Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Quello che non c'è nei libri di storia (6)

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Il “Digenis” e i fermenti eretici

Il capolavoro più originale della civiltà bizantina è il “Digenis Akrita”, il cavaliere dalle due nascite: greco-ortodossa e asiatica. Il protagonista dell’epica bizantina Digenis prende forma all’incirca tra il IX e l’XI secolo ai confini asiatici dell’Impero in mezzo a quella popolazione rurale asiatica, la prima ad accorrere in soccorso dell’Impero e la più strenua sostenitrice dei valori greco-ortodossi della civiltà bizantina. Di questo capolavoro nei manuali di storia medioevale non si trova traccia, facendo apparire la civiltà bizantina come incapace di produrre novità anche a livello letterario e lasciando negli alunni l’impressione di una conservazione anche culturale.

Digenis è un cavaliere che difende i valori dell’Impero romano-orientale cristiano ortodosso dall’assalto degli Arabi infedeli. Egli corrisponde al prototipo dell’eroe cavalleresco dell’epica occidentale coeva. L’eroe “akritico” interpreta ottimamente e fino in fondo l’ipotesi originale, inventata in Oriente, dello Spirito di Crociata. Modelli simili a Digenis sono riscontrabili in Occidente nelle figure di Orlando e del Cid Campeador.

Dietro Digenis si coglie tutta la mentalità del mondo rurale orientale asiatico dell’Anatolia. I sudditi rurali anatolici dell’Impero romano d’Oriente si sentono gli unici veri interpreti e custodi della ortodossia cristiana, una ortodossia probabilmente intrisa di elementi fortemente messianici, palingenetici ed apocalittici, ma anche “nazionalistici”.

Infatti è proprio agli estremi limiti asiatici dell’Impero che nascono e si sviluppano in ambiente rurale tutti quei movimenti eretici e manichei, dai “Pauliciani” agli “Iconoclasti”, ai “Bogomili”, anch’essi intrisi di fermenti “nazionalistici” adombrati nel loro radicalismo religioso. Tutti e tre questi movimenti, propulsori e anticipatori in Oriente dei movimenti ereticali occidentali, faranno si che, al volgere dell’XI secolo, grazie anche all’insostenibile pressione fiscale e alla rapacità ed avidità dei grandi proprietari terrieri e degli esattori, i sudditi rurali asiatici dell’Impero in effetti preferiscano subire senza particolari resistenze il dominio del nuovo conquistatore infedele, il Turco Selgiuk.

 

La “tecnologia retorica”

E adesso, qualche rapidissimo cenno sul sistema letterario bizantino. Più che soffermarci sul monumentale apparato letterario romano-orientale, che richiederebbe un capitolo a parte, si vuole estrapolare da esso l’elemento chiave, che poi ci sembra essere alla base dell’intero universo comunicativo ed ideologico dell’Impero bizantino: la Retorica. La retorica per un bizantino colto è una “tecnologia” trasversale al servizio della comunità e delle sue articolazioni, è logica argomentativa, tradizione ed ideologia dell’eternità. Essa, riscontrabile nei classici della romanità, continua ad essere alla base dell’educazione, della amministrazione, della politica, della diplomazia, della guerra, dell’arte, della religione. E’ una tecnologia totalizzante.

Essa dà il meglio di se nella pubblica amministrazione che è la spina dorsale dell’Impero bizantino, un Impero che può vantare di fronte all’Occidente e all’Islam la sua superiore organizzazione amministrativa. Ed è proprio questa organizzazione che consente rispetto all’Occidente di formare stabilmente un ceto medio notevolmente alfabetizzato capace di innescare una discreta spinta alla acculturazione e alla costante pratica dei classici.

Gli storici che si rivolgono alle sfere dirigenti, i cronisti che scrivono per la parte più umile del popolo, i poeti che compongono per cerchie ancora più ristrette, i retori che scrivono per la corte, per l’imperatore e per se stessi, gli educatori, gli esperti di giurisprudenza si esprimono per mezzo delle tecniche retoriche antiche quanto l’Impero finalizzate a comunicare al mondo la sua eternità.

La stessa regolamentazione retorica è visibile nell’arte bizantina: il montaggio retorico delle immagini della gerarchia celeste nelle chiese ortodosse corrisponde esattamente a quello della gerarchia imperiale. La stessa musica sacra bizantina è una retorica del duplice Impero perenne.

Le periodiche rinascite “umanistiche” di Bisanzio sono tutte di stampo retorico ed enciclopedico, a parte qualche rara eccezione. E non poteva che essere così in un Impero dove tutti gli spazi possibili all’uomo dovevano essere messi al servizio di uno Stato alla lunga atrofizzato dalla idolatria di se stesso.

(FINE)

 

Quello che non c'è nei libri di storia (1)

Quello che non c'è nei libri di storia (2)

Quello che non c'è nei libri di storia (3)

Quello che non c'è nei libri di storia (4)

Quello che non c'è nei libri di storia (5)

 

Gennaro Tedesco

 

 

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