Fabrizio Ruffo: il cardinale assassino

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Categoria: Biografie protagonisti del 1799
Creato Sabato, 14 Gennaio 2012 18:46
Ultima modifica il Lunedì, 26 Agosto 2013 12:17
Pubblicato Sabato, 14 Gennaio 2012 18:46
Scritto da Nicola Terracciano
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Il cardinale assassino Fabrizio Ruffo fu responsabile diretto nel 1799 della morte atroce di vescovi e sacerdoti repubblicani, servo sostanziale, come la corte borbonica,  anzitutto degli inglesi anglicani di Nelson e poi dei russi ortodossi, dei turchi islamici.

Se si visitano oggi quasi tutti i siti internet che si riferiscono al suddetto Ruffo, ci si avvede che essi si fermano quasi tutti al 1799, mai sottolineando poi la ‘realtà effettuale’ di quella esperienza sanfedista serva soprattutto degli inglesi, senza i quali sarebbe stata sconfitta, mentre pochissimo si dice dei 28 anni successivi (Ruffo morì a Napoli nel 1827) della vita del ‘cardinale di Santa Romana Chiesa’, cioè del Vaticano. Si deve far capo a studi, libri specifici come quello di Casaburi del 2003.

La rimozione, la dimenticanza non sono casuali, perché in quei 28 anni si annidano esperienze e comportamenti, che aprono squarci inquietanti sulla storia delle chiesa cattolica, del Vaticano, della vera storia borbonica, della vera storia politica meridionale, italiana ed europea dell’età napoleonica, che potrebbero aprire gli occhi al gigantesco bambinismo maschile e soprattutto femminile che ci circonda, su cui hanno giocato e giocano i detentori del potere, politico, religioso, criminale, al fine di mantenerlo stretto nelle loro mani variopinte, che hanno imperversato ed imperversano nella catena delle generazioni, nascosti sotto le più inimmaginabili maschere (anche “amiche”, specialmente “vicine e sorridenti”).

 

Il cardinale assassino Fabrizio Ruffo, oltre che dai riconoscenti sovrani borbonici Ferdinando IV e Maria Carolina, servi di Austria e Inghilterra, mai difensori dei veri interessi e di un vero progresso storico del Mezzogiorno e della Sicilia, fu coccolato sempre dal Vaticano e dai Papi, che avrebbero dovuto come minimo tenerlo lontano, avendo le mani lorde di sangue.

Egli era stato nominato cardinale da papa Pio VI nel 1791 per i suo servigi a Roma, che era stata la città della sua formazione e delle prime importanti affermazioni come tesoriere ed economista dello Stato pontificio.


Partecipò pertanto  solennemente e onorato al conclave di Venezia, che si svolse sotto protezione austriaca (essendo stata Roma occupata dai Francesi dal 1798), che elesse il  14 marzo 1800, con appena 35 cardinali presenti, il cesenate vescovo di Imola, cardinale Barbara Chiaramonti, col nome di Pio VII, che regnerà fino al 1823.

Teoricamente l’assassino cardinale Ruffo, con le mani lorde di sangue innocente recente, poteva diventare papa.
Questa vicenda costituisce un altro, ulteriore capitolo della storia inquietante della chiesa cattolica, del Vaticano, e spiega i motivi per i quali gli ambienti vaticani, italiani, meridionali, napoletani non aprono mai veramente una riflessione profonda e libera sul 1799 e sul cardinale Ruffo.

Egli divenne anzi esponente di rilievo della ‘Congregazione Economica della Santa Sede’, ambasciatore presso il Papa del Regno di Napoli, capo delegazione nella Parigi napoleonica per cercare di scongiurare le nuove riconquiste di Roma e Napoli, avviando le prime paradossali relazioni con Napoleone, che si svilupperanno ampiamente negli anni successivi.

Si rifugiò di nuovo a Palermo nel 1806, con la venuta a Napoli di Giuseppe Bonaparte, ma questa volta non progettò alcuna riconquista sanfedista del Regno, giacchè il mondo napoleonico neo-monarchico, sostanzialmente antiliberale e antidemocratico, oltre che più forte militarmente, si profilava agli occhi machiavellici e volpini dei sovrani borbonici e del superclericale cardinale come non pericoloso nel profondo per il potere cattolico vaticano assolutista, antiliberale, antidemocratico, come lo era stato il mondo repubblicano liberaldemocratico, incarnatosi storicamente nel 1799.

Non era in gioco, come già nel 1799, la questione religiosa, della ‘Santa Fede’ o altro, ma solo la questione del ‘potere’ secolare, millenario, coi suoi possenti interessi, da conservare, mantenere ed eventualmente da consolidare, pur in tempi di profondi cambiamenti, nel presente e per l’avvenire.

In veste borbonica e vaticana il cardinale compì diverse missioni diplomatiche in Europa, stringendo in particolare quelle con la Francia di Napoleone, di cui divenne uno degli interlocutori preferiti.

Riflettiamo un po’: mentre formalmente la Napoli di Gioacchino Murat e di Carolina Bonaparte era formalmente in ostilità con Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria in Sicilia, il loro ambasciatore borbonico e vaticano, assassino dei repubblicani di Napoli del 1799, aveva relazioni amichevoli con l’ex rivoluzionario, veramente giacobino (fervente di Robespierre) Napoleone Bonaparte.

Questo spiega sia l’intreccio di potere e di poteri che nella storia si è avuta e si ha tra cosiddetti ‘nemici’, sia in particolare ‘smentisce storicamente’ l’odio di Maria Carolina d’Austria contro la Francia che aveva ghigliottinato la sorella Maria Teresa d’Austria, se il loro pupillo storico cardinale Ruffo (che aveva lanciato fuoco e fiamme contro i Francesi) stringeva legami con la Francia comunque figlia della rivoluzione.

La stima di Napoleone verso l’assassino cardinale Ruffo fu tale, che egli fu uno dei pochi cardinali (“berretti rossi”) che assistette nel 1810 a Parigi al matrimonio tra Napoleone e Maria Luisa d’Austria, figlia dell’imperatore Francesco II, nipote della borbonica sovrana Maria Carolina, che aveva sposato sua figlia, quindi sua cugina, Maria Teresa di Borbone (e fu paradossalmente Carolina Bonaparte, regina di Napoli, che accompagnò Maria Luisa, nipote della regina borbonica di Napoli, Maria Carolina, nel viaggio a Parigi).

Riflettiamo: la pronipote per parte paterna e nipote per parte materna della sovrana napoletana sposa l’ex rivoluzionario veramente giacobino (a differenza dei protagonisti del 1799, che non erano ‘giacobini’, ma sostanzialmente ‘antigiacobini’, perché assolutamente estranei alla visione di autoritarismo, di terrore, di fanatismo di Robespierre e seguaci), alla presenza del cardinale assassino, che aveva alzato lo stendardo della ‘Santa Fede’ contro i cosiddetti ‘giacobini’(che tali non erano storicamente, come si è detto, tenendo solo presente che Robespierre era stato ghigliottinato nel 1794 e i suoi seguaci erano fuorilegge) e Maria Luisa o Ferdinando IV hanno le facce di bronzo.

 

Il supremo interesse dell’Austria lo esige e anche questa volta, come nel 1799 e negli anni precedenti, Maria Carolina lo impone, ancora una volta sacrificando valori di dignità, di coerenza, di rispetto degli interessi del Mezzogiorno.

La stima di Napoleone verso l’assassino cardinale Ruffo fu tale che il neo-imperatore di Francia gli assegnò nel 1813 il titolo di ‘Ufficiale della Legion d’Onore’. Così l’uomo del disonore, degli assassini e dei mancati accordi del 1799 ebbe dal traditore storico della Repubblica, della Libertà, della Democrazia, un riconoscimento, che resta una delle ombre nere della memoria napoleonica.

La vicenda storica paradossale, alla luce anche della nascita del figlio di Napoleone di Francia e di Maria Luisa d’Austria, era che anche la famiglia napoleonica  francese, che regnava a Napoli, era diventata parente stretta di quella borbonica, scappata e residente a Palermo.

Perciò si spiega anche l’attenuarsi, man mano negli anni, della memoria del 1799, che doveva essere ben viva e splendente negli anni 1806-1815 e che ebbe agli inizi una sua espressione con la ripresa del ‘Monitore Napoletano’ del 1806.

Da quel maledetto intreccio napoleonico-austriaco-borbonico-vaticano, oltre che dalle distruzioni intenzionali borboniche degli anni 1799-1806, nascono il massiccio, gigantesco processo della rimozione della memoria del 1799 (che avrà tanti altri capitoli nella seconda età borbonica, nel Regno d’Italia, nel periodo fascista, nel periodo repubblicano fino ad oggi) e lo scandalo storico del Carmine.

All’assassino cardinale Ruffo Napoleone affidò l’incarico di riportare a Roma il papa Pio VII, il quale, appena rientrò il 24 maggio 1814, ricostituì la Compagnia di Gesù, reintrodusse l’indice dei libri proibiti, l’Inquisizione, tolse ogni diritto agli ebrei, ricostituì il ghetto,  abolendo le conquiste civili più importanti ottenute tra seconda metà del Settecento ed inizi dell’Ottocento, riponendo la Chiesa cattolica in profonda rotta di collisione e di contrasto col mondo moderno liberale, che dura nel profondo ancora oggi, con nuove armi volpine, collaudate da ormai due secoli.

Questo papa reazionario, che doveva la sua nomina anche al voto del Ruffo, lo nominò di nuovo membro della Congregazione Economica, poi membro della Deputazione Annonaria e della Deputazione della Grascia, e nel 1817 Gran Priore di Roma dell’Ordine Gerolosimitano, dei Nobili Cavalieri della Religione.

Negli anni dei moti 1820-1821 viveva nell’accogliente Roma del suo amico papa Pio VII, che non a caso nel 1821 gli rinnovò la carica di Prefetto delle Acque, delle Paludi Pontine e Chiane, e raggiunse il grado di ‘Primo Diacono della Chiesa di Roma’.

Poteva curare così da vicino anche le proprietà e le rendite che aveva a Roma e nel Lazio.
Riflettiamo: un papa nomina un cardinale assassino al vertice dei diaconi della centrale chiesa di Roma e mai la chiesa di Roma ha fatto menzione e autocritica di queste decisioni sciagurate e inaccettabili.

Nel pendolo Napoli-Roma, non mancò di aiutare dopo i moti carbonari del 1810-1821 il governo borbonico a riportare l’ordine assolutista e reazionario nel Regno delle Due Sicilie, su richiesta del fedifrago Ferdinando IV.
Non mancò, come sempre, di pensare alla sua roba, alla sua famiglia, alle carriere dei nipoti.

Il prestigio acquistato nel papato da questo cardinale assassino divenne tale che quando morì il papa Pio VII e fu eletto nel 1823 il nuovo Papa Leone XII, ebbe l’onore di annunciare, come primo cardinale diacono,  pubblicamente dalla loggia del Quirinale, allora residenza del pontefice, la nuova elezione e procedere poi alla sua incoronazione in San Pietro, ponendo sulla sua testa il Triregno, la particolare corona conica, piena di preziosi, che fa somigliare il papa ad un imperatore romano o bizantino.
Riflettiamo:la chiesa romana, il vaticano concede un onore così grande ad un cardinale assassino, rivelando di che pasta machiavellica e inquietante sono fatti.

Trascorse gli ultimi anni della vita a Napoli nella sontuosa dimora di famiglia, Palazzo Bagnara, nell’attuale Piazza Dante, numero 89, e quando morì finalmente il 13 dicembre 1827, fu esposto solennemente nella chiesa di S.Domenico Maggiore, dove fu sepolto nella sontuosa Cappella di famiglia, dove riposa, settima cappella della navata sinistra, che ha nopme oggi ‘Cappella di Santa Caterina di Alessandria.

Per queste notizie e le altre che sono state date si veda il libro Giovanni Ruffo, Il Cardinale rosso, del 1998, p. 145, citato nella monografia di Mario Casaburi, Fabrizio Ruffo. L’uomo, il cardinale, il condottiero, l’economista, il politico, Rubettino editore, Soveria Mannelli (Catanzaro), 2003.


Per la collocazione della tomba con foto c’è l’indicazione di uno studioso di Baggnara Calabra, che parla di ‘Napoli – San Domenico Maggiore. La tomba ducale della gran casa di Bagnara, sepoltura anche del cardinale don Fabrizio Ruffo. Si trova sul pavimento della Cappella di Bagnara, dedicata a Santa Caterina d’Alessandria. Ospita anche alcune sepolture della nobile famiglia Tomacelli, legata ai Ruffo da antica amicizia e parentela” in Tito Puntillo, Bagnara 1799-1815, Parte prima-Il 1799 a Bagnara, in Civiltà dello Stretto, Quaderni Bagnaresi, Anno I-N.1 – giugno 2011, p. 44.

Nel testamento il cardinale Fabrzio Ruffo  aveva decretato la spesa per seicento messe in suffragio della sua anima, cosciente di aver commesso tanti crimini.

Mentre i grandi, innocenti Martiri repubblicani del 1799 giacciono nel fango del Carmine ed un macigno ferreo di dannazione della memoria, di cui sono responsabili politici tutti di ogni colore, di destra, di centro, di sinistra, di ogni età, ancora grava su di loro.

Sta a noi, miracolosi devoti della loro nobile Memoria, capaci ancora di ‘umana pietà’, con Antonella Orefice,  rara in prima fila,  a fare ogni sforzo, affinché questo scandalo storico sia affrontato e finalmente sciolto.