e sovrastrutturali  di un’Unione Europea fragile, incerta e ambiguamente neoimperialistica, alle prese con le sue reticenze nei confronti di una Turchia islamica molto più europea di tanti soci europei, rendono sempre più evidente e inarrestabile un processo di trasformazione epocale e  planetaria provocato e sostenuto dalla ribollente e dirompente irruenza del Dragone Cinese e dell’Elefante Indiano.

E non si tratta solo di una rivincita industriale, economica e finanziaria dei due Giganti Asiatici, pure determinante ed estremamente significativa, uno spartiacque nella storia del globo, ma soprattutto di uno stravolgimento della bilancia dei poteri globali.

Al tavolo delle vecchie potenze imperialistiche o neo-imperialistiche si stanno per sedere o si sono già seduti i due  nuovi e più agguerriti pretendenti che dall’Asia cominciano a minare e scardinare un antico, insostenibile e claustrofobico potere capitalistico e imperialistico fino ad ora incardinato solo su un ristretto club capeggiato dall’America.

A stretto giro di posta i due Colossi Asiatici si imporranno anche nella sfera dei poteri politici mondiali e non ci sarà da meravigliarsi se a questo nuovo insediamento egemonico delle ex nazioni  “in via di sviluppo” e periferiche nella metropoli imperialistica seguirà, come è già accaduto all’epoca del predominio dell’imperialismo occidentale, un processo di acculturazione globale che, quanto meno, sarà fortemente influenzato e determinato dallo strapotere dei Giganti Asiatici.

Ma di tutto ciò, di questi processi di lunga durata, della loro esistenza, della loro importanza e tanto meno delle loro conseguenze  neanche l’ombra e nemmeno la penombra nella decrepita fortezza della cittadella assediata delle certezze occidentali.

 

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