Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

L’ incompiuta Napoli borghese

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Corsi e ricorsi storici. La regola si applica bene alla storia della borghesia napoletana, ad oggi incompiuta classe sociale. Eppure la città ce l’ha messa tutta, ma la storia le ha sempre negato l’evoluzione della sua borghesia, limitandola a divenire oggi una modera classe dirigente.

E’ questa la storia di scontri tra uomini, tra movimenti politici, tra diversi gruppi sociali, tra dinastie reali, tra stati, tra conquistatori e conquistati, tra il popolo e gli intellettuali. Ma la storia ha ogni volta spezzato la crescita della nascente borghesia di Napoli. Spesso la spinta propositiva di politiche progressiste di sovrani illuminati, furono interrotte bruscamente dai successivi regni restauratori. Accadde dopo la nascita della primordiale borghesia napoletana, nel XIII secolo.

Federico II di Svevia (1220-1250), costituì una “repubblica” delle scienze e del pensiero fatta da: matematici, astronomi, medici, filosofi, intellettuali di tutte ideologia, fino ad allora represse dal potere temporale della Chiesa. Successivamente gli Angioini bloccarono questo sviluppo e restaurarono il potere feudale e clericale.

 

Mentre l’ Italia centro-settentrionale sviluppava una fiorente classe borghese di origine mercantile che avrebbe costituito i Comuni e le Signorie, basi politiche dello sviluppo del successivo Umanesimo e del Rinascimento, nella Napoli Angioina le leggi erano dettate in nome della tutela papale, dei feudatari restaurati, dei baroni e degli ordini monastici.

E’ soprattutto questa la storia di uno scontro sociale, tra classi promotori del progresso della città e classi restauratrici dei poteri feudali e clericali. Nel periodo Aragonese (1442, 1503), lo scontro si perpetrò tra il fiorente ceto borghese napoletano e la classe baronale. Re Ferdinando I d’ Aragona (detto Ferrante) capì che, per difendersi dalle congiure dei baroni, intenti a radicalizzare il loro potere feudale atavico, avrebbe dovuto contrapporli ad una nuova classe sociale: ricca, laboriosa, borghese, che fosse antitesi dei baroni inetti e parassiti.

Un ruolo importante all’interno di tale scontro sociale fu interpretato dal popolo dei lazzari, che nella storia partenopea ha ogni volta assunto il ruolo di risorsa violenta ed intimidatrice della classe restauratrice e dei ceti parassiti. Fu spesso strumentalizzata agli interessi ed alle ambizioni dei potenti baroni che non seppero col tempo maturare in una classe borghese moderna ma si contrapposero ogni volta alla nuova borghesia nascente e del clero che indottrinò la plebe ad una fede cieca, bigotta e molto spesso confusa con la superstizione profana.

A Napoli i lazzari si amalgamarono definitivamente durante il vice reame spagnolo (1503-1701).   Da tale massa scaturirà una zona sociale di sostanziale impunità da cui si formerà la moderna camorra.

La borghesia Napoletana non emerse mai vittoriosa anche a causa di una storica difficoltà di comunicazione verso il popolo che avrebbe dovuto costituire la sua base “politica”. Accadde durante la Repubblica Napoletana del 1799, in cui il conflitto tra il popolo dei lazzari e il ceto progressista si manifestò violentemente, presentandosi sotto forma di scontro tra movimento rivoluzionario e controrivoluzionario. Fu noto che la propaganda repubblicana non attecchì mai nel sentimento popolare perché fu troppo spesso aristocratica ed illuminata, troppo distante dal comune sentire e vedere del popolo analfabeta, cieco di una dottrina religiosa mista alla superstizione.

La direttrice del Monitore Napoletano, Eleonora Pimentel de Fonseca, già all’epoca capì l’inutilità di tale propaganda senza prima avviare una campagna di sensibilizzazione popolare che preparasse il terreno alla divulgazione degli ideali repubblicani in tutti i ceti sociali. L’incapacità di comunicazione tra repubblicani e popolo, determinò lo scollamento sociale da cui nacque la controrivoluzione Sanfedista.

La plebe si mosse a favore della monarchia e del clero perché strumentalizzata dalla mancanza della paterna protezione del re Borbone nei confronti del suo popolo bambino, innescando la ferocia sanfedista contro i giacobini napoletani dipinti dal clero come manifestazioni diaboliche. Il popolo, se mai fu tale, ritornò plebe, così come ricorse nella precedente esperienza rivoluzionaria di Masaniello nel secolo precedente.

Ricorsi storici si ebbero anche con la caduta dei Borbone (1861), ostili ai movimenti liberali del risorgimento, e dopo la formazione dello Stato unitario, colonizzatore del Sud. L’assenza di un forte e maturo ceto borghese impedì alle Due Sicilie, il regno più grande e ricco d’Italia, di trasformarsi nello stato liberale e protagonista dei movimenti unitari.

Ferdinando II, il cui regno durò dal 1830 al 1859, perse una enorme occasione perché spazzò via la intellighenzia del suo regno. Se avesse coltivato la crescita del ceto borghese liberale, avrebbe potuto contrastare efficacemente l’opposizione della propaganda unitaria degli stati del nord e delle potenze internazionali,  completando la trasformazione sociale del suo regno, certamente già industrializzato quanto il resto d’Italia.

Un substrato sociale che avesse difeso gli ideali nazionali del Regno delle Due Sicilie, avrebbe indotto la città di Napoli ad assumere il ruolo di protagonista all’ interno del movimento di unificazione e non lasciare che la città fosse trattata come terra di conquista.

Lo Stato unitario, prima monarchico e poi repubblicano, ha ridimensionato la città di Napoli, così come tutto il Sud d’Italia, gestendola come una colonia, disinteressandosi della maturazione sociale del popolo, ostacolando nuovamente la sviluppo della classe dirigente napoletana. Il controllo sociale, economico ed industriale, anziché affidarlo a questa, fu molto spesso consegnato alle organizzazioni malavitose, divenute evoluzioni di ciò che a Napoli fu l’antico popolo dei lazzari.

Una moderna classe borghese oggi a Napoli non c’è.

L’incompiuta borghesia è chiusa nel suo pensiero, non ancora attiva in una imprenditorialità di lungo respiro, spesso lontana dal mondo reale, incapace di comunicare al resto del popolo il suo progetto di sviluppo.

Oggi è come se vivessimo nella Napoli del periodo spagnolo. Conquistati e colonizzati da un popolo straniero, vittime internamente della violenza dei lazzari. Ma se la storia si ripete, allora vorrei auspicare per Napoli il tramonto di questa fase e la successiva rinascita culturale e sociale così come avvenne durante la Repubblica Napoletana del 1799 che possa gettare solide basi per una lungo periodo di prosperità economica ed industriale di Napoli.

 

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