Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Che fai tu, luna, in ciel...?

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La "luna gigante" di questi giorni (che per una distanza temporaneamente  inferiore alla media è apparsa più grande del 14% rispetto alla norma) avrà spinto qualche sguardo a fermarsi su alcuni dettagli che in verità normalmente già con uno zoom facilmente reperibile, se non a occhio nudo, sono facilmente visibili.

La fantasia dell' occhio è mediata da quella che il nostro tempo influenza, e così anche se taluni potrebbero ancora scorgere sul disco lunare l uoghi fantastici, dimore di divinità oppure tratti disvelatori di essenze umane, oggi potrebbero farlo soltanto conservan do la consapevolezza della fantasia.

Guardiamo la sua su
perficie, percepiamo secondo i suoi tratti ciò che la nostra mente suggerisce, magari troviamo anche le corrispondenze del bosco dove si radunavano gli Elfi delle tenebre e gli Elfi della luce, ma sappiamo, purtroppo sappiamo, che sta lavorando soltanto la nostra fantasia, che quello non è esattamente il luogo dove magari Re Oberon e la moglie Titania, regina delle fate, si recarono per le nozze di Teseo ed Ippolita (in tal caso saremmo stati in ottima compagnia, con William Shakespeare), e che se ne guardiamo sempre la stessa faccia, è semplicemente a causa dell'effetto della rotazione sincrona, in quanto il suo periodo di rotazione è pressoché uguale al suo periodo di rivoluzione (The dark side of the moon, la sua faccia nascosta, fu svelata per la prima volta nel 1959, con le immagini inviate dalla sonda russa Luna 3).

Il punto è che non possiamo più permetterci di credere a quelle spiegazioni sognanti ed imaginifiche con cui ad esempio si ricostruivano fino a nove sfere concentriche (oltre l'Empireo) per spiegare la costituzione del cielo. Non è una deriva nostalgica, personalmente sono molto felice di sapere che il cielo è composto dell'atmosfera di un pianeta e che non è nemmeno azzurro, se non in conseguenza della sovrapposizione di onde elettromagnetiche di lunghezza variabile.

Ma serve per pensare che andando molto avanti, non possiamo più immaginare quale sia stato lo sguardo del passato, quanto esso abbia influito sul pensiero e sulla vita individuale e sociale, e per ipotizzare che il nostro è un deficit di contestualizzazione ormai del tutto incolmabile.
Mi fermerò quindi sull'aspetto della comprensione antica delle cose, e della loro percezione. Mi vengono in mente due esempi cui ho pensato spesso in passato, e poiché si tratta proprio della luna e delle stelle, si spiega anche il momento in cui ritornano.

C'è un testo di Plutarco giunto incompleto, che è come un cannocchiale puntato dalla scienza coeva verso la luna: De facie quae in orbe lunae apparet (“Intorno al volto che appare nel cerchio della Luna”), più noto semplicemente come De facie; in esso il fratello dell'autore, Lampria, in un dialogo con l'accademico platonico Epigone e con altri astronomi e filosofi, forniscono quella che è la summa, lo stato delle conoscenze sull'Astro, sia riguardo le apparenze dipinte sul suo volto, sia sulla sua sostanza fisica. Si parte dai versi di Agesianatte, che ci vede un bellissimo volto femminile (“...tutta intorno rifulge di fuoco, ma in mezzo più blu dello smalto si mostra un occhio di donna e morbida fronte, e un viso ti appare dinanzi”), alle teorie dei quattro cerchi concentrici dell'universo degli Stoici (in cui la luna è una miscela “d'aria e di fuoco blando”), al cristallo d'acqua ghiacciata di Empedocle, criticato per la sua idea che la terra percorresse orbita obliqua roteando intorno al proprio asse.

Lampria sostiene che non esiste una gravitazione centrata nell'universo, giacché ogni entità tende a conseguire la propria posizione, e che la Luna è fatta della stessa terra del nostro pianeta, oltre che proprietaria di una sua autonoma forza di gravità; e non brilla di luce propria, ma riflette la luce del sole (questo lo diceva anche Parmenide).


Ed aggiungeva, cosa interessantissima: “...se la Luna è fatta di terra si dimostra un oggetto bellissimo, nobile ed elegante, mentre temo che in veste di astro o di luce o corpo divino e celeste, risulti brutta e deforme”. Il volto lunare insomma, era bello in quanto imperfetto come la Terra.


Dall'esito dei dialoghi è questa l'idea che prevale, dunque: è un elemento fatto della stessa nostra terra, con montagne e valli che formano le ombre che vediamo, e non esclude affatto che possa anche essere abitata, nonostante i dubbi per la temperatura e la rarefazione dell'aria sollevati da Teone. E di più, per Plutarco la Luna aveva anche un suo ruolo preciso, nel cosmo: una specie di influenza umida e femminile sulla Terra, da cui derivava ad esempio la crescita delle piante, il gusto del vino e le maree.

Ma la conclusione dell'analisi è più completa della sua presenza fisica: lei ha uno scopo, ha un senso, ed è quello che conosce il padre di Zeus, lo scienziato Cronos, e che rivela egli stesso dal suo confino, relegato dal figlio in un'isola britannica: la Luna è il posto in cui dopo la morte corporale, vanno a stare i Buoni, prima che la seconda morte separerà definitivamente l'intelletto dall'anima.

Ed è questa la ragione per la quale essa, unica fra tutti gli Astri, ha una natura divina; meglio, è una divinità, e va venerata in quanto tale, ed in quanto attigua alle distese dell'Ade, ed è “signora di vita e di morte”.
Sono idee filosofiche e fisiche assai profonde per l’epoca, ma soprattutto uno stato dell'arte che dovrebbe dare un'idea di quanto possa essere difficile immaginare un animo ed una mente antica calata nel mondo delle sue conoscenze.

Provate ad immaginare, ad esempio, un navigatore di qualche secolo fa.


Questo, però, sarete in pochissimi a poterlo fare, perché bisogna essersi trovati in assoluta assenza di inquinamento luminoso (la brillanza artificiale del cielo notturno si ottiene sommando le sorgenti entro un raggio di almeno 200 km). Ebbene, la prima volta che mi è capitato, la sensazione istantanea è stata quella di capire... o di pensare, perlomeno, di capire cosa provava, cosa sentiva chi un tempo alzava lo sguardo al cielo di notte, e ricordai immediatamente una cartina celeste del '400 che vidi disegnata chissà dove (mi cruccio di non averla ancora ritrovata), nella quale il cielo era una cupola, appoggiata sulla terra come un coperchio su uno scaldavivande: si capisce perfino il pensiero di chi descrisse le stelle come buchi nel cielo da cui filtra la luce dell'infinito.

Sembra perfino facilissimo, il pensiero di navigare senza carte, bussole o altro: è tutto così chiaramente disegnato là sopra... e chissà quante e quali implicazioni, anche una percezione come questa doveva avere nella vita quotidiana, oltretutto.

Ma anche per capire una scelta militare o una disposizione politica, bisognerebbe entrare nella mente quotidiana del tempo, mentre il nostro senso della storia ci obbliga ad incasellare e sistematizzare gli eventi leggendoli con gli occhi posteriori di chi comprende la realtà e le dinamiche fisiche e sociali secondo i ragionamenti attuali.

Potrebbe sembrare solo un dettaglio, o addirittura una forzatura, parlare dello sguardo all’insù dei popoli antichi, ma probabilmente è invece una delle migliori esemplificazioni di come sia complicato anche ricostruire magari un pensiero legato ad un'epoca, se da essa siamo così impossibilitati già a riceverne i messaggi, i modelli e le visioni con cui si confrontavano quotidianamente gli osservatori della Luna e delle stelle.

 

[Anime Salve]

 

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