Gjorgio Vincenzio Pigliacelli: avvocato tra Massoneria e Rivoluzione

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Condanna a morte di Giorgio PigliacelliApparteneva certo alla più famosa schiera di giuristi settecenteschi  Gjorgio Vincenzio Pigliacelli, e vi apparteneva  per scienza e professionalità. A differenza dei soliti paglietta, Pigliacelli, formato nello spirito dell’Illuminismo,  fu tra quegli uomini esemplari convinti di poter operare nella situazione politico-istituzionale del regno, favorendo l’avvento della Repubblica Napoletana.

Sono rarissimi i documenti a lui relativi e di conseguenza le opere biografiche, scarse le citazioni, inesistente un ritratto. Ricostruire pertanto un’accurata biografia di Gjorgio non è stata  e non è un’impresa facile per alcun ricercatore. Sappiamo per certo che fu un protagonista della Repubblica Napoletana del 1799, la cui partecipazione al Governo Rivoluzionario, in qualità di Ministro di Giustizia e Polizia, gli costò la vita.

 

Nato a Tossicia, un piccolo paese in provincia di Teramo il 7 febbraio 1751 da Odoardo e Felice Mirti, nei primi anni studiò nella casa paterna, seguito dal padre dottore. Poi, rivelando presto buone capacità intellettuali ed  una propensione per gli studi giuridici, seguendo anche il consiglio dello zio Pompeo Mancini, il padre decise di farlo trasferire a Napoli, affinché potesse seguire e perfezionarsi nella disciplina.

Chiaro per dottrine legali, famoso in diritto canonico, difensore perciò dei diritti regi contro le prepotenze di Roma, amatissimo della moderna filosofia, del giusto e libero reggimento, dotto nelle lingue antiche e facile parlatore della francese, fu presidente dell’Alta Commissione Militare e uno de’ membri della Giunta di Legislazione nella Repubblica del 1799. Ministro di Grazia e Giustizia, pubblicò il 29 fiorile l’editto per la numerazione delle vie e per l’abolizione degli stemmi pubblici e privati. (M. d’Ayala, Vite degli Italiani, Napoli, 1999, p. 496 e ss.)

Il dottor Gjorgio Pigliacelli abitava nel terzo appartamento di una casa, che possiede il Real Albergo de Pellegrini al Postume detto il Vico della Strada nova de Pellegrini a porta Medina, e detto D. Gjorgio si serviva di una rimessa dello stesso Real Albergo. Per il piggione di detto appartamento, e rimessa il riferito Albergo sino al dì quattro Maggio anno 1800 era in credito per docati duecento trentatré. (Archivio Storico di Teramo, Fondo Notarile, Notaio V. Magnanimi, busta 753, vol.36, atto del 6/4/1803)

Uomo libero d’ingegno e virtù, Gjorgio viveva la sua professione come una missione, quasi presagendo una morte prematura. Caratterialmente affine agli spiriti liberi del suo tempo, pur provocando dispiacere nel padre, non prese moglie, rinunciando così all’eredità destinata al primogenito. Il dissenso del padre traspare dal testamento datato 1787.

(Odoardo Antonio Pigliacelli) nomina suoi eredi universali, e particolari li Sig.ri Dr. D. Gjorgio Vincenzio, dimorante da più anni in Napoli, e D. Pasquale Basilio Pigliacelli, suoi diletti Figli legittimi, e naturali, e Padrona usufruttuaria la Sig.ra D. Felicita Mirti sua moglie, con godersi tale usufrutto, e Padronanza sua vita durante, vivendo assieme con tutti e due, almeno con uno dei predetti suoi Figli, ma restando da essa il conviverci. E se mai fosse in necessità per governo della propria persona già vecchia, ed acciaccata, dare moglie a detto D. Pasquale Basilio,  il che si debba buonamente, e stragiudizialmente fra essi D. Felicita, D. Pasquale concertare, siccome si va prevedendo, stante il non essersi a tanti stimoli risoluto mai il detto Sig. Dott. D. Gjorgio ammogliarsi, esso medesimo D. Gjorgio  rimanga istituito nella sola legittima a titolo universale, tanto più che si trova commodo, e ben situato, onde non à bisogno de beni della Casa per vivere comodamente, e siccome all’incontro D. Pasquale si era già incamminato per gli ordini Ecclesiastici, e la successione universale si destinava a D. Gjorgio; onde avendo prevaricato delle medema, viene ad esser proprio, che D. Pasquale abbia più vantaggio per li motivi addotti. (etc..) [Archivio Storico di Teramo, Fondo Notarile, Notaio V. Magnanimi, busta 750, vol.20, anno 1787, fogli 56 v-58.]

Era tale l’affetto che legava Gjorgio al fratello Pasquale ed alla madre che, nonostante le disposizioni testamentarie del padre, che purtroppo non riuscì a raggiungere a Tossicia se non dopo giorni di viaggio, quando lui oramai era già morto, il nostro avvocato stipulò una procura a favore del fratello, facendo in modo che egli potesse agire legalmente anche a suo nome, dimostrando di avere in lui una illimitata fiducia.

Tornato a Napoli alla sua prestigiosa carriera, come moltissimi altri illuminati professionisti dell’epoca, non fu certo insensibile al fervente clima rivoluzionario, tanto che durante i sei mesi della Repubblica del 1799 ebbe diverse nomine tra cui la più eccellente fu quella di  Ministro di Giustizia e Polizia. Dai rapporti di collaborazione e di amicizia con altri giuristi ed avvocati del tempo, tra cui Mario Pagano, si evince l’appartenenza di Gjorgio alla loggia massonica dei Liberi Muratori. Pur se il suo nome non compare nel Notamento dei congiurati giacobini processati nel 1794, rei di lesa maestà e cospirazione, la prova documenta della sua affiliazione alla Massoneria è in un libello ripubblicato a Parigi nel 1832  dove venne citato tra gli appartenenti alla Loggia del Testaferrata.

La repressione della  Massoneria, bandita e perseguitata da inchieste ed arresti non solo nel Regno borbonico, ma in tutta Italia fu notevole non solo nell’ultimo decennio del Settecento, ma anche durante i primi anni della Restaurazione ed interessò finanche quegli Stati tradizionalmente più tolleranti e permissivi. Ciononostante, il fuoco continuò a covare sotto le ceneri molto più di quanto comunemente si creda.

Presidente della Società Patriottica fu nominato Carlo Lauberg, un frate scolopio, tra i maggiori chimici napoletani del suo tempo. Durante i sei mesi della Repubblica Napoletana, il Lauberg  fu nominato Presidente del Primo Governo Provvisorio. Con la reazione borbonica non fu tra i  martiri ma tra gli esuli. Riuscì a riparare a Parigi, dove vi morì  il 5 novembre 1835.

In una sera dell’estate del 1793, si incontrarono a Posillipo, sulla spiaggia di Mergellina gli amici che Lauberg aveva convocato: elementi fidati e sicuramente democratici.

Risposero principalmente all’invito giovani avvocati, tra cui è facilmente ipotizzabile anche la presenza di Gjorgio Pigliacelli. I motivi che indussero il Lauberg ad indire la  riunione furono dettati dal bisogno di raccogliere tutte le forze democratiche che operavano a Napoli e nelle Province e prepararsi all’azione per realizzare anche a Napoli, come in Francia un governo popolare repubblicano … onde ravvivare i diritti dell’uomo soppressi, rimettere la tranquillità, sopprimere gli abusi, rendersi in tutto liberi e perfettamente uguali ed abiurare… ogni religione come estranea agli ordini di natura e costituire da Principi e dalle Potestà supreme per garantire la loro stabilità.

La proposta del Lauberg venne discussa ed approvata e si decise di costituire un’associazione articolata in sezioni elementari o clubs  composti ciascuno da non più di undici membri che non si conoscessero tra loro. Tale organizzazione fu dettata in modo da evitare che qualsiasi associato, sottoposto a tortura, potesse svelare i nomi degli altri associati. In seguito la Società Patriottica fu suddivisa in due clubs: Lomo (Libertà o Morte) e Romo (Repubblica o Morte). Entrambi operarono attivamente raccogliendo adesioni non solo negli ambienti studenteschi e tra gli avvocati, ma anche tra i militari, dei quali molti giovani ufficiali erano stati allievi del Lauberg alla  scuola militare della Nunziatella.

Tutti i membri della Società avevano giurato odio eterno ai  tiranni e molti di essi si proposero di giungere all’insurrezione armata per abbattere la monarchia ed istituire anche a Napoli un governo repubblicano sull’esempio di quello francese.

Intanto Maria Carolina, contando su una fitta rete di spie, continuava  la sua  spietata opera di persecuzione. I numerosi arresti operati a Napoli provocarono un’ondata di panico in seno alla Società Patriottica. Dominati dal terrore e dalla sofferenza delle torture, dimenticando i loro giuramenti, quasi tutti gli arrestati confessarono nei più dettagliati particolari le loro attività di congiurati, fornendo elementi e nomi, ponendo in condizione gli inquirenti di ricostruire in molti suoi particolari l’attività svolta a Napoli dal movimento giacobino.

Nonostante il fallimento della congiura del 1794, che vide in Emanuele De Deo, Vincenzo Galiani, Vincenzo Vitaliani e Tommaso Amato  i primi martiri, le idee di Libertà e Uguaglianza si intensificarono nel cuore e nelle menti dei giacobini illuminati, e gli anni di detenzione a cui furono costretti taluni patrioti fecero maturare un odio profondo ed irrefrenabile contro la monarchia. La storia proseguì con i regnanti che nel gennaio del 1799 vigliaccamente scapparono da Napoli per Palermo, lasciando la capitale nelle mani dei lazzari, mentre i Francesi arrivavano con la loro Libertà, o almeno così sperarono quei pochi valorosi eroi asserragliati in castel Sant’Elmo quando, felici proclamarono la Repubblica Napoletana il 21 gennaio.

Nel 1799 Gjorgio è all’apice della sua carriera professionale. Rinomato per le sue doti di avvocato era notissimo a Napoli ed in tutto il Regno delle due Sicilie e certo un uomo come lui non poteva mancare di assumere cariche politiche all’indomani della proclamazione della Repubblica. Fu dapprima Giudice nella Commissione Militare, poi rappresentante della Nazione nella Commissione Legislativa, ed infine il 18 aprile fu nominato Ministro di Giustizia e Polizia.

Fu promotore di diversi editti tra cui l’imposizione del coprifuoco, tendente a salvaguardare l’ordine pubblico, contro la fabbricazione e la detenzione di armi, e il discusso decreto emanato il 18 maggio col quale imponeva la numerazione delle vie e l’abolizione degli stemmi pubblici e privati. Purtroppo quest’ultimo decreto, teso ad eliminare i simboli del vecchio regime, finì per procurare danni inestimabili ad opere d’arte ed iscrizioni di grande valore storico.

Caduta la Repubblica fu tra i primi ad essere ricercato.

Secondo il Diario Carlo De Nicola, l’arresto si colloca al 4 agosto e Gjorgio risulta tra coloro che calarono dalle navi incatenati e con il cannale al collo furono portati nel Castel Nuovo.

Fu giustiziato per impiccagione in piazza Mercato il 29 ottobre e con lui ascesero quel giorno al patibolo anche i celebri  Domenico Cirillo, Mario Pagano ed Ignazio Ciaja, tutti seppelliti nei sacelli del pronao nella vicina chiesa del Carmine Maggiore.

Lo storico Taddeo Ricciardi, sulla base dei pochi ultimi documenti fornitigli dagli eredi di Pigliacelli ricostruì quei drammatici mesi intercorsi tra l’arresto e l’esecuzione della sentenza di morte.

La notizia dell’arresto di lui giunse a Tossicia, ove viveva ancora la vecchia madre del martire in compagnia dell’altro figliuolo Pasquale. Questi per non far morir di cordoglio la veneranda donna, occultò la disgrazia di Gjorgio, e pensò al modo come vedere ed aiutare l’amato germano, che prevedeva serbato a tristissima fine. Egli, perciò, una notte, indossati gli abiti di frate zoccolante, prese la via di Napoli, munito di alcune commendatizie, date a lui da un guardiano del monastero di Tossicia. Giunto nella nostra città, i frati del Carmine trovarono modo di fargli vedere il fratello detenuto nel vicino castello. Questo incontro doloroso avvenne prima che il grande giurista ascendesse le scale del patibolo. Fu in questa visita che Gjorgio Pigliacelli dette al fratello alcuni titoli bancari, che aveva potuto sottrarre alle ruberie borboniane. Fu in questo fatale abboccamento che il martire consegnò al germano un brindisi, da lui improvvisato la sera innanzi, in un banchetto (ultimo affettuoso banchetto!) tenuto in carcere con Pagano, Cirillo e Ciaja!… In questo colloquio, il cittadino insigne riferì al dolente fratello le torture a cui lo avevano sottoposto i vili giudici di un monarca spergiuro!

L’ultimo brindisi dei martiri:


Ode alla morte


Amici la morte

Di Gloria la testa

Ci cinge, al tiranno

Darà la tempesta

Or che del viver nostro

Il termine è vicino

Tuffiam, tuffiam nel vino

Quest’ultimo dei dì!…


E dal nostro sangue

Accesi i fratelli,

Saranno gli eroi

In gloria più belli!

Or che del viver nostro

Il termine è vicino

Tuffiam, tuffiam nel vino

Quest’ultimo dei dì!…


Se muore il tiranno

Per sempre egli muore

Quel Dio infinito

Di Patria è l’amore!

Or che del viver nostro

Il termine è vicino

Tuffiam, tuffiam nel vino

Quest’ultimo dei dì!…


Di sangue innocente

Si bagna la terra,

L’affetto di Patria

Non cede alla guerra!

Or che del viver nostro

Il termine è vicino

Tuffiam, tuffiam nel vino

Quest’ultimo dei dì!…


Per esso un altare

L’Italia pur tiene,

La forca, i martiri,

Le dure catene.

Or che del viver nostro

Il termine è vicino

Tuffiam, tuffiam nel vino

Quest’ultimo dei dì!…


La Giunta crudele,

Di re più feroce,

Non resta:distrugge

Insieme alla croce!

Or che del viver nostro

Il termine è vicino

Tuffiam, tuffiam nel vino

Quest’ultimo dei dì!…


S’inganna il tiranno,

E provasi invano

La patria spegnere

Nel sangue umano!

Or che del viver nostro

Il termine è vicino

Tuffiam, tuffiam nel vino

Quest’ultimo dei dì!…


Moriamo contenti,

O amici insieme,

Verranno alberi

Dal nostro seme!

Or che del viver nostro

Il termine è vicino

Tuffiam, tuffiam nel vino

Quest’ultimo dei dì!…


Questo non spegnesi,

Non teme perigli,

Ma giura vendetta

Ai perfidi Gigli!

Or che del viver nostro

Il termine è vicino

Tuffiam, tuffiam nel vino

Quest’ultimo dei dì!…


[Abstract tratto da Gjorgio Vincenzio Pigliacelli, Avvocato tra Massoneria e Rivoluzione, Ministro e Martire della Repubblica Napoletana del 1799, a cura di Antonella Orefice, ed. Guida, Napoli 2010]

 

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