La Rivoluzione di Masaniello a Sant’Anastasia
La Piazza Mercato di Napoli, brulicante di venditori e di bancarelle, così come è stata raffigurata in tante tele di Micco Spadaro o di Michelangelo Cerquozzi, era il luogo d’incontro per tutti coloro che, venditori o acquirenti, affluivano dagli angoli più remoti del Regno di Napoli. Fra questi molti abitanti di Sant’Anastasia che portavano nella capitale i prodotti della loro terra situata alle pendici del Monte Somma, gli utensili di rame nella cui lavorazione erano maestri sin dai tempi più remoti, i capretti, gli agnelli, i formaggi. Quando, quella mattina del 9 luglio 1647, iniziarono i tumulti, moltissimi “paesani” vi parteciparono, condividendo le idee di giustizia ed equità proclamate dal giovane pescivendolo e facendo loro il suo grido “abbasso lo malgoverno”.
Fu così che Sant’Anastasia divenne uno dei tanti, piccoli focolai della rivoluzione e continuò ad essere “un covo di ribelli” anche dopo la morte di Masaniello, durante la breve vita della “Serenissima Monarchia Repubblicana di Napoli.” Insieme a Massa, Pollena e Somma infatti, giurò fedeltà alla Repubblica e incrementò l’esercito popolare con l’invio di due compagnie di soldati guidati dal capitano Nufrio Della Pia. Un bel problema per quelle famiglie dell’aristocrazia filo-spagnola, spesso imparentate fra di loro, che nel casale vesuviano avevano le loro ville di campagna: Ettore e Carlo Capecelatro, Cola Maria Piscicello, Carlo e Luigi Caracciolo.
Ettore Capecelatro, avvocato, reggente e ambasciatore di Napoli presso la corte spagnola, si era arricchito grazie all’eredità ricevuta dopo la strana morte di un suo consanguineo, Ottaviano Capecelatro, colpito da un’archibugiata durante una battuta di caccia a Sant’Anastasia, dove possedeva i suoi beni. Dalla Spagna Ettore riportò il titolo di marchese del Torello, una moglie e pare “gran contanti” grazie ai quali si fece costruire una villa con annesso un vigneto di uva catalanesca nel casale vesuviano. Il suo primogenito Carlo duca di Siano, Maestro di campo e consorte di una dama di compagnia della regina appartenente alla famiglia Caracciolo, lo emulò facendosi costruire una villa a corte chiusa proprio di fianco a quella del padre, anch’essa con vigneto e fattoria. Nel settembre del 1647 Carlo Capecelatro, sperando di spezzare la ribellione degli anastasiani e di riportare il territorio sotto la sua egida, interruppe un corso d’acqua che alimentava quei paesi, cioè Somma e i casali circostanti. Successivamente, insieme a Luccio Sanfelice e ai figli di Francesco Antonio Muscettola, “faceva scorrerie per la campagna contro il fedelissimo popolo, ed anco abbruciando casali e terre, e le case di essi.” Così come scrive Francesco Capecelatro, cugino del duca.
Il 3 ottobre 1647 D. Francesco Toraldo D’Aragona, principe di Massa e capo delle truppe popolari, emanò un editto in cui, “ordinava e comandava che tutti i casali si unissero contro detti cavalieri e loro comitiva e che chiunque avesse ammazzato detti capi o uno di loro avrebbe ricevuto, per ogni testa, mille ducati.” Ordinò anche la condanna a morte di quei membri della famiglia Zazzara che avevano aiutato il duca ad interrompere il corso del fiume ma questi, corrompendo i custodi del carcere di Sant’Anastasia, scapparono. Il 15 ottobre fu saccheggiata la villa del marchese del Torello e ne fu sequestrata la vendemmia. Analoga sorte toccò a quelle dei Caracciolo e di Cola Maria Piscicello che però, accorsi prontamente, rimediarono pagando un riscatto. Depredata e data alle fiamme anche la sontuosa villa di Carlo, ne fu sequestrato il raccolto e furono incarcerati e giustiziati molti dei suoi vassalli, fra cui Muzio Viola, al quale il 24 ottobre fu “troncato il collo,” perché, come citava la condanna, “come familiare del duca di Siano, se la intendeva con gli Spagnoli.” La situazione venutasi a creare era molto ambigua e quasi senza via d’uscita. La città era governata dai repubblicani e le zone circostanti in mano agli spagnoli che ne controllavano gli accessi. L’11 novembre le truppe filo-spagnole, comandate dal generale Vincenzo Tuttavilla e da vari nobili fra cui il duca di Siano, arrivarono a Sant’Anastasia dove erano confluiti i rivoltosi di tutta la provincia. La battaglia fu lunga e cruenta e alla fine i popolari ebbero la peggio. Gli sconfitti tentarono la fuga verso Napoli ma due miglia oltre Madonna dell’Arco furono raggiunti dalla cavalleria regia. L’intero casale fu messo a ferro e a fuoco, almeno cinquecento i morti fra cui molti decapitati, centocinquanta imprigionati e numerosissimi i feriti. Per rendere ancora più incisivo il monito e, per vendicare la morte di Muzio Viola e la profanazione delle sue proprietà, Carlo Capecelatro fece infilzare le teste dei decapitati proprio davanti al suo palazzo, dopodiché lasciata a guardia della zona la sua compagnia di cavalieri con un cospicuo numero di fanti sotto la guida del capitano Durante, si ritirò con il resto dell’esercito a Marigliano. Gli abitanti di Sant’Anastasia tornarono ben presto al loro paese, alle loro case bruciate, alle loro terre desolate, sconfitti ma decisi a ricostruire così come avevano già fatto dopo l’eruzione del 1631 e tante altre volte. Una vittoria, però l’avevano ottenuta perché il duca di Siano, dopo aver cambiato il nome del casale in Santo Nastaso non vi mise più piede e il suo palazzo passò da un proprietario all’altro fino agli inizi del XX° secolo, quando fu acquistato e restaurato dall’amministrazione comunale che ne fece la sua sede. Ancora oggi alcuni vecchi chiamano“ l’aria do’ duca” la piazzetta antistante palazzo Siano, che fu il teatro dell’orribile spettacolo messo in scena da Carlo Capecelatro. Francesco Capecelatro “ Storia del Regno di Napoli.” |
Pubblicazioni mensiliSettembre 2024
Nuovo Monitore Napoletano N.189 Settembre 2024
Storia Un ricordo dell’8 settembre 1943 La spada di Filos: un trentino tra napoletani e francesi La guerra che non ho combattuto
Libere Riflessioni Considerazioni sul termine “confine” Ancora Fukuyama sulla fine della storia Negli anni '70 in un Consiglio d’Istituto con i Decreti Delegati Il latino, lingua eterna e universale L’impegno morale di Liliana Segre, senatrice a vita Contro la presenza degli eredi dei Borbone ad Altamura Il problema del cambiamento climatico
Filosofia della Scienza Sulle proposte di eliminare la filosofia
Cultura della legalità Statistiche
La registrazione degli utenti è riservata esclusivamente ai collaboratori interni.Abbiamo 181 visitatori e nessun utente online |