Alcune note sul periodo giolittiano. La solita storia

Categoria principale: Storia
Categoria: Storia Contemporanea
Creato Mercoledì, 28 Marzo 2012 14:05
Ultima modifica il Lunedì, 26 Agosto 2013 12:18
Pubblicato Mercoledì, 28 Marzo 2012 14:05
Scritto da Gennaro Tedesco
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Secondo Benedetto Croce il periodo che va dai primi del’900 agli albori della prima guerra mondiale rappresenta il migliore della storia d’Italia e  l’artefice, meglio il demiurgo, di questa “prosperità” è Giovanni Giolitti.

Ma nel vedere solo le”luci” dell’età giolittiana, poi, Croce non può spiegarsi gli avvenimenti successivi, il fascismo, che giudica come un male nel corpo sano della nazione. Ma naturalmente le ombre che Croce non vuole o non può scoprire nel periodo giolittiano, altri storici hanno “scoperto” al suo posto, Gramsci, Candeloro, Carocci. Ma guardiamo più da vicino la politica giolittiana.

In questi anni assistiamo  alla prima vera e propria industrializzazione dell’Italia.Vengono fondate le industrie idroelettriche, siderurgiche, cantieristiche. La lira è solida. Comunque la novità della politica sociale di Giolitti è costituita dall’eliminazione della repressione pesante a tutti i costi contro gli operai, che era stata caratteristica dei governi reazionari precedenti. I sindacati operai cominciano ad ottenere maggior spazio di manovra e ne approfittano per trarne vantaggi economici anche rilevanti.

 

Il contraltare di questo nuovo corso politico giolittiano nei riguardi della classe operaia è la repressione che al sud continua violenta contro i contadini. Questa politica di Giolitti, che da una parte sembra privilegiare gli operai e dall’altra continuare con i vecchi metodi autoritari contro i contadini meridionali, viene aspramente denunciata da Gramsci, che addirittura ritiene che in questi anni nel movimento operaio settentrionale, a livello di dirigenza, si siano insinuati germi positivistici e razzisti contro i contadini meridionali considerati, con grande soddisfazione di Giolitti, come le palle al piede nello sviluppo della nostra nazione.

Giolitti, per queste sue tipiche manifestazioni di violenta intolleranza  anticontadina nel sud, sarà definito giustamente da Salvemini “il ministro della malavita”.

Certo, G.Giolitti fu uno dei primi a rendersi conto del problema meridionale di cui tanto parlava un meridionale come Giustino Fortunato. Stranamente, per quanto fosse allora sbagliato il suo tentativo di soluzione del problema meridionale, gli interventi straordinari, a distanza di tanti anni, ancora oggi  sono i mezzi usati  dalla nostra classe dirigente nel tentativo di risolvere il “sottosviluppo” meridionale.

Giolitti si alienò le”simpatie” dei socialisti e quindi del movimento operaio, che pure in qualche modo lo avevano sostenuto nella sua politica “aperturistica”, allorquando decise l’occupazione della Libia e delle isole dell’Egeo, iniziando le guerre contro i Turchi. Questo avvenimento avvicinò a Giolitti i gruppi nazionalisti allora in formazione e la “lobby” siderurgica e militarista della nazione.

Egli cercò di riacquistare credito presso i socialisti e Turati promulgando il suffragio universale nel 1913. Ma ormai era troppo tardi. Inoltre fu proprio Giolitti a interrompere forse definitivamente quel processo di laicizzazione dello Stato italiano che fino ad allora era stato caratteristico di tutti i governi liberali del nostro Paese con il famoso “Patto Gentiloni” che  riportò i cattolici nella politica italiana.

Gramsci ha visto nella politica giolittiana il tentativo di far partecipare al governo le forze socialiste per renderle corresponsabili e magari logorarle. Forse questo disegno è troppo per un politico anche della statura di G.Giolitti, forse no, fatto sta che proprio l’incapacità di Giolitti di rendersi conto che ormai la lotta politica non poteva più ridursi a semplici giochi di corridoio nelle aule del Parlamento fu una delle cause, che, dopo la prima guerra mondiale, portarono al fascismo.

Infatti alla fine del decennio liberale giolittiano le masse, rappresentate soprattutto dal movimento operaio e contadino, erano ormai impacciate e impossibilitate ad esprimersi nelle vetuste e reprimenti istituzioni liberali, di cui proprio Giolitti rimase convinto assertore, non tenendo conto dei cambiamenti radicali ormai sopravvenuti nel  sistema sociale e politico del nostro Paese: in questo modo  balza agli occhi in tutta evidenza l’appartenenza di Giolitti all’epoca liberale, epoca ormai al tramonto, cosa di cui, proprio lui, lo spregiudicato politico liberale, non si rendeva conto.