1640. Le proposizioni eretiche, erronee o sospette di fra’ Mariano di Napoli
Qualche anno più tardi, il 3 aprile del 1640, un sacerdote domenicano, fra’ Mariano di Napoli, si recava al palazzo arcivescovile per rispondere, di fronte al tribunale del Sant’Ufficio, di certe accuse e denunce a suo carico, presentate all’inquisitore appena un mese prima, a proposito di una sua predica intorno a un’eruzione e a un presunto miracolo.2 A denunciarlo erano alcuni fedeli che, ascoltando la messa da lui celebrata nella chiesa di Sant’Arcangelo agli Armieri, lo sentirono pronunciare parole in odore di eterodossia, proposizioni potenzialmente «eretiche, erronee o sospette»,3 e che pertanto venivano rimesse al vaglio dell’Inquisizione. Le versioni riportate dai quattro denuncianti differiscono tra loro per qualche dettaglio, ma di fronte al pulpito tutti i presenti udirono frasi simili: «la Madonna stava turbata di volto e buttava lacrime», oppure: «la madre di Dio spargeva lacrime di sangue e che perciò non aspettassero di rivedere di nuovo l’incendio del Vesuvio», o ancora: «volete aspettare che la Montagna di Somma di nuovo si allumini e non vedete che la Madonna piange lacrime di sangue».4
E tanto più il predicatore «esagerava il peccato» in quanto «era arrivata la domenica di quadragesima e che ci erano di quanti che non si erano confessati ancora». L’immagine del Vesuvio in eruzione era un ricordo impresso a fuoco sulla pelle e nella mente dei suoi testimoni, e non sorprende che un prete in «fucore di Spirito», come da lui stesso ammesso, utilizzi una simile figura per spaventare i penitenti e allo stesso tempo invogliarli a confessare i propri peccati di fronte a Dio, al fine di scongiurare una prossima catastrofe. Ciò che però attira maggiormente l’attenzione è il topos della Madonna piangente, strettamente legato al tema delle eruzioni vesuviane in età moderna. Interrogato dall’inquisitore a proposito del miracolo della “mutazione” nel volto della Beata Vergine Maria, fra’ Mariano risponde che, durante la sua permanenza presso il convento domenicano di San Severo al Pendino, è venuto a conoscenza dell’ispezione del commissario dell’Inquisizione alla chiesa di Santa Maria dell’Arco, dove si diceva fosse da poco avvenuto il miracolo. Alla Madonna dell’Arco, oggi un quartiere del comune di Sant’Anastasia, il domenicano era profondamente legato, tanto da definirsi «figlio di S. Maria dell’Arco». Questa visita avvenne di fatto nel 1638, quando il Viceré Ramiro Felipe Núñez de Guzmán e il Vicario generale della diocesi di Nola si recarono al santuario per verificare la bontà del prodigio. La presenza delle autorità civili e religiose segnò un passaggio fondamentale per il riconoscimento del miracolo attraverso un atto notarile, in quanto «sul piano del discernimento di questi fenomeni la Chiesa aveva applicato un provvedimento importante già con il decreto del 19 settembre 1516 (Laterano V), quindi prima delle polemiche con Lutero. Il Concilio di Trento stabilì la condotta da seguire in caso di presunti miracoli, visioni, apparizioni e profezie, chiarendo che la procedura ufficiale non potesse concludersi positivamente senza il riconoscimento del carattere sovrannaturale da parte dell’ordinario del luogo».5 Ma in questo periodo la fama della Madonna piangente era ben consolidata, tant’è che agli eventi prodigiosi i fedeli e i pellegrini erano già abituati: la prima lacrimazione del volto di Maria si ebbe nel 1450, a seguito di una palla scagliata contro la sua guancia (il bestemmiatore che la lanciò fu condannato a morte con un processo sommario), e di lì in poi il culto mariano si intrecciò, a causa della vicinanza con il Vesuvio soprastante, con le sue vicende vulcaniche. Secondo il giudizio dell’abate Giulio Cesare Braccini, infatti, diverse chiese scamparono alla devastazione del 1631, e «con maggior dimostrazione è avvenuto alla Chiesa, o massarie della Madonna dell’Arco: le quali, non solo non hanno patito danno alcuno, ma in riguardo anco di questa S. Chiesa, come si crede, essendosi abbruciato per tutta la Montagna ogni cosa, e rovinato, o spiantato almento quanto vi era; quella parte sola, che è dirimpetto alla facciata di lei, da alto a basso di detta Montagna è rimasta illesa».6 A questo punto è lecito chiedersi perché, alla luce dell’importanza per i napoletani del culto della Madonna dell’Arco, gli inquisitori si danno tanto pena a interrogare un pio frate che, forse in un eccesso di devozione, ha invocato l’avverarsi di un prodigio a lui tanto caro e paventato una tragedia per molti ancora vicina. Le ragioni dell’uno e dall’altra potrebbero risiedere in una spiegazione univoca, in un cambio di paradigma che lentamente si sta imponendo nel secolo in questione e che trova il suo culmine nel Settecento. L’eruzione vesuviana del 1631 dà il via a una serie di ricerche che contribuiscono al passaggio (per usare l’immagine di un grande storico della scienza) «dal mondo del pressappoco all’universo della precisione»7, cioè al superamento di quella «visione metafisica dell’attività scientifica, all’interno della quale i fenomeni fisici vengono ricondotti a cause dipendenti dalla sola volontà divina»,8 che per esempio è propria del Braccini, per approdare a «una indagine razionale, sottratta a dogmi tendenziosi e a ipoteche teologiche».9 Allo stesso modo il riconoscimento dei miracoli va incontro a un’analisi più approfondita, in modo da non lasciare troppo spazio alle superstizioni, ai fanatismi o, peggio ancora, alle pratiche magiche alle quali i napoletani sono molto legati, e che perciò vanno contenute dalla Chiesa cattolica. Il punto di incontro privilegiato tra scienza e religione, nel quale si tenta di distinguere ciò che è da ciò che non è miracolo, è quello della medicina, perché la conoscenza maggiore di malattie e guarigioni le cui cause erano in passato sconosciute permette di escludere l’elemento irrazionale grazie a diagnosi più accurate e a una migliore trattatistica scientifica.10 Nel pieno dell’età dei Lumi è Voltaire a rimarcare, con una provocazione velatamente ironica, la necessità di verificare con metodo scientifico i presunti miracoli: «perché un miracolo fosse ben assodato, sarebbe auspicabile, per esempio, che venisse compiuto in presenza dell’Accademia delle scienze di Parigi o della Società reale di Londra e della Facoltà di medicina, assistite da un distaccamento del reggimento delle guardie per contenere la folla, che potrebbe con la sua indiscrezione impedire l’attuazione del miracolo».11 La supposta eterodossia di fra’ Mariano sta dunque nell’aver dimenticato o ignorato che soltanto la Chiesa ha l’ultima parola in materia di miracoli e rivelazioni, apparizioni e prodigi, adorazioni e venerazioni, e alla domanda dell’inquisitore: «An sit licitum concionatoribus absque licentia et approbatione ordinaris publicatio miracula vel similia», non può che rispondere: «In questo mi rimetto alla chiesa e dico che assertivamente non si può publicare».12 Per concludere, l’attività vulcanica del Vesuvio, a seconda delle interpretazioni ideologiche e della lettura millenaristica della storia attraverso i fenomeni naturali, è ora simbolo di morte, inteso come punizione divina nel 1631, e ora simbolo di vita, come è avvenuto per la neonata Repubblica napoletana del 1799. Allo stesso modo un evento prodigioso come il sanguinamento di una statua della Vergine Maria può essere ora derubricato alla stregua di una “proposizione eretica”, perseguibile dal Sant’Ufficio, e ora considerato come un elemento della devozione popolare, utile per rafforzare il legame dei fedeli con la Chiesa cattolica, previo riconoscimento, s’intende, dell’autorità ecclesiastica con i suoi appositi dicasteri e congregazioni. 12
Lorenzo Fariello
Note 1. G. C. Braccini, Dell’incendio fattosi nel Vesuvio a XVI di dicembre MDCXXXI, per Secondino Roncaglio, Napoli 1632, p. 30. 2. Archivio Storico Diocesano di Napoli (d’ora in poi ASDN), Fondo Sant’Ufficio, 198.2738. 3. La formula di reato si trova in G. Romeo, Il fondo “Sant’Ufficio” dell’Archivio Storico Diocesano di Napoli. Inventario (1549-1647), in «Campania Sacra» 34-35, Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale. Sezione “S. Tommaso d’Aquino”, Editoriale comunicazioni sociali, Napoli 2003, p. 347. 4. ASDN, Fondo Sant’Ufficio, 198.2738. 5. M. Cattaneo, Dalle icone alle apparizioni: il culto mariano tra età moderna ed età contemporanea, in I demoni di Napoli. Naturale, preternaturale, sovranaturale a Napoli nell’Europa di età moderna, a cura di F. Paolo de Ceglia e P. Scaramella, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2021, p. 118. 6 G. C. Braccini, Dell’incendio cit., p. 48. 7. A. Koyré, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Einaudi, Torino 2000. 8. A. Tortora, Tra critica letteraria e critica storica. L’abate Giulio Cesare Braccini e l’eruzione vesuviana del 1631, in La Storia e la Chiesa (secoli XVI-XVII). Ricerche e letture critiche, Plectica Editrice, Salerno 2007, p. 78. 9. Ivi, p. 74. 10. G. Sodano, Miracoli e devozioni nel Mezzogiorno moderno tra tradizione e innovazione storiografica, in Mezzogiorno prodigioso. Ricerche sul miracolo nel Meridione d’Italia dell’età moderna, a cura di G. Sodano, Quaderni – Mediterranea - ricerche storiche, Palermo 2023, p. 24. 11. Voltaire, Dizionario filosofico, Rizzoli, Milano 2000, pp. 329-330. 12. ASDN, Fondo Sant’Ufficio, 198.2738. |
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Il 16 dicembre 1631 si levava dalla bocca del Vesuvio una «densa e straordinaria nuvola»