Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Vittime innocenti. Agosto 1944-2015

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Il 1° agosto 1993 a Santa Maria di Licodia (CT) venne ucciso Fabio Garofalo, 18 anni. 

Impegnato in servizi di volontariato a favore degli anziani per conto dell’Azione cattolica del paese, si trovava in una sala da giochi quando un killer, con il volto coperto dal passamontagna, entrò e sparò tre colpi di pistola ferendo il figlio del gestore al torace e ad un braccio. Poi, mentre cercava di scappare, sparò ancora un colpo a bruciapelo, colpendo al volto ed uccidendo Fabio Garofalo che casualmente gli si era trovato di fronte.

A seguito delle indagini, emerse che il killer avesse l’intento di uccidere il titolare per uno “sgarro” nei confronti del clan di estorsori di cui faceva parte. Fabio fu ammazzato perché avrebbe potuto essere un testimone scomodo. 

Il 3 agosto 1991 a Orta di Atella (CE) venne ucciso in un agguato l’imprenditore Antonio Belardo, vittima del racket delle estorsioni ad opera del Clan dei Casalesi.

Mentre percorreva il corso Atella a bordo della sua auto Golf, venne raggiunto da numerosi colpi da arma da fuoco, esplosi presumibilmente da individui a bordo di un’altra autovettura. Belardo era un imprenditore e poche settimane prima del suo omicidio, insieme ad alcuni altri imprenditori, aveva denunciato alcuni episodi estorsivi.

 

Il caso venne inizialmente archiviato ma dopo ben 27 anni dall’omicidio finiscono a processo Giuseppe Quadrano, il killer di don Peppe Diana, ed Alberto Di Tella. Quest’ultimo condannato a 13 anni e 4 mesi.

Il 4 agosto del 2009 a Napoli fu uccisa la guardia giurata di 45 anni Gaetano Montanino.

Era in auto di servizio con il suo collega, fermi davanti ad un negozio di giocattoli a Piazza Mercato quando un gruppo di ragazzi del quartiere decise di rapinare le armi ai due vigilanti. Su uno scooter si avvicinarono all’auto due di loro, armati e con i volti coperti dai caschi. Le guardie reagirono e i due rapinatori spararono. Gaetano Montanino venne raggiunto da otto colpi di pistola, morì sul colpo.

La sera stessa dell'omicidio venne fermato uno dei due assassini, rimasto ferito durante la sparatoria. La testimonianza del collega di Montanino, Fabio De Rosa, ha permesso ai poliziotti della Squadra Mobile di ricostruire la dinamica dei fatti. I ragazzi erano intenzionati a sottrarre le armi di ordinanza perché le stesse erano destinate al clan Mazzarella.

Nell'aprile del 2012 la sentenza di secondo grado condanna i due maggiorenni a venti anni di reclusione.

Il 5 agosto del 1989 a Palermo furono uccisi Antonino Agostino, poliziotto di 28 anni, e Ida Castelluccio, sua moglie di 19 anni. 

Agostino era a Villagrazia di Carini con la moglie, Ida Castelluccio, sposata appena un mese prima. La sua consorte era incinta di cinque mesi di quello che sarebbe stato il loro primo figlio. Mentre entravano nella villa di famiglia per festeggiare il compleanno della sorella di lui, un gruppo di sicari in motocicletta arrivarono all’improvviso e cominciarono a sparare.

Ai funerali di Antonino e Ida erano presenti i giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Lo stesso Falcone disse ad un amico commissario: «Io a quel ragazzo devo la vita». Antonino Agostino stava indagando sul fallito attentato dell’Addaura: il 21 giugno 1989 alcuni agenti di scorta trovarono su una spiaggia dell’Addaura un borsone contenente cinquantotto candelotti di tritolo. In quella stessa spiaggia si trovava la villa di Giovanni Falcone, obiettivo del fallito attentato.

Il 6 agosto 1992 Villa Literno (CE) venne ucciso l’agricoltore Antonio Di Bona, 56 anni. 

Fu ucciso presso l’officina meccanica dove attendeva la riparazione del proprio trattore. Quel giorno quattro sicari con il volto coperto da passamontagna uccisero anche il titolare dell’officina e un meccanico. 

All'origine del triplice omicidio una ''vendetta'' tra clan. In quel periodo era in atto una guerra tra il clan capeggiato da Francesco Schiavone e il gruppo facente capo alla famiglia Venosa. La polizia ritenne sin da subito che l'obiettivo dei sicari fosse il titolare dell'officina, Antonio Diana, imparentato con Raffaele Diana, a sua volta affiliato al clan Schiavone. Antonio Di Bona e Nicola Palumbo sarebbero stati eliminati perché ritenuti dai killer scomodi testimoni.  

Condannato all'ergastolo Carannante Francesco, uno dei killer del commando omicidiario; l'altro killer appartenente al commando è deceduto poco dopo in un conflitto a fuoco tra clan. Quadrano, divenuto nel frattempo collaboratore di giustizia e ritenuto mandante dell'agguato, è stato condannato a 13 anni di reclusione.

Le condanne vengono confermate in Cassazione nel 2009.

Il 7 agosto 1952 a Caccamo (PA) venne ucciso il contadino Filippo Intili, 51 anni. 

Venne ucciso a colpi d’accetta nelle campagne di Caccamo: da tempo prendeva parte alle proteste dei contadini in nome di una riforma agraria e voleva dividere il prodotto dei campi che aveva a mezzadria al 60% per il mezzadro e il 40% per il proprietario, in base a un decreto del ministro Fausto Gullo dell’ottobre 1944.

Ha avuto il coraggio di battersi contro le ingiustizie e la prepotenza della mafia che non permetteva l’applicazione della riforma agraria. Anche a Caccamo si usava dare la terra a mezzadria condizioni di gran lunga più sfavorevole di quelle previste dalla legge regionale siciliana. Intili cercò di cambiare le cose e per questo si dice fu ucciso per mano della mafia. 

L’8 agosto 1986 a Messina venne ucciso il 28enne Gregorio Fenghi.

Fu ucciso solo perché si trovava nell’auto del cognato e scambiato per quest’ultimo.

Il cognato ed ex poliziotto Corrado Parisi, era uno dei 95 imputati nel maxi processo alle quattro cosche mafiose messinesi, il vero obiettivo del killer, affiliato al clan Costa, all’epoca rimesso in libertà da appena una settimana per decorrenza del termine di custodia cautelare. Fenghi non c’entrava nulla con la criminalità organizzata, era un onesto impiegato delle Ferrovie dello Stato in servizio a Cuneo, e da qualche giorno era in ferie a Messina, perché da appena tre giorni era diventato padre.

A sparare probabilmente fu un killer che era in auto con le due vittime, sulla vettura di Fenghi.  Il figlio aveva appena 3 giorni di vita quando Fenghi morì. Non l’ha mai conosciuto.

Il 9 agosto del 1991 a Campo Calabro (RC) venne ucciso il giudice Antonino Scopelliti, 56 anni.

Si è occupato di vari maxi processi, di mafia e di terrorismo. Ha rappresentato, infatti, la pubblica accusa nel caso Moro durante il primo processo, nel sequestro dell'Achille Lauro, nella Strage di Piazza Fontana e in quella del Rapido 904. Era tornato nella sua regione per trascorrere le vacanze. Mentre rientrava in paese a bordo della sua automobile, venne intercettato dai suoi assassini, almeno due persone a bordo di una moto, appostati lungo la strada. L'agguato avvenne all'altezza di una curva, poco prima del rettilineo che immette nell'abitato di Campo Calabro. Gli spararono con fucili calibro 12 caricati a pallettoni. La morte del magistrato, colpito con due colpi alla testa esplosi in rapida successione, fu istantanea. L'automobile, priva di controllo, finì in un terrapieno, per questo in un primo momento si pensò ad un incidente stradale. Quando fu ucciso stava preparando, in sede di legittimità, il rigetto dei ricorsi per Cassazione avanzati dalle difese dei più pericolosi esponenti mafiosi condannati nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra. Secondo i pentiti della 'ndrangheta Giacomo Lauro e Filippo Barreca, sarebbe stata la cupola di #CosaNostra siciliana a chiedere alla #ndrangheta di uccidere Scopelliti, e, in cambio del ''favore'' ricevuto, sarebbe intervenuta per fare cessare la ''guerra di mafia'' che si protraeva a Reggio Calabria dall'ottobre 1995.

Il 10 agosto del 2000 nel quartiere napoletano di Pianura vennero uccisi   Paolo Castaldi e Luigi Sequino.

Quella sera i due ragazzi si fermarono a parlare nei pressi dell'abitazione di Gigi che era anche il luogo di residenza di Rosario Marra, genero del capoclan Pietro Lago. A bordo di due ciclomotori, i killer, le cui intenzioni sarebbero state quelle di vendicare la morte di un loro affiliato, Vincenzo Giovenco (ucciso dai Lago il 31 luglio precedente), quella sera erano in perlustrazione a caccia di appartenenti al clan avverso da eliminare. I ragazzi, inconsapevoli del pericolo e parcheggiati sotto casa a bordo di una Lancia Y, vennero così scambiati per due guardaspalle di Marra (genero del capoclan della famiglia Lago). Raggiunti da una grandinata di colpi sparati dai sicari, morirono sul colpo.  Nel novembre 2007 è arrivata una prima sentenza di condanna all'ergastolo per Pasquale ed Eugenio Pesce, individuati come esecutori materiali del delitto Nel 2008 la terza sezione della Corte di Assise d'Appello di Napoli ha confermato la condanna all'ergastolo per i cugini Pasquale ed Eugenio Pesce. Gigi e Paolo quella sera stavano programmando le vacanze, non sapevano che non avrebbero più potuto fare alcun progetto. Sparati per errore? Non esistono sbagli della camorra, lo è essa stessa così come chi la appoggia, la giustifica o la tollera.

Il 12 agosto 1944 avvenne l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema.

Fu un crimine di guerra nazifascista compiuto dai soldati tedeschi di tre compagnie della SS e da collaborazionisti italiani della Repubblica sociale italiana. All'alba del 12 agosto 1944 tre reparti circondarono l'abitato di Sant'Anna, mentre un quarto si attestava più a valle, sopra il paese di Valdicastello, per bloccare ogni via di fuga. Nonostante agli inizi del mese Sant'Anna fosse stata dichiarata zona bianca dai tedeschi, in grado cioè di accogliere popolazione civile sfollata, in poco più di tre ore furono massacrate 560 persone, tra cui molti bambini. I nazisti trucidarono tutti coloro che incontravano sulla loro strada: donne e uomini, padri e madri, nonni e bambini.

Come accertò la magistratura militare italiana non si trattò di rappresaglia in risposta a una determinata azione del nemico, ma - come è emerso dalle indagini - si trattò di un atto terroristico premeditato e curato in ogni dettaglio per annientare la volontà della popolazione, soggiogandola grazie al terrore. L'obiettivo era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per rompere ogni collegamento fra i civili e le formazioni partigiane presenti nella zona.

Il 13 agosto del 1982 a Napoli moriva Vincenzo Truocchio, appuntato dei carabinieri di 36 anni.

Il 4 agosto a Capodichino tre rapinatori avevano preso d’assalto un’agenzia di pratiche automobilistiche.

Il titolare dell’esercizio riuscì ad attirare l’attenzione di una volante della polizia: a bordo della vettura si trovavano l’appuntato Vincenzo Truocchio e due colleghi, che cercarono di intervenire per bloccare il gruppo di rapinatori: dal conflitto a fuoco Truocchio restò ferito. Trasportato in ospedale, venne operato d’urgenza all’addome e al torace ma nei giorni successivi all’intervento le sue condizioni peggiorarono e il 13 agosto morì.

Nel 2012 la squadra mobile di Napoli ha rintracciato e arrestato dopo 30 anni a Londra, con la collaborazione dell’Interpol e di Scotland Yard, l’assassino. Gianfranco Techegne’, di Napoli, cognato di Maria Licciardi che ha sposato un suo fratello, Antonio, anche lui ricercato e affiliato all’omonimo clan camorristico di Secondigliano, è stato bloccato a Londra, dove viveva sotto falso nome. 

Techegnè deve scontare una condanna a 15 anni e 4 mesi, mentre i suoi due complici hanno già scontato condanne a 25 e 16 anni.

A Vincenzo Truocchio è stata riconosciuta la medaglia d'oro al valore civile.

Il 14 agosto del 1992 a Casalabate (LE) venne ucciso il 18enne Mauro Maniglio. Si trovava sul sellino posteriore di una Honda 1000 guidata dal cugino Giorgio Renna, di 19 anni. D’improvviso una Ford Fiesta rossa affiancò la moto per poi fermarsi di traverso sulla strada. Il guidatore, un ragazzo sui 25 anni, tirò fuori una pistola. D’istinto Giorgio abbassò la testa e il colpo uccise Mauro. il suo killer lo aveva scambiato per un criminale che qualche ora prima aveva freddato un altro giovane a Leverano, per questioni legate alla malavita locale, prepotentemente gestita in quegli anni dalla #SacraCoronaUnita.

Una vita e dei sogni infranti per “errore” …

Grazie anche alle rivelazioni di un pentito, meno di un anno dopo l’assassino fu incriminato, e poi a cinque anni dall’omicidio di Mauro Maniglio, condannato all’ergastolo in primo grado.

Il 29 agosto 2015 Anatolij Korol, muratore Ucraino di 38 anni, fu ucciso da eroe nel tentativo di sventare una rapina all'interno del supermercato Piccolo a Castello di Cisterna. Pochi giorni dopo i carabinieri del gruppo Castello di Cisterna arrestarono i suoi assassini.

Il presidente della Repubblica Mattarella conferì’ alla vedova di Anatolij una medaglia d’oro: "E' stato un eroe, ha combattuto ed è morto per la libertà di tutti".

 

 

Francesco Emilio Borrelli

 

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