Digitalizzazione nelle sale cinematografiche: l'urlo di Ruggero Cappuccio

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Pubblicato Martedì, 31 Luglio 2012 20:53
Scritto da Alessia e Michela Orlando
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Un sussurro nel deserto è un grido. Se si pensi non sia vero, basterebbe chiederlo e chi ci sia stato. Non è difficile credere a certe storie.

Pare si possa sentire l’avanzata armoniosa dei serpenti, ma anche del singolo granello di sabbia che, sin troppo velocemente rispetto all’apparente immobilità, scende verso valle, lungo il declivio di una duna, per cedere il proprio corpo all’insieme di granelli che ne formeranno un’altra.

Sarà diversa la nuova duna, ma lo stesso destino la lega alla precedente. In quell’apparente armonioso silenzio la vita brulica, checché se ne dica, in apparenza sempre identica a sé stessa, eppure mai davvero uguale.

Meraviglioso quel precario equilibrio. Se si vivesse lì si avrebbe il modo di intervenire senza disturbare, così, tanto per raccontare una fiaba, a esempio.

Non occorrerebbe gridare e si avrebbe la certezza di fare addormentare o di trasmettere la morale, senza ostacoli. Benessere da silenzio, di questo si tratta.

 

È lo stesso contesto che si parò davanti allo sguardo una notte di luna piena nel Cilento, a Laurino. Le catacatosce, così si chiamano le lucciole in quella zona, avevano smesso di occhieggiarsi.

Si era non lontano dal bosco dove, in una notte ottocentesca, fu appiccato il fuoco della rivoluzione cilentana per conseguire una costituzione che fosse davvero emancipatoria, per tutti.

A due passi il teatro settecentesco stava cadendo. Ogni parola, solo sussurrata si sentiva chiaramente.

Crediamo che Nicola Piovani avesse in mente proprio questo quando ha segnalato la necessità di evitare la musica passiva, nonché le problematiche economiche connesse allo sfruttamento dell’opera di ingegno artistico.

Certe melodie non le deve imporre nessuno e il silenzio è già musica. Fruire del benessere da armonia musicale deve essere una scelta e nulla che leda questa libertà deve essere imposto in luoghi frequentati da singoli e collettività. Fondamentali, dunque, il silenzio e la libertà.

Sarà un caso se nel deserto e nel Cilento nessuno urla? Sarà un caso se un cilentano di origine, il drammaturgo e scrittore Ruggero Cappuccio abbia voluto, di recente, in ben due occasioni, alzare la voce?

Lo ha fatto una prima volta relativamente a una faccenda che si pretenderebbe relegare tra quelle squisitamente napoletane.

Ha gridato, in soldoni: Diamo le chiavi del teatro al Maestro Roberto De Simone.

Non si tratta di una questione napoletana. I teatri devono vivere e c’è chi sa apportare ossigeno vitale, anche dove non sono mancati miasmi letali. Perché rinunciarci? A chi gli ha obiettato: Ma il maestro se ne è andato, sta avviando un progetto a … Ruggero Cappuccio, crediamo con tono serafico, ancora in soldoni, ha risposto: E che fa? Nulla vieta avviare due progetti.

Chapeau.

La seconda volta: venerdì scorso. Basta aprire il venerdì di la Repubblica, rubrica ZONA CRITICA.

Ci ha impressionato il titolo: IL DOPPIO COLPO CHE METTERÀ KO LE PICCOLE SALE DI CINEMA E TEATRO.

Il DOPPIO COLPO ha rappresentato per noi un momento di studio sul campo.

Si stava analizzando la figura di Giangiacomo Feltrinelli per una idea narrativa.

Da lui, dal traliccio di Segrate, eravamo giunte al ’77, ai vari movimenti, agli espropri proletari e a una tecnica di esproprio successiva agli attacchi in massa di giovani che lottavano assieme agli operai.

Spesso affiancavano anziani caduti in povertà. Si vedevano, quasi per caso, nei reparti alimentari dei supermercati, i luoghi dove attualmente si abusa nell’uso della musica.

Il loro passo e le intenzioni erano diverse, ma le mani si allungavano verso generi di prima necessità.

Il doppio colpo: una finezza così semplice che, dal punto di vista degli anziani caduti in povertà in questo presente, è un peccato non si possa più ripetere.

Troppi controlli da telecamere e lettori di codici che non lasciano più passare neppure un filo di paglia senza pagare, magari con la carta di credito, che è obbligatorio possedere.

No, oggi il doppio colpo non si potrebbe fare: tu entravi; acquistavi, caso mai un capo di vestiario costoso; uscivi; consegnavi il capo ad altra persona e rientravi; con lo stesso scontrino potevi entrare e uscire a ripetizione.

Quindi, non solo doppio colpo, ma anche triplo, quadruplo … Se ti beccavano? In prigione!

Roba da brividi addosso al solo pensiero.

Non saremmo state capaci né di ideare cose del genere né tantomeno di farle.

Tutti avrebbero compreso, dal viso, che eravamo delle ladre e, alla sola intenzione di partecipare a quello che era diventato un rito giovanilistico e non solo, ci saremmo viste condannate anche alle pene dell’inferno, pur essendo dubbiose sul fatto che esista. Proditorio tutto ciò?

Silenzio. Certi fatti vanno solo descritti, soprattutto quando non siano ancora storicizzati.

Si può segnalare, tuttavia, che in pochi decenni si è visto affermarsi un processo di sterilizzazione di massa e delle masse. Il virtuale ha dilagato e a un fenomeno di impoverimento non consegue un movimento di lotta.

Se ne sta immobili, quasi come se tutti avessero interiorizzato il pensiero di Mao Zedong: Se qualcuno tenta di sodomizzarti non agitarti. Faresti il suo gioco.

Molto cristiano tutto ciò: tu mi dai una sberla; io me la tengo; io pongo l’altra guancia; io attendo altra sberla. Tanti io, perché intanto, ad attendere l’altra sberla, si è tutti.

Si può starsene immobili se ti viene sottratto un bene di prima necessità? Si può subire un DOPPIO COLPO ben diverso da quello descritto, senza che la società e i giudici ci possano mettere mano? Scrive Ruggero Cappuccio: «Nel nostro Paese la cultura dello Stato è precaria.

Lo dimostrano i numerosissimi reati contro il patrimonio, l’evasione fiscale, le attività illecite strutturate e la temperatura altissima di ‘ndrangheta, mafia e camorra.»

Prosegue: «Nel nostro Paese è precario anche lo stato della cultura, causa centrale della desensibilizzazione sociale che narcotizza il teatro, e il cinema.

Oltre alle chiusure dei perimetri archeologici di Pompei, dove cadono muri che nessuno rimetterà più in piedi, si preparano anche chiusure silenziate di auditorium, sale cinematografiche indipendenti, piccole e medie platee teatrali.

La strategia di annientamento si articola in un dritto e un rovescio che si chiamano Imu e digitalizzazione.»

Se Ruggero Cappuccio fosse solo un “officiante”, uno che dei riti della cultura è Maestro, non staremmo a cercare la coerenza.

Le sue parole sarebbero sacrosante e a noi basterebbero.

C’è, però, che egli è anche colui che ha scritto ESSENDO STATO, che dalle parole di Borsellino trae il sangue vitale per dirci cosa davvero sia accaduto e, in filigrana, cosa non dovrebbe accadere, al di là dei processi, e non è un caso se le fa recitare anche ad altri magistrati.

Non basta. C’è anche che alla inaugurazione del teatro di Laurino lui fu protagonista, con altri importanti nomi del teatro tout court, e seppe dire parole di verità.

Quel teatro, come tanti spazi sacri destinati alla cultura, vive già la crisi e se ne può immaginare il definitivo crollo.

Si può, dunque, accettare questo silenzio e l’immobilismo, anche se strategico? Si può ritenere di dover porgere l’altra guancia?

La risposta non la sa solo il vento e ci pare necessario fare quel che si deve e si può.

Inizieremmo da una proposta operativa e semplice: si cerchi la pagina di il venerdì di Repubblica del 27 luglio 2012.

Si vada a pagina 162, rubrica ZONA CRITICA; la si fotocopi nel numero di copie che si vorrà e si potranno realizzare (in tempo di crisi nessuno se la sentirebbe di dire fatene dieci o venti o mille); ci si avvicini a un amico e se ne faccia regalo.

Potrebbe anche andare bene affiggerla a una panchina con un po’ di nastro adesivo. Poco, vi raccomandiamo, che costa e inquina.

Chi fosse già più tecnologicamente avanzato: si produca una scansione (scusate se non diciamo scannerizzate: non ci piace) e si spedisca in allegato a una mail a tutti i contatti e, soprattutto: ai politici, ai ministri, a Mario Monti e, perché no?, alla Presidenza della Repubblica.

In alternativa: se ne parli dappertutto.

Cosa attendersi: che si faccia ciò che già si fa in Francia e in Germania. Lo dice pure Ruggero Cappuccio.