Il ritratto di Ettore Carafa, Conte di Ruvo: trovata la prova schiacciante del falso storico

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“Il tempo è galantuomo e rimette ogni cosa al suo posto” avrebbe detto Voltaire, e così è stato.

Dopo circa tre anni, da quando avevo sollevato dei grossi dubbi sull’autenticità del ritratto di Ettore Carafa, il Conte di Ruvo (1767-1799) - dato per inedito e pubblicato a suon di grande scoop nel 2008 da una fotografa pugliese -  è finalmente giunta la prova schiacciante del falso storico.

In occasione delle celebrazioni per il 150 anni dell’Unità d’Italia, il Comune di Napoli, in collaborazione con la Società Napoletana di Storia Patria e la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, ha ristampato una riproduzione anastatica dell’edizione originale, quasi introvabile, del catalogo di una mostra storica curata da Salvatore Di Giacomo, che nel 1911 fu allestita nelle sale municipali della Galleria Umberto.

Lo scopo della mostra fu quello di riunire in occasione dei cinquanta anni  dell’Unità d’Italia, ritratti, documenti ed oggetti appartenuti ai protagonisti del Risorgimento italiano dal 1799 fino al 1861.

A tal proposito Salvatore Di Giacomo, pur contando sull’aiuto di altri storici tra cui Benedetto Croce, Alfonso Fiordelisi e Riccardo Carafa, essendo curatore unico della mostra, si prese l’onere di acquistare a sue spese larga parte del materiale. Altri oggetti provennero, invece,  da archivi e collezioni private.

Ed è proprio dalla collezione privata dei Carafa D’Andria che quel ritratto - nel 2008  riproposto con la velleità d’essere inedito ed attribuito ad  Ettore Carafa - veniva presentato alla mostra del 1911 nella sua vera identità, ossia per il ritratto di Riccardo Carafa D’Andria, il padre di Ettore il patriota repubblicano giustiziato il 4 settembre 1799.

Mi sento in dovere di ringraziare non solo il Comune di Napoli che nel 2011 ha avuto la preziosa idea di ristampare in anastatica il catalogo completo del 1911, ma soprattutto la mia collaboratrice, Nicoletta Mazzone, che mi ha segnalato e fornito copia del volume ristampato, comprovando la legittimità di quelle che nel 2009 furono delle mie istintive intuizioni.

Sentivo che quello non era Ettore Carafa e quel mio “sentire” oggi ha trovato un suo inconfutabile fondamento.

 

Ne avevo già lungamente parlato nel mio lavoro del 2009 “La Penna e la Spada”, avvalorandomi di una perizia tecnica che richiesi sul ritratto e da cui risultarono una serie di particolari che comprovarono una serie riflessioni e deduzioni mie: quel nobile signore spacciato per  il Carafa, eroe della Rivoluzione Napoletana del ‘99, non era Ettore, ma probabilmente un parente.

Un particolare, allora mi era risultato schiacciante più di ogni altro, ossia la netta antitesi tra un identikit  divulgato dalle guardie borboniche risalente a quando il conte di Ruvo era evaso dalla prigione di Castel Sant’Elmo, ed i caratteri somatici dell’uomo che nel 2008 veniva presentato nel suo inedito ritratto.

“Statura piuttosto bassa, corporatura delicata, capelli e ciglia castani e ricci, occhi cerulei, viso ingrugnato”.

[M.D’Ayala – Vite degli italiani benemeriti della libertà – Roma 1883]

La descrizione puntuale dell’identikit non lasciava alcun dubbio specie sul colore degli occhi azzurri che certo, negli anni non potevano essere stati soggetti a cambiamenti. Da lì il mio primo dubbio quando mi ritrovai di fronte al ritratto di tutt’altra persona, dagli occhi scuri e dalla fisionomia totalmente diversa.

Contattando la fotografa autrice del volume sulla cui copertina troneggiava il volto di questo nobile signore settecentesco (e non sto qui poi a discutere degli ulteriori falsi ed inesattezze contenute nella corposa monografia) la signora decantava e difendeva a spada tratta il suo scoop, ed ebbe subito premura a chiarire che esso apparteneva ai cimeli della famiglia dei Carafa D’Andria ed era stato messo a disposizione dall’ultimo discendente, il dott. Riccardo, che si era anche prestato a scrivere una nota ed a farsi fotografare al fianco dell’eroico avo.

Fin qua nulla da eccepire: capita nel fare ricerche di imbattersi in discendenti che con molto orgoglio si fregiano di quelle secolari imprese dei loro trapassati, sentendole un po’ le loro, l’anzianità poi, ne amplifica la  fierezza e spesso confonde i ricordi.

Fu la complessiva storia, a più riprese raccontatami dalla fotografa, a farmi sentire avvolta da un groviglio di chiacchiere da cui il mio amore per la verità storica faceva fatica a venirne fuori.

Troppe cose non tornavano, non avevano fondamento, altre erano a dir poco ridicole e vendibili solo a chi ha voglia di sentirsi raccontare storielle ed è ben lontano da una seria etica professionale.

Sono fermamente convinta che non ci si improvvisa storici perché la ricerca della verità passa per sentieri faticosi, rigidi che non lasciano spazio all’improvvisazione.

Quella che mi appariva più ridicola era la storia che il ritratto fosse saltato fuori da antiche cassapanche che da duecento anni non erano mai state aperte per rispettare un segreto di famiglia. Mi tornava come una di quelle storielle ingenue con cui si accontentano i bambini che reclamano risposte. Una sorta di doppia offesa, sia all’intelligenza dell’interlocutore, che alla verità storica, ma soprattutto allo stesso Ettore che, oltre ad essere passato per mano della letteratura borbonica, come un traditore che aveva messo a ferro e fuoco la sua città natia, Andria, ora era anche divenuto oggetto di un commercio sfrenato a cui il volume chiaramente ambiva.

Alla fine dell’Ottocento, in occasione del primo centenario della Repubblica Napoletana,  il senatore Riccardo Carafa D’Andria  aveva dato alle stampe una preziosa monografia sul nobile antenato, consegnandone ai posteri l’immagine di un uomo coraggioso, valoroso, e totalmente devoto alla causa rivoluzionaria.

La monografia si apriva con un passo che riporto qui, giusto per dimostrare con quanto trasporto il senatore Riccardo introduceva la storia di Ettore:

I grandi morti dormono nelle tombe, e lo spirito loro aleggia a chi ne comprende le grandezze e scorge con sentimento doloroso il velo dell’oblio che lentamente le ricopre.

Nella storia Ettore Carafa passa veloce come un abbagliante raggio di sole che provoca un grido di ammirazione e fa spuntare una lacrima su un ciglio.

La figura sua che apparisce sempre a grandi e brevi tratti non si determina, ma si idealizza; ed io volendo determinarla, rappresentandola nei suoi più minuti particolari, credo che né per me, né per altri quel grande ideale verrà punto a rimpicciolirsi.

[Riccardo Carafa d’Andria, Ettore Carafa Conte di Ruvo, Roma 1869]

Un lavoro, dunque che rifulgeva di ammirazione per le imprese eroiche di Ettore, ricco di notizie e spunti di riflessione che però mancava di ritratti.

Solo dodici anni dopo il senatore riparò a tale mancanza offrendo il suo contributo alla mostra curata dal Di  Giacomo con il ritratto  del padre di Ettore.

Ciononostante questo stesso spacciato per inedito nel 2008 ed attribuito al rivoluzionario conte di Ruvo, da quando è stato pubblicato continua a campeggiare in bella mostra per biblioteche e diversi siti internet, traendo in inganno chiunque, ingenuamente va alla ricerca di notizie relative all’eroe del 1799.

Questo ad onta della verità storica da me dimostrata nel 2009 e comprovata dal Comune di Napoli e da seri enti storici nel 2011, ma soprattutto ad onta di Ettore Carafa e di chi con serietà fa il mestiere di storico.

 

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