Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il “giallo” dei Campi Flegrei

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Ora, dicono, ho una “certa” età ma, devo confessare, ho cominciato ad appassionarmi sul serio ai racconti del “mistero” solo quando ho improvvisamente scoperto di quanto l’intera memoria della mia vita sia costellata di scene che si dissolvono improvvisamente nei raggi abbaglianti riflessi dal mare.

Mio padre era un provetto autista e, quando a tre anni ebbi un grave episodio di tosse convulsa, forse per proteggere il sonno dell’intera famiglia, mi portava in macchina a respirare…i fumi dell’Italsider.

Perché lo facesse me lo sono sempre chiesta, ed allora mi chiedevo anche perché, se lo raccontavo, tutti si mettessero a ridere.

Solo ora, riflettendo su questo vivido ricordo, credo di aver scoperto le ragioni che lo inducevano a portarmi lì nel suo vagabondare: egli, abituato ai fumi della guerra in cui aveva svolto mansioni di autiere, riusciva a percepire, confusi con i miasmi esalati dalle ciminiere della grande fabbrica, lo zolfo della solfatara, quelli si curativi per i miei bronchi. Dunque mi portava lì, come lui diceva dopo l’ultimo lampione di Fuorigrotta, per prendersi cura di me, come qualcuno certamente gli aveva consigliato.

Poiché questo racconto deve avere i connotati della narrazione in “giallo”, vorrei fare solo una piccola premessa per così dire “gnoseologica. Poiché, come ho detto, per me il giallo è il colore dell’abbaglio dei raggi del sole, dunque il territorio dopo l’ultimo lampione di Fuorigrotta appunto è come circonfuso dal colore che alle cose dà il sole al tramonto in un abbaglio.

 

All’Università (frequentavo la facoltà di Sociologia che allora si era aperta a Napoli come dipartimento di Lettere) partecipai ad una visita, guidata da due “capo cantieri”, ed entrammo nell’altoforno della grande fabbrica.

La scena mi si presenta ancora con un abbaglio giallo, che questa volta emerge dalle ultime altissime propaggini di un fuoco incandescente, mentre il capo cantiere raccontava, con voce ferma e temeraria, che “capita quasi ogni giorno che il fuoco inghiotta qualche addetto all’altoforno, che, per governarlo, deve camminare su un trafilo di acciaio.” Erano le paghe più alte…ci spiegava… E tutti si pensava, per necessaria scaramanzia, che queste vite fossero nate già votate al mistero dell’“amen”. E tutti noi pensavamo che fosse necessario che rimanessero senza nome, come i militi ignoti…

All’ingresso e all’uscita, dolce guardiana della grande fabbrica, gli operai stessi, riuniti tutti nel patronato del “dopo-lavoro”, avevano posto una statua della Vergine Maria: a questa con orgoglio però si era dato un nome, come si dà alle Madonne che proteggono un luogo: e così, accanto alla Madonna di Monte Vergine, accanto alla Madonna di Pompei, con tutto rispetto, poteva ben stare la Madonnina dell’Italsider.

Povera Madonnina, certo non sopravvissuta alla chiusura dell’altoforno…!

Bagnoli era ancora allora un borgo di pescatori, le donne vi stendevano bianche lenzuola, salvo ritirarle a sera tutte impregnate della polvere del carbon coke.

Invisibili a tutti, gli operai custodivano con dignità un altro loro tragico “mistero”: nessuno sapeva dire perché a Bagnoli nascessero tanti, troppi neonati con handicap, che i genitori stessi, con disperazione, definivano “subnormali”.

Per essi tutti gli operai della grande fabbrica tassarono il loro salario e fondarono un centro di cura e riabilitazione: il GIFFAS (gruppo Italsider Famiglie fanciulli subnormali).

Il centro Giffas, ora rilevato dalla Regione e divenuto presidio territoriale, ora che, dopo tante lotte per l’abolizione delle classi differenziali, la medicina dichiara superato l’odioso stigma, ora che il mondo della scuola parla finalmente solo di bimbi con “bisogni educativi speciali”, non ha ancora cambiato l’acronimo che lo designa.

A questo punto ci si potrebbe chiedere…cosa c’entrano questi ricordi con un racconto tinto di “giallo” per il quale bisognerebbe per lo meno avviare un’indagine ed individuare precisamente il misfatto ed un colpevole?

E, d’altra parte, non si può ritenere che queste storie siano avvolte da tanti misteri che cercano una mediazione tra la trattazione in cronaca ed il giudizio dei posteri che interrogano le sepolture?

Storie che sembra che chiedano urgentemente di dipanare l’abbaglio dello sguardo su tante verità mai indagate?

Poco più avanti di Bagnoli, c’era e c’è ancora, uno stabilimento balneare denominato Lido Napoli, con cabine tutte colorate e una famosa “buvette” che distribuiva gustosi gelati: solo un chilometro separa questo lido dal mistero di Bagnoli. Perché per tutti Arcofelice è tinta del giallo dei raggi del sole e Bagnoli deve rimanere chiusa nel tragico mistero dei suoi morti su e per il lavoro.

Il Manzoni, quando, nell’indagare sulla fine di Geltrude, suggerisce che invece di cercare lontano bisognasse scavare vicino, pensa, con tanta preveggenza, al concetto di contiguità, che tanto potrebbe insegnare alla nostra modernità nei progetti urbanistici…

Sul Litorale Della Pietra c’è una villa Liberty denominata “Villa Medusa”: già proprietà di un famoso dottore, poi donata al Comune, è rimasta disabitata fin quando, dopo il terribile terremoto degli anni ’80, grazie ad una legge suggerita dalla “neonata” Protezione Civile. Grazie ad una felice intuizione, questa sì suggerita dalla bellezza della dimora, si pensò poi di destinarla agli anziani del quartiere, per farne un “ospizio per vecchi”.

Per decenni era stata abitata da un custode che ispirato, giustamente dal suo punto di vista, ne aveva fatto la sua personale dimora principesca… Un giorno, sul finire degli anni novanta, gli ormai vecchi operai se la ripresero ed imposero una targa…Quella sarebbe stata la casa per la loro “terza età” ed il loro “tempo libero”. A sera si riunivano per ballare e per raccontare le loro preziosissime memorie: gli studenti delle scuole venivano ad ascoltarli affascinati…  Durò poco, forse perché quelle memorie potevano far paura a qualcuno…O forse solo perché, come scrive Eduardo in Napoli milionaria, le memorie dolorose è difficile raccontarle… Inconsciamente si vuole farle restare misteriose, abbagliate… Abbagliate da quello stesso sole che abbaglia i turisti…!

I custodi…che strane creature!

Ad incontrarli spesso incutono un timore sacrale perché intorno a loro aleggia l’alone del mistero.

Stanno sulla soglia, come vestali della dimora che custodiscono, spesso in versione di doganieri, o di Serafini con la spada sguainata, o di Cerberi…E, nell’attesa che qualcuno rivendichi la vera appartenenza del bene comune che custodiscono, intuendo la “sacralità” del compito di possederne le chiavi, talvolta vi fanno accedere, forse per vincere il tedio e la solitudine della missione assegnata loro, i membri delle più accreditate società segrete del territorio…che ivi confabulano.

D’altronde i casi sono i più disparati… si tratta solo di illazioni per cercare di penetrare il mistero delle più importanti “vestigia” che la storia dei Campi Flegrei ha lasciato ai cittadini come eredità da “investigare” appunto, stando discretamente sulla soglia…

D’altronde sono così tante queste “creature”, dico i reperti monumentali, che per molti di loro può essere comprensibile, forse, che non sia arrivata in tempo la cura e la tutela!

Poi ci sono le sorelle suore…Destinate alla custodia dei misteri, calpestando e proteggendo da sempre la sacralità, alcune, in completa solitudine, si aggirano in enormi e complessi edifici monumentali, che includono cappelle, cimiteri con orti annessi, sempre separati da lunghissimi corridoi: i loro viaggi quotidiani…

 A volte nell’ “Ordine” sono rimaste solo in due e spesso si intravedono da lontano all’incrocio di questi corridoi.

Le chiavi della Piscina Mirabilis di Bacoli, patrimonio della Sovrintendenza, erano in possesso di una dolcissima vecchina e le si dava una mancia per accedervi…

Cosa accadesse però nelle tante ore di solitudine dei superbi complessi monumentali nessuno è mai riuscito a saperlo.

Se non che sia le suore che la vecchina, interrogate sulla soglia delle loro guardianie, sono state disposte a raccontare, precisamente… Hanno raccontato che, nelle quiete ore, le anime del luogo possono girare indisturbate, rispettate anche da eventuali intrusi malandrini che avessero a penetrare in questi splendidi e dormienti spazi per i loro affari.

E che fanno lì le anime vagabonde? Senza alcun dubbio, hanno detto le suore e ha detto la vecchina, cantano camminando, come sempre fanno i pellegrini. La vecchina in particolare si dice modulasse, ma solo al tramonto, le melodie che, diceva, e c’era da crederle, avevano accompagnato la sepoltura di Miseno.

Diceva che si trattava di canti “all’unisono” per coro femminile di bimbe, fanciulle, madri e vegliarde che ricordavano le “gesta” di un giovane morto che, migrando, era approdato in questa splendida terra.

Miseno, diceva, si risveglia ogni anno a Pasqua, certo per contemplare la luce del Cristo Risorto, ma ancora non lo può seguire in Paradiso, deve attendere come attendeva lei sulla soglia della Piscina Mirabilis. Per tutto il resto dell’anno vorrebbe compagnia, vorrebbe essere vegliato nell’Ade che, come si sa, è in fondo al lago…Vorrebbe, ma deve attendere anche lui, perché le anime pellegrine che lo ricordano non potranno seguirlo che alla fine delle loro melodie lunghe “secula seculorum”.

Si tratta, come è chiaro, di una sequela melodica che si ripete sempre dai tempi della morte del giovane prode che ha osato sfidare i mari per cercare fortuna in terre lontane. Una melodia che, al tramonto, confusa con la voce del vento, ispira la profondità del canto delle “due” suore di un vicino convento, per dileguarsi e raggiungere i tanti sentieri e le cappelle del Rione Terra. 

Si sa che Miseno è stato il mito di tutte le donne che, interrogando la musica delle onde imprigionata nelle conchiglie ed il mistero dell’orizzonte, si sono sentite chiamate dal mare…

Miseno, figura mitica così simile a quel Palinuro che si era lasciato abbagliare dal sole e ad Ulisse che a quella voce aveva dovuto resistere, cercava migrando la pace.

La Profetessa a Cuma, con messaggi cifrati, indicava l’insania di ogni guerra e di ogni confine, ed Enea, meditando sul mistero della terra su cui era approdato, aveva sognato Miseno sulle sponde dell’Averno. La vecchina della Piscina Mirabilis raccontava divertita che un suo sogno ricorrente era quello di intravedere, specialmente sotto il Natale, un Ulisse barbuto che donava al pio Enea, uscito dall’Averno, un piccolo cavalluccio di legno da conservare al figlio che sicuramente avrebbe avuto da Ascanio e Lavinia.

Soprattutto dopo una “certa età” ed in determinate condizioni esistenziali, diciamo così, sempre più condizionate dagli eventi, si sente il bisogno di dare voce alle presenze fantasmatiche dei luoghi, a quelli che si è soliti chiamare i “geni del luogo”.

Pur tuttavia, in questo breve scritto, pare non emerga un vero e proprio racconto “giallo” che parta dal bisogno di cercare il “colpevole” di un misfatto che spinge tante anime a continuare a vagare…pur nel dolce canto.

E se i “generi” stilistici vanno rispettati, bisogna indagare, cercare indizi, porsi domande…

Si può per esempio partire da queste domande: chi ha dato alla vecchina le chiavi della Piscina Mirabile ritenendola l’unica degna custode? Chi giustamente l’ha scelta, nel dopoguerra, per custodire questo Mirabile reperto”? Che uso se ne era fatto durante gli anni della grande guerra che tutto sconvolse? Ed infine chi la detiene oggi e con quali intenti e cura?

Come si vede qui però si apre lo scenario di una lunga lista di tracce ed indizi e, per non incorrere in false piste ed incolpare, come si suole, la maledizione degli dei, bisognerà partire da una semplice costatazione: le mura dell’antica cisterna che forniva acqua e vita sono intatte e parlano a saperle ascoltare… esse sono sopravvissute a cataclismi, guerre, terremoti, sconvolgimenti tellurici.

Saranno dunque bel loro ad indicare le tracce da indagare sul mistero dei Campi Flegrei a quelli che sanno davvero apprezzare il dono della presenza della Piscina Mirabilis in questo magico territorio abbagliato dal sole, tra il mare e i laghi…

 

Annamaria Di Stefano

da  Lab Politiche e Culture Numero 8  15 Ottobre 2025 – 14 Gennaio 2026

 

Foto di Rino Vellecco

 

 

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