10 febbraio ’Giorno del ricordo’ e suoi equivoci. Nazionalismi, fascismo, nazismo, comunismo in Venezia Giulia, Istria, Dalmazia

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Uno storico degno di questo nome non teme di affrontare con coraggio, lucidità, alcun tema, perché egli è mosso, deve essere mosso solo dallo ‘spirito di verità’, cercando di avvicinarsi con scrupolo di informazione e di metodo, per quanto è possibile (essendo la vicenda storica di una complessità inimmaginabile), sulla base di documenti (senza documenti non c’è storia, ma altra cosa), a come sono andate ’realmente’, ‘veramente’ i fatti.

Le vicende storiche che hanno toccato le comunità di cultura, di lingua italiane in Venezia Giulia (con epicentro Trieste), l’Istria (con epicentro Pola e Fiume), la Dalmazia (con epicentro Zara e Spalato) sono complesse e intricate ed ancora oggi dividono e arroventano la memoria collettiva.

Quelle aree hanno conosciuto insediamenti di origine veneziana, quindi di cultura italiana,  dall’epoca medievale, legati all’espansione economica, culturale della ‘Serenissima Repubblica di Venezia’, che aveva il dominio dell’Adriatico, divenuto per secoli quasi un lago veneziano, contendendolo da un lato al mondo musulmano e dall’altro al mondo austriaco, che si era impadronito dell’area di Trieste dal 1382 (che conserverà tuttavia una larga autonomia e rivendicherà sempre la sua appartenenza, a partire dalla lingua, alla civiltà italiana) e poi di quasi tutta l’area iugoslava odierna (dalla Slovenia, alla Croazia, alla Serbia).

 

Nei secoli le comunità di civiltà italiana si sono concentrati nell’area costiera, distinguendosi socialmente ed economicamente dalle aree interne, abitate da comunità slovene, croate, serbe, montenegrine, di diversa cultura, religione (ortodossa, islamica), di diversa economia, contadina, più che cittadina e commerciale.

 

Questo dualismo, pur implicando uno strisciante stato endemico di tensione, non aveva provocato situazioni conflittuali clamorose fino alla  crisi dell’impero multietnico austriaco che, di fronte al processo nazionale italiano ottocentesco, per contrastarlo, appoggiò da un lato un sentimento-anti-italiano negli sloveni e nei croati, largamente utilizzati nella repressione dei moti nazionali italiani, sia alimentando un nazionalismo serbo, sempre in funzione anti-italiana, secondo la tattica antica del dividere, per continuare a governare quel complesso impero di origine medievale.

 

Risale quindi all’Austria, nella sua opposizione al processo di unificazione italiana, la prima lucida politica di aizzamento degli odi tra italiani e sloveni, croati, serbi, che avrà altri dolorosi capitoli tra Ottocento e Novecento.

Si ebbero interventi repressivi contro l’identità italiana delle comunità esistenti all’interno dell’impero asburgico, colpendo scuole, tradizioni, ruoli sociali, suscitando per reazione nelle comunità italiane quel fenomeno storico che si chiama ‘irredentismo’, il desiderio cioè di ricongiungersi alla madrepatria italiana, a quella civiltà italiana, che erano la matrice della loro identità storica.

L’Italia nello slancio ancora risorgimentale rispose a quell’appello entrando per questo motivo nella I guerra mondiale, accettata e sentita come quarta guerra di indipendenza dall’Austria, per completare il processo di unificazione con il ritorno del Trentino, della Venezia Giulia, dell’Istria e delle comunità costiere della Dalmazia. Questa era la sostanza dell’accordo segreto di Londra, col quale nel 1915 il Regno d’Italia entrò in guerra contro l’Austria, la Germania, la Turchia.

La vittoria con un prezzo inimmaginabile di sacrifici e di morti (600.000 morti e 1.200.000 feriti su una popolazione intorno ai venti milioni, che provocò una voragine generazionale, delle migliori energie giovanili del paese, che fu la causa profonda della crisi del dopoguerra) significò il sostanziale compimento del Risorgimento con il ricongiungimento di Trento, Trieste, Gorizia, l’Istria, ma con limitazioni nei confronti degli accordi, nel senso che rimasero fuori le comunità dalmate, compensate con la conquista dell’Alto Adige, del Sud Tirolo austriaco.

Si aprì allora una divisione politica ed ideologica nel paese, con il mito falso della ‘vittoria mutilata’, portata avanti da ambienti nazionalisti (si pensi a D’Annunzio) e del primo fascismo, che arroventò i rapporti tra il Regno d’Italia ed il neonato Regno di Iugoslavia, che rivendicava secondo lo stesso principio nazionale richiamato dagli italiani la maggioritaria presenza croata, slava da Fiume in giù, appoggiato dalle altre potenze vincitrici come Francia, Inghilterra, Stati Uniti (col presidente Wilson).

Sarebbe occorso il prevalere della linea della preveggente saggezza di un Gaetano Salvemini, che proponeva (con accuse isteriche subìte di ‘disfattista’) di cedere l’Alto Adige, meglio Sud Tirolo, territorio sostanzialmente austriaco, di lingua e cultura tedesche (come è anche oggi) e richiedere dall’alto di questo comportamento il riconoscimento dei diritti storici delle comunità italiane costiere della Dalmazia.

Invece prevalse un atteggiamento accesamente nazionalista italiano, accortamente utilizzato dal fascismo nella sua propaganda e nel suo affermarsi. Mussolini definiva gli slavi barbari, il cui numero non poteva essere titolo di diritti contro gli esponenti minoritari  della secolare civiltà italiana.

Quando ci fu l’avvento pieno del totalitarismo nero, fu attuata ‘una italianizzazione forzata e violenta’ di tutti i territori conquistati con la I guerra mondiale, dall’Alto Adige, all’Istria, colpendo l’uso della lingua, i sistemi scolastici, le forme organizzative austriache, slovene, croate, slave, suscitando una reazione sorda anti-italiana  e antifascista, ponendo le basi delle tragedie successive.

Risale quindi al fascismo in modo massiccio e diretto la principale responsabilità delle sanguinose vicende dei decenni successivi.

Con la conquista della Iugoslavia nel 1941 tra Germania nazista e Italia fascista, ci fu un ulteriore processo di italianizzazione forzata, estesa alla Slovenia, ad aree croate, che non potevano non suscitare, come in altre aree dell’Europa, una ‘Resistenza iugoslava’ che ebbe varie componenti ideologiche e politiche (dagli autonomisti ai comunisti, ai socialisti, ai monarchici).

La repressione fascista fu durissima con crimini di guerra (fucilazioni, distruzioni di villaggi con eccidi di bambini, donne, bambini), per i quali la Iugoslavia ha invano nel dopoguerra richiesto di processore criminali italiani, come il generale Roatta (già implicato nel delitto fascista dei Fratelli Rosselli in Francia).

Il baratro degli odi tra italiani, visti tutti come fascisti assassini direttamente o complici, e l’elemento sloveno, craoato, serbo si accrebbe, fino a divenire un abisso, che fu alla base degli eccidi degli anni successivi, così come avvenne in tante altre parti dell’Europa orientale.

Si ripete: sono stati il fascismo, anzitutto, soprattutto, e il nazismo, ad essere responsabili di fronte al tribunale della storia e dell’umanità, perché sono stati essi con i loro comportamenti storici di violenza e prepotenza disumane a  creare le condizioni storiche tragiche e terribili delle rese di conti, delle vendette che da parte slovena, croata, serba, si sono avute negli anni successivi.

Il fascismo si rese ulteriormente responsabile anche dopo la sua caduta a Roma nel luglio 1943, quando Mussolini, liberato da Hitler, costituì nel Centro-Nord la nuova versione fascista-nazista della Repubblica Sociale di Salò, attuando con i nazisti ulteriori crimini, collaborando anche per lo sterminio degli ebrei, per la Shoah, che si svolse anche in territorio italiano con il campo di sterminio della Risiera di San Saba a Trieste.

La Resistenza iugoslava, specialmente nella sua componente comunista, che faceva capo a Tito, portò avanti azioni di vendetta in modo maggioritario contro fascisti che si erano macchiati di crimini o di attiva complicità con il regime, ma coinvolse anche innocenti, che furono atrocemente massacrati e buttati negli inghiottitoi carsici dell’area, chiamati, ‘foibe’, o annegandoli con pietra al collo lungo la costa.

Le cifre parlano di 5.000-15.000 vittime tra il 1943-1945, comprendendo anche quelli che furono mandati in campi di concentramento, dove morirono per le condizioni drammatiche di quegli ambienti.    Già allora cominciò il primo esodo giuliano-dalmata, quello che si definisce “l’esodo nero”, cioè di quei fascisti direttamente o indirettamente responsabili di crimini e azioni poco chiare, che scapparono.

Gli aspetti atroci di quelle vendette e del successivo tragico fenomeno dell’esodo di circa 250.000 italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, della Dalmazia dopo il 1945 e fino al 1956  sono da imputare al totalitarismo comunista iugoslavo, che impose un regime unico violento e una  slavizzazione forzata di quei territori, coinvolgendo nella repressione non solo gli italiani, ma anche gli oppositori anti-comunisti.

Quei 250.000 italiani costretti all’esodo furono ospitati in 109 campi disseminati in varie parti d’Italia o emigrarono in altri paesi, integrandosi a poco a poco nella Comunità italiana, pur con episodi e momenti infami di settori della componente comunista italiana, che li giudicava con gli occhi ideologici di filo-fascisti o di anticomunisti.

Quindi nella fase finale delle vendette atroci e dell’esodo è stato il terzo tragico totalitarismo del Novecento, quello comunista, pur nella versione titoista, non russa, (che portò simpatie occidentali ad esso e quindi tendenza a non chiamarlo al tribunale della storia) ad essere il responsabile, accanto al fascismo, al nazismo già richiamati, a provocare la tragedia giuliano-dalmata.

Essa non può assolutamente essere messa a confronto con la Shoah, sia per le dimensioni numeriche (si pensi solo ai 6 milioni di morti ebrei, di cui due milioni di bambini), sia per le forme demoniache di eliminazione, sia perché gli ebrei non si erano macchiati di alcun fenomeno di violenza contro i tedeschi, gli italiani, gli austriaci, i polacchi o altri popoli che in modo diretto o indiretto collaborarono allo sterminio.

Chiunque compie questo paragone è un infame di fronte alla storia e all’umanità   Gli unici che non possono e non devono ricordare la tragedia giuliano-dalamata sono i fascisti e loro eredi, perché sono essi i principali responsabili, con i nazisti e i comunisti,  di quell’evento.

Possono farlo con spirito di umanità e di giustizia storica solo quelli che non sono stati e non sono fascisti-postfascisti, clericali, comunisti-postcomunisti.

E’ giusto il “Giorno del ricordo’, è giusto che un popolo si pieghi a esplorare momenti neri e duri della propria storia, ma non doveva essere scelto il 10 febbraio, sia perché troppo vicino al 27 gennaio, ‘Giorno della Memoria’ della Shoah, sia perché contesta sostanzialmente (in modo equivoco e indegno) quel trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947 tra l’Italia e le Potenze Alleate, che è vero segnò la concessione di quelle aree alla Iugoslavia, come avvenne per decine e decine di aree dell’Europa (si pensi al ritorno di aree tedesche alla Polonia), ma non implicò ad es. la divisione dell’Italia, come avvenne per la Germania.

L’Italia, pur essendo una delle principali responsabili con il suo totalitarismo fascista della più devastante e disumana guerra della storia, alleata con il totalitarismo nazista di Hitler e di Auschwitz, del militarismo giapponese, non fu punita con la divisione del paese, come avvenne per la Germania ad es. e quindi quel trattato del 10 febbraio non va condannato e collegato ad un evento di disumanità.

Era il massimo che si poteva concedere ad una nazione responsabile e sconfitta e l’Italia fu salvata da altre punizioni giuste solo per la dignità di popolo espressa dall’antifascisnmo e dalla Resistenza, come richiamarono solennemente i presidenti del consiglio dopo la Liberazione, Ferruccio Parri, uno dei capi della Resistenza, ed Alcide De Gasperi, che firmò a Parigi il trattato.

Il ‘Giorno dei ricordo’, pur doveroso, anche per l’ostracismo che veniva e viene dal mondo comunista e post-comunista e dagli ambienti militari, doveva avere altra data, altro richiamo e stare lontano dal 27 gennaio.

Esso è stato volpinamente, machiavellicamente  approvato come legge della Repubblica del 30 marzo 2004 n. 92 con il II Governo Berlusconi, che aveva l’appoggio di forze di derivazione fascista o post-fascista (e le doveva quindi assecondare e premiare) e al suo interno anche fascisti espliciti (come Tremaglia) o post-fascisti (come Fini, Alemanno, Gasparri), clericali come Buttiglione, leghisti indegni, nemici dell’Italia, che hanno appoggiato ogni iniziativa che implicava e implica critica all’Italia come nazione, trasformisti e traditori di tutte le risme, incapaci di uno scatto di dignità di fronte alla propria storia e alla storia del proprio paese.

Fascisti, post-fascisti, clericali, leghisti si sono impadroniti di un evento, così strumentalizzandolo e offendendolo, che potesse servire ad oscurare o attenuare soprattutto, anzitutto l’effetto dirompente annuale del ‘Giorno della Memoria’ del 27 gennaio, che chiama continuamente e giustamente e impietosamente al tribunale della memoria e della storia fascisti e clericali, qualunquisti e opportunisti.

Come ulteriore tentativo volpino, machiavellico, volpino di contrapporsi al 27 gennaio, quel governo ha approvato e considerato  il 10 febbraio come ‘solennità civile’ (art. 1, comma 3), qualifica e riconoscimento che non ha la ‘Giorno della Memoria’ della Shoah (vedi il testo della legge 20 luglio 2000, n.211).

Il fatto che il 10 febbraio sia solennizzato spesso solo da ambienti fascisti, post-fascisti  e clericali (che non hanno nessun titolo a farlo, anzi sono i responsabili di quella tragedia), nell’ostracismo, nel disinteresse delle forze comuniste e post-comuniste, testimonia come su questa vicenda ci sia non un doveroso e solenne impegno di verità e di umanità.

Ma sostanzialmente, secondo una considerazione personale, una lotta sorda e infame ideologica, di potere e di memoria tra l’egemone potere possente clerical-fascista-postfascista e suoi servi o utilizzatori opportunisti (tipo Berlusconi col codazzo di traditori di tutte le risme del suo governo e del suo schieramento, tipo Bossi col suo infame leghismo secessionista), interessati soprattutto ad allontanare il massimo da sé il collegamento con la Shoah e ad appiattire antistoricamente fascismo, nazismo, comunismo, quando il comunismo è stato dal 1941 al 1945 in prima linea alleato di Stati Uniti, Inghilterra, Francia contro nazismo, fascismo, militarismo giapponese con un costo di milioni e milioni di morti e che il campo di sterminio nazista di Auschwitz fu liberato emblematicamente dall’Armata Rossa,  e il mondo comunista-post-comunista, ferocemente attaccato al suo potere, ancora possente e pervasivo, incapace di una doverosa autocritica feroce di tanti aspetti tragici del passato comunista, leninista e stalinista, nazionale e internazionale.

 

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