Il corpo delle donne in Afghanistan: una candela per Mah Gul
Aveva venti anni Mah Gul, la giovane donna decapitata tre settimane fa in Afghanistan dai familiari del marito perché non voleva prostituirsi. Il 9 novembre migliaia di donne e uomini afgani la ricorderanno a Kabul, accendendo per lei una candela al Parco Shar-e-Naw. Si era sposata quattro mesi fa a Herat, nell’Afghanistan occidentale e immediatamente dopo il matrimonio erano iniziate le pressioni e le violenze da parte della famiglia di suo marito per indurla a offrire ad altri uomini il proprio corpo. Di lei conosciamo soltanto il nome, non ci resta altro, neanche una fotografia. La sua storia, come quella di molte donne e adolescenti afgane, ha raggiunto a fatica il mondo occidentale. Come quella di Sahar Gul, un’adolescente di 13 anni, picchiata e rinchiusa per cinque mesi in un ripostiglio a Badakhshan, nel Nord del paese. Concessa per denaro in matrimonio a Ghulam Sakhi, un uomo di 30 anni, nonostante non avesse ancora raggiunto l’età di 16 anni prevista dalla legge afgana, Sahar Gul è stata indotta alla prostituzione dalla famiglia di suo marito, fino alla liberazione da parte della polizia nel dicembre 2011. Nel marzo successivo, ancora nel Nord dell’Afghanistan, sono stati arrestati un uomo e sua moglie, accusati di aver torturato con cavi elettrici una giovane donna, andata in sposa a quell'uomo in seconde nozze, la quale rifiutava di concedere per soldi il proprio corpo. Pochi giornalisti nel mondo occidentale raccontano queste storie. Lo ha fatto Monica Ricci Sargentini, nel suo Blog “Le persone e la dignità”, nato dalla collaborazione fra Amnesty International e il Corriere della Sera, dove ha denunciato fra l’altro il fenomeno delle bambine vendute per pochi euro dalla famiglia e costrette alla prostituzione in Afghanistan. Adolescenti offerte per denaro in matrimonio a uomini maturi, costrette a infrangere la legge e fuggire di casa pur di sottrarsi a violenze e abusi familiari. Anche per Mah Gul il mondo non si è fermato. La notizia della sua morte per decapitazione non ha raggiunto i media occidentali. Ancora una volta, il corpo delle donne in Afghanistan è stato offeso, venduto, umiliato. A Mah Gul ha ora dedicato uno scritto Noorjahan Akbar, attivista per i diritti umani, corrispondente dall’Afghanistan per “Safeworld” e co-fondatrice di “Young Women for Change”, un’organizzazione non governativa che si batte per i diritti delle donne in Afghanistan.
E’ l’invito alla memoria che è all’origine della manifestazione del prossimo 9 novembre al Parco Shar-e-Naw di Kabul. Qui di seguito il testo originale e la sua traduzione in italiano.
Suzanne Nossel, Direttore esecutivo di Amnesty International USA, ha denunciato che “la tragica uccisione di Mah Gul accende ancora una volta i riflettori sul clima di violenza che devono subire le donne e le ragazze adolescenti in Afghanistan, violentate, uccise, costrette al matrimonio fin da bambine, allontanate dalle istituzioni educative, sottratte ai loro diritti umani”. Anche il Rapporto del Dipartimento di Stato americano sul traffico umano in Afghanistan evidenzia i numerosi abusi e le tante violenze contro le ragazze adolescenti, invitando il governo afgano a rendere finalmente operativa una legge che dal 2009 intende eliminare ogni forma di violenza e di sopraffazione dei diritti umani verso le donne. Una legge che per il momento resta ancora inapplicata, come dimostra il caso di Mah Gul e delle tante spose-bambine costrette alla prostituzione in Afghanistan, di cui forse non conosceremo mai né il nome né la storia.
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