Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il sangue di San Gennaro tra miracolo e scienza

Condividi

Ci sono parole che grondano sangue. Ce ne sono altre che ti fanno sorridere. Non mancano quelle che ti fanno venir voglia di trasformare le tue voglie (nulla di perverso; solo di piccoli desideri si tratta) in pensieri comico-satirici. Si aggiungono, talvolta, quelle che ti vedrebbero capaci di far emergere il buio che davvero sia nascosto in te, con forza così irruente che Jekill e mister Hide fuggirebbero gamba in spalla se potessero vederti.

Se, poi, dovesse capitare di avvicinarsi a uno specchio insieme, trascurando i valori simbolici della superficie riflettente, lo spavento potrebbe far venire l’infarto anche a chi avesse un cuore bionico per dotazione ormai ampiamente sperimentata. Potrebbe, dunque, stare tutto qui, ne "Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde" (The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde).

Non occorre dir quasi nulla sul celebre romanzo di Robert Luois Stevenson, nato a Edimburgo (lo diciamo solo perché è davvero bello leggerlo in Inglese, cioè, più o meno, così: “Edimbra”…che sfizio!).

Di certo stiamo parlando dell’opera più importante di Stevenson e, chiaramente, anche di uno dei più grandi classici della letteratura fantasy.

Quasi nulla da dire anche sul fatto che siamo di fronte a una ipotesi di scissione della personalità, tanto cara alla cinematografia americana che più volte l’ha proposta dilatando le varie personalità in maniera esponenziale.
Sulla scrittura in senso stretto va detto, quasi come inevitabile obolo, che suscita non poche invidie in qualsiasi essere umano che sia costretto o voglia per piacere confrontarsi con la parola scritta, va detto: essa è lieve-parca, di chiarezza cristallina, esatta.

Peccato che a scuola non si insegni più a leggere (chissà se davvero ci sia stato un tempo in cui lo si faceva) per imparare a scrivere in quella maniera.

La natura del noto miracolo di san Gennaro si potrebbe agevolmente inscrivere in una tematica del genere, non fosse altro che per la scissione dell’umanità, nettamente divisa tra chi ci crede e chi no.

Una umanità che, almeno in questo caso, pare tagliata in due parti con un bisturi di ossidiana, notoriamente quello che lascia meno incertezze tra le due porzioni di pelle e consente, pertanto, una più precisa cicatrizzazione. E il bello sta nel fatto che ognuna delle due parti vive quasi senza dar peso all’altra, limitandosi ogni tanto a rilevare i profili folcloristici o l’aridità-rigidità scientifica.

Non si può, però, trarne che le due sezioni siano uguali, o che lo resteranno, essendo ampiamente sottoposte alle mode, ai bisogni della umanità, alla capacità di persuasione dei mezzi di informazione e così via.

Noi, per dividerci e perorare una o l’altra causa, dovremmo avere due sole personalità. Si intende: due in tutto. Ma siamo in due a scrivere; alla luce di “Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hide” ne dovremmo avere almeno ben quattro.

La faccenda diventerebbe complicata. Pertanto è meglio se da questo momento in poi si occupi della questione di San Gennaro una sola delle personalità di ognuna. Ciò consentirà di abbracciare almeno due tesi, senza essere costrette a dire cosa davvero si pensi. Non sarà facile.

Proviamoci, partendo dalla invenzione di Stevenson:

“Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m’ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.”
Da dove può nascere un pensiero del genere?

Si potrebbe sganciare questa analisi dalla storia di un individuo, dal luogo in cui nacque? Ecco, qui, in questa sola citazione, riferendola a San Gennaro, più esattamente san Januario, ci si trova di fronte a un primo mistero. Se si volesse stendere la sua biografia sarebbe necessario chiedersi e dire dove nacque.

Quindi: nacque dove? A Napoli o a Benevento? Come non bastasse questa incertezza, non è mancata la terza via,. Infatti c’è stato chi si sia alzato e abbia detto: “NO! Nacque in Calabria, a Caroniti, frazione di Ioppolo, nella provincia della attuale Vibo Valentia”.
In mancanza di ricordi personali, si ricorre alle scritture, cercando certezze. Purtroppo, in questa caso, non risolvono il dilemma neanche gli Atti Bolognesi del VI-VII secolo o gli Atti Vaticani del VIII-IX secolo, che sono la fonte documentale più pregiata. Pertanto: confessata la insuperabile ignoranza, conviene alzare le mani e passare avanti, essendo davvero impossibile risalire alla verità storica.

Data di nascita: anno 272 d.C. Sulla morte non ci dovrebbero essere incognite: 19 settembre 305. 272 d. C. a Pozzuoli. Fu anche indubbiamente vescovo e martire. Nel suo futuro ci sarebbe stato l’assurgere al trono del più importante patrono di Napoli.

Ma perché?

Siamo nell’epoca di Diocleziano; al principiare del IV secolo. L’imperatore non dà tregua ai cristiani. Januario è vescovo di Benevento, la città delle streghe, tanto per intendersi. Con persone a lui vicine si reca a Pozzuoli in visita pastorale. Sossio, diacono di Miseno, vuol partecipare; ma viene arrestato lungo il tragitto da sgherri di Dragonzio.

Questi è il governatore, termine di nuovo a la page, della Campania. Januario e altri che vanno a in visita alle carceri, vengono arrestati e condannati a morte: avrebbero dovuto essere mangiati dagli orsi.

Il set prescelto fu l’anfiteatro puteolano. Riescono a schivare il supplizio per il rotto della cuffia: manca il governatore.

La sospensione della condanna è inevitabile; ma non gli viene certo salvata la vita: la pena è commutata nella decapitazione ed eseguita vicino alle solfatare di Pozzuoli.

È l’anno 305. Il corpo, come accade a una infinita serie di santi, subisce varie peripezie; dall’Agro Marciano, luogo in cui si individua la prima sepoltura, viene traslato nelle Catacombe note, appunto, come “Di San Gennaro”. E siamo nel V secolo d.C.
Sono, queste, tesi non poco controverse e, infatti, negli Atti Vaticani si narra una infinità di altri fatti, di cui non vi è prova. Si succedono altri set (Nola, a es.) e personaggi, tra cui un giudice da brividi (Timoteo) che ne avrebbe disposto la prigionia con contorno di tortura. L’epilogo è tra i più tristi dei possibili: avrebbe dovuto bruciare in una fornace ardente.

Fine che ricorda non poco quella del nolano Giordano Bruno. Ma Ianuario si salva senza riportare neppure la più lieve delle scottature; bruciano, invece, i miscredenti accorsi per vedere la sua fine. Alla fine, e in ogni caso, Januario viene fatto sbranare dalle fiere nell’anfiteatro diPozzuoli.

Qualunque siano state le modalità della morte (per la tradizione popolare venne decapitato), subito dopo sarebbe stato conservato del sangue, così come usava farsi. A compiere il pietoso gesto fu Eusebia; lo racchiuse in due ampolle.

L’attualità: il duomo dove si conservano le due ampolle con il suo sangue (non può che essere vissuto con lo stesso alone di mistero che aleggia sul luogo di nascita) attira una infinità di fedeli. La domanda: ma quelle ampolle lo conservano o no il suo sangue? Tentare una risposta che non rimandi alla fede più piena o alla visione scientifica più secca è difficilissimo.

Ricorda un po’ l’atteggiamento di una buona fetta di italiani al tempo del terrorismo: “Né con lo Stato, né con le BR”. Questa è da tutti stata ritenuta materia delicata assai; lo è pure quella che verte sul contenuto solido delle ampolle che tre volte l’anno si liquefa e diviene per molti ilsangue di San Gennaro.

La fede è già sin qui emersa come filo conduttore essenziale. Sulla scienza: non mancano gli studi che avrebbero documentato l’assoluta falsità del fenomeno. Per molti scienziati il fatto è riproducibile in laboratorio e già ai tempi in cui Januario visse esistevano le soluzioni per creare un fenomeno miracolistico come quello dello scioglimento di una massa solida. Si può subito sottolineare, dunque, che la scienza non nega il fenomeno, bensì le cause.

Oltretutto, ma ciò è normale, non sono mancati i parapsicologi che ammettono la fondatezza. Un esempio è Hans Bender che ne assume essere il fenomeno paranormale con la migliore e più lunga documentazione storica che si conosca. Pare che anche Enrico Fermi abbia dimostrato interesse per il fenomeno.

La prima volta che la faccenda si verificò, con la stesura di prove documentali, risale al 17 agosto 1389. Una cronaca di Napoli, infatti, risalente al 1382, seppure faccia riferimento al culto per il santo, non dice nulla né del miracolo né della reliquia. Questo induce a opinare che il “sangue di San Gennaro” sia una delle tantissime reliquie apparse in epoca medioevale.

Ritornando alla attualità: la reliquia è un’antica boccetta di vetro. Si conserva sigillata; è tonda, piatta. Si stima che il volume sia di 60 millilitri. È riempita a metà di una sostanza scura. Potrebbe essere corretto dire “sconosciuta”. sconosciuta.

La bottiglietta, insieme a un’altra più piccola, vuota, è conservata fra le due pareti di vetro tonde di un minuscolo reliquario di argento. È quello che si vede portato dal vescovo nelle processioni e impugnato durante le cerimonie, quando viene staccato dalla sua base, portato avanti e indietro e capovolto, nel gesto di verifica della liquefazione. È chiaro come a fenomeno avvenuto la massa scura possa fluire liberamente nel suo recipiente davanti agli sguardi dei fedeli e delle telecamere. È risaputo come talvolta tutto accada presto; altre volte dopo ore o giorni.

Rispetto al fenomeno si aggiungono molti altri particolari: la massa liquida bolla o spumeggia; il suo colore cambia da marrone scuro a marrone rossastro; il volume e anche il suo peso varierebbero e in qualche caso il cosiddetto “globo”, è vista a volte rimanere temporaneamente solida nel liquido.

Gli scienziati hanno avanzato un approccio razionale.

Qualora si prelevi del sangue umano da un essere vivente e versato in un recipiente, il fibrinogeno, che è una proteina solubile del siero, forma una rete di fibrina. Questa è insolubile; a sua volta lega gli eritrociti (i globuli rossi) e forma un coagulo della natura gelatinosa. Se questo coagulo viene disgregato meccanicamente una prima volta, nessuna ri-coagulazione successiva sarà più possibile. Per questo motivo la ri-solidificazione di un campione di sangue sarebbe ancor più miracolistica della liquefazione. La ri-solidificazione della reliquia di Napoli in genere avviene quando essa è riposta nella nicchia e chiusa a chiave.

Si sono proposte numerose spiegazioni non scientifiche, che non richiedessero l’intervento di un potere miracoloso e invocate influenze di varia natura: forze “magnetiche” dovute alVesuvio; psicocinesi realizzata dalla moltitudine di fedeli; effetti di poltergeist e interventi di spiriti.
La scienza, invece, ha con decisione affermato che siamo di fronte a trucco da prestidigitatore abile ed esperto. Ovviamente ciò richiederebbe la successione nei secoli di una folla di manipolatori esperti.

Altra tesi suggestiva ha a che fare con l’effetto della luce sulla massa solida tenuta normalmente al buio. Vi sarebbe un passaggio dello stato da solido a liquido e il contrario per effetto della luce.
Altra ipotesi sarebbe la proliferazione di microorganismi. Di ciò non sono stati forniti esempi.
E ancora: la sostanza risentirebbe degli effetti dell’umidità. Ma appare difficile data la natura del contenitore che è sigillato.
Non sono mancati gli scienziati che hanno voluto riprodurre il fenomeno.

Come se leggere nel libro “Spiegare i miracoli: interpretazione critica di prodigi e e guarigioni miracolose”, di Maurizio Magnani nel 1890, Gaetano Albini, un chimico napoletano, usò due diverse misture: cacao in polvere e zucchero in acqua; caseina e sale in siero di latte. Sono delle dense sospensioni di solidi in liquidi più pesanti, concepite per separarsi formando una crosta sulla superficie. Quest’ultima può essere abbastanza solida da funzionare come una sorta di tappo per la parte liquida sottostante, impedendole di fluire liberamente nel recipiente e facendola così sembrare solida.

Scuotendo, i due componenti vengono mescolati, simulando il cambiamento di stato.

Sebbene interessante come approccio razionale, questa simulazione era piuttosto rozza e per nulla convincente se paragonata alla reliquia.

Non è mancato chi non abbia rilevato come in questa tesi vi sia un anacronismo: il cacao non era noto alla fine del ’300.
Ciò non toglie, però, la possibilità che le ampolle siano state sostituite in tempi più recenti; come è accaduto in altri casi e come si sostiene sia accaduto per le reliquie di san Lorenzo.

Un’ipotesi realistica rimanda a una ignota miscela dotata di un basso punto di fusione, solida se conservata al freddo, clima che si dovrebbe rinvenire nella nicchia dove si conserva, che tende a
sciogliersi quando viene portata all’altare, tra la folla di fedeli e sotto l’influenza di altre sorgenti di calore, come le candele accese.

Si tratta di una ipotesi non nuova, descritta sin dal 1826. è caratterizzata dall’uso di varie ricette che, di volta in volta, si basano su cere, grassi, gelatine colorate . Una ricetta di facile riproduzione, che non presta il fianco a critiche di anacronismi, è quella da Nickell e Fisher. Si parte da una base di olio di cocco, che ha il punto di fusione attorno a 22-23 °C. Miscele come questa possono avere un punto di fusione affatto diverso, ma quando la miscela è stata creata, il suo punto di fusione rimane fisso.

Ovviamente la cerimonia del miracolo della liquefazione può essere eseguita in stagioni e a temperature diverse: maggio, settembre, dicembre. Ciò implica dei problemi che la chiesa ha tentato di risolvere cercando di evitare il cambiamento di temperatura.

Infatti e candele non vengono più portate vicino al reliquario.
Vi è un’altra ipotesi che parte dalla proprietà posseduta da alcuni gel, capaci di passare dallo stato solido a quello liquido se scossi o lasciati vibrare; hanno anche la proprietà di ritornare allo stato solido se lasciati a riposo. Questa è nota come “Ipotesi tissotropica”.

Ci si imbatte in esempi del genere anche nella vita quotidiana. Accade, a esempio, anche con la salsa ketchup, la maionese, il dentifricio, molti tipi di vernici e inchiostri dove il colore diventa sufficientemente fluido se si stacca dallo strumento di applicazione, rullo o pennello, e viene steso sul supporto da dipingere, ma deve scorrere il meno possibile quando è lasciato a riposo.

Queste ipotesi non implicano una frode voluta per realizzare il “miracolo”, pur non rimanendo del tutto esclusa.

Si segnala, in ogni caso, come nel corso dei secoli siano avvenute liquefazioni inattese, mentre il reliquiario veniva maneggiato per riparare la sua struttura. L’ultima volta documentata si verificò nel 1965, davanti all’obiettivo fotografico di un inviato della “Domenica del Corriere“.

Va segnalato come la tissotropia sia così poco conosciuta da permettere ai successivi esecutori del rito di cadere nell’autoinganno. Peraltro, eliminando il ricorso alla malafede, non c’è più il problema di spiegare come sia stato possibile e lo sia ancora conservare un segreto di tal fatta per 600 anni. Oltretutto, l’ipotesi tissotropica non esclude l’influenza delle variazioni di temperatura sulle anomalie di comportamento della reliquia.

 

Statistiche

Utenti registrati
136
Articoli
3167
Web Links
6
Visite agli articoli
15185627

(La registrazione degli utenti è riservata solo ai redattori) Visitatori on line

Abbiamo 451 visitatori e nessun utente online