Francesco Giuseppe, "l'angelicato impiccatore"
La celebre o famigerata trilogia cinematografica sulla coppia imperiale e specialmente sulla imperatrice Elisabetta di Baviera, girata da Ernst Marischka ed interpretate dall’attrice Romy Schneider, uscì difatti su impulso del settore alberghiero e commerciale austriaco.1 Oggigiorno in Austria la figura del penultimo imperatore è praticamente dimenticata, al punto che il primo partito monarchico austriaco nell’attuale repubblica è stato fondato soltanto nel 2004 ed è sempre rimasto catacombale. La Schwarz-Gelbe Allianz in vent’anni non ha mai avuto un solo eletto, a conferma della profondità dell’oblio del casato d’Asburgo in terra d’Austria. La nostalgia verso Francesco Giuseppe permane invece in alcune frange sociali in Italia, sia tra nazionalisti slavi con passaporto italiano per le sue benemerenze verso i loro movimenti (specie nell'aggressione all'italianità dell'Adriatico orientale), sia tra indipendentisti veneti che hanno creato un’immagine antistorica dell’impero d’Austria quale diretto continuatore della repubblica di San Marco, dimenticandosi di Campoformio e della radicale differenza fra i due ordinamenti politici.
Esempio notorio di questo è la mitologia creatasi sulla battaglia di Lissa del 1866 quale vittoria di veneti repubblicani in servizio nella marina imperiale (!), in contrasto alla realtà storica.2 L'angelicato impiccatore, come fu icasticamente descritto da Gabriele D'Annunzio, in verità fu un durissimo nemico del popolo italiano per l’intera durata del suo regno, dal 1848 al 1917.3 Le guerre in Italia del 1848-1849 furono accompagnate da rappresaglie sulle popolazioni civili italiane insorte, come a Castelnuovo del Garda nel 18484 ed a Brescia nel 1849 5 ed in altre località ancora. La riconquista del Lombardo-Veneto fu seguita da centinaia di fucilazioni ed impiccagioni e da molte migliaia di condanne al carcere,6 a cui si aggiunsero confische e taglie per decine di milioni di lire austriache, l’imposizione alle terre occupate di rimborsare le spese per la loro conquista, prestiti forzosi, conversione forzata dei biglietti del tesoro svalutati, aumento delle tasse.7 Fu poi istituita una commissione militare per controllare il ‘regno’ lombardo-veneto, che emise nel volgere di alcuni anni circa un migliaio di condanne a morte.8 Le indagini ed i processi contro prigionieri politici furono condotti con illegalità, consentendo anche la tortura, come avvenne ai mazziniani ‘martiri di Belfiore’.9 Dopo la fine del regno delle Due Sicilie, sostenuto da reparti austriaci e bavaresi in forza nell’esercito borbonico, Trieste divenne uno dei centri della internazionale legittimista e borbonica, assieme a Roma e Marsiglia, in cui si cospirava per restaurare il dominio dei Borboni su Napoli e si raccoglievano uomini e denaro a questo scopo.10 Al momento dell’abbandono del Veneto nel 1866 gli austriaci saccheggiarono le opere d’arte ed i beni culturali di Venezia, in tale quantità che il console svizzero Cérésole stilò un analitico rapporto di decine e decine di pagine, in cui riportava interi elenchi di codici antichi, manoscritti rari, atti originali, quadri (fra cui del Tiziano, del Tintoretto, del Veronese ...) ed altro ancora che era stato involato e portato in Austria.11 Sempre la sconfitta nella guerra del 1866 condusse Francesco Giuseppe d’Asburgo ad ordinare la germanizzazione e slavizzazione forzate del Trentino, della Venezia Giulia e della Dalmazia.12 Seguì da questa decisione un insieme articolato di misure: slavizzazione della toponomastica e dell’onomastica13; attribuzione delle cariche vescovili, la cui nomina era di spettanza del kaiser, a nazionalisti sloveni e croati, che se ne servirono per politiche di slavizzazione del clero, della liturgia ed in generale della vita ecclesiale14; chiusura di quasi tutte le scuole italiane in Dalmazia e loro sostituzione con altre croate, insieme al rifiuto d’istituzione d’una università di lingua italiana15; croatizzata la lingua ufficiale del Land di Dalmazia16; intrapresa la germanizzazione sistematica del Trentino, anche con deportazione degli abitanti.17 Queste e molte altre decisioni persecutorie furono prese contro gli austro-italiani, perdurando dal 1866 al 1918. All'indomani del suo attacco alla Serbia e del divampare del conflitto in Europa, nel fatidico anno 1914, il governo della Duplice Monarchia promulgò una serie di provvedimenti incostituzionali, volti a esercitare un ferreo controllo sulla popolazione, sia militare sia civile. Fu in virtù di queste draconiane direttive che centinaia di migliaia di sudditi di Francesco Giuseppe vennero deportati nei campi di concentramento, rei di appartenere a etnie considerate “sospette”, come quella italiana. Decine di migliaia di essi trovarono la morte, consumati dalle malattie e dalla malnutrizione. Tra le leggi di guerra dell'Impero si annoverava il giudizio statario, un'istituzione legale che autorizzava a deferire con un rito sommario, direttamente a un tribunale militare, chiunque fosse sospettato di nutrire simpatie per il nemico. I vertici militari si avvalsero ampiamente di questa prerogativa, in un numero imprecisato di casi. Basti considerare due esempi per comprendere l'implacabile applicazione di tale norma. Alcuni inservienti e allievi dell'Istituto dei poveri di Trieste finirono sotto processo con l’imputazione d’aver raccolto volantini propagandistici lanciati da aeroplani italiani. Uno di loro, un orfano di soli sedici anni, fu condannato a una pena di sette anni di reclusione. Nel dicembre del 1915, Emilio Kravos, un commerciante di granaglie del Litorale (Venezia Giulia nella toponomastica italiana), fu arrestato, processato e condannato a morte. Il suo crimine? In preda ai fumi dell'alcol, aveva gridato “Viva l'Italia!” in un'osteria di Gorizia. Il processo si svolse senza che gli fosse concesso di essere assistito da un avvocato, e la sentenza capitale venne eseguita immediatamente. Il numero complessivo delle condanne a morte emesse dai tribunali militari straordinari dell'Austria rimane ancora oggi sconosciuto poiché la documentazione è dispersa in una miriade di archivi. Se si condannavano a lunghi anni di carcere ragazzini senza famiglia per aver raccolto volantini dannunziani e si infliggeva la pena capitale a chi, ubriaco, inneggiava all’Italia, ci si interroga su quante altre persone siano state processate e condannate in base al giudizio statario sotto l'ombra della cosiddetta Austria Felix.18 Un numero imprecisato, certamente nell'ordine di molte decine di migliaia, di italiani fu deportato in campi d'internamento perché ritenuto «politicamente inaffidabile» (politisch unzuverlässig), dove morirono a migliaia per le condizioni assai dure in cui erano detenuti. Era difficile essere deportati? Tutt'altro, tutt'altro. Ad esempio, Gino Privilegi era un cittadino di Parenzo, in Istria. Fu deportato nel febbraio del 1917 e persino processato per offese contro il kaiser Francesco Giuseppe. Che cosa aveva fatto per essere spedito in un lager? Egli si era rifiutato di suonare l'inno imperiale con il suo violino ad una festa e, quando era morto Francesco Giuseppe, si era recato in un caffè e senza mostrare segni di dolore! In realtà bastava anche meno, ovvero nulla, per subire la deportazione quale politisch unzuverlässig. Era sufficiente essere parente d’un altro deportato, oppure essere iscritto ad una associazione culturale sospetta agli occhi della polizia, vale a dire praticamente tutte quelle italiane, o persino non frequentare ufficiali o membri della comunità austro-tedesca. Finirono così in lager persino fidi sostenitori del kaiser e della Duplice Monarchia, Il meccanismo era elementare sino alla brutalità: i comandi militari compilavano liste d’indiziati in base a denunce anonime e informatori, poi passavano gli elenchi alla polizia che decideva autonomamente (senza processo, senza dibattimento) chi inviare nei campi od al confino. Un numero ancora maggiore di civili italiani fu di fatto deportato, nominalmente come profugo di fatto perché politicamente sospetto anche in assenza d’una decisione formale della polizia o dei comandi militari. Per valutare la loro sorte, basti ricordare che nel campo di Wagna nel solo biennio 1915-1916 vi furono 2000 decessi su 20.000 internati, in maggioranza di bambini. Nel dicembre del 1915 i morti d’età compresa fra 0 e 15 anni toccò la cifra di 304.19 Ma questi sono soltanto segmenti delle violazioni del diritto internazionale e bellico di cui fu responsabile l’Austria-Ungheria durante la guerra. Dopo il conflitto, un’apposita commissione redasse una monumentale relazione in sette ponderosi volumi sui crimini di guerra asburgici. Erano analiticamente esaminati; la morte per inedia o malattia di decine di migliaia di prigionieri di guerra italiani; il lavoro forzato imposto a civili; i saccheggi e le confische nelle province invase; gli stupri di donne italiane da parte di militari imperiali, fra cui anche ufficiali, con grande tolleranza per queste violenze da parte delle autorità imperial-regie; l’impiego di mezzi illeciti di guerra, proibiti dalle convenzioni internazionali, come le pallottole ad espansione; gli attacchi diretti alle opere d’arte ed ai monumenti italiani, altra violazione delle leggi di guerra.20 Francesco Giuseppe d’Asburgo dopo il conflitto, se fosse stato ancora vivo, avrebbe potuto in teoria essere accusato di crimini di guerra, assieme ad innumerevoli suoi sottoposti. Il professor Alan Kramer nel suo saggio sui crimini di guerra nel primo conflitto mondiale, che è una pietra miliare nella storiografia sulla Grande Guerra per la perentoria rivendicazione dell’applicabilità alla Grande Guerra di categorie sino ad allora utilizzate solo in riferimento al secondo conflitto mondiale, è drastico nel riconoscere un odio esplicito verso gli italiani nell’intero esercito asburgico, dall’imperatore Francesco Giuseppe sino all’ultimo dei soldati: «it is clear that from the simplest soldier up to Field-Marshall Conrad and Kaiser Franz Josef open hatred of the Italians was expressed».21 Per inciso, in piena pace l'anniversario della nascita di Francesco Giuseppe era divenuta per i nazionalisti slavi di Trieste l'occasione per brutali manifestazioni di piazza, protette dalla polizia, in cui aggredivano sedi di associazioni italiane.
Note 1. M. Jary, Sissi, in «Traumfabriken made in Germany. Die Geschichte des deutschen Nachkriegsfilms 1945-1960», Berlino 1993. 2. A. Tirondola, Lissa. Leggende vecchie e nuove, in «Rivista Marittima» n. 4 aprile 2021, pp. 72-88; G. Da Frè, Ferro, legno e acqua salata. L’ammiraglio Tegetthoff a Lissa, Bologna 2025. 3. G. D'Annunzio, Laudi del cielo della terra del mare e degli eroi, Libro IV. Merope. Milano 1912. 4. F. Vecchiato, Castelnuovo del Garda e il 1848 veronese nella cronaca inedita di Gaetano Spandri, Castelnuovo del Garda 2009. 5. C. Correnti, I dieci giorni di Brescia, in «A. Frugoni (a cura di), ’48 e ’49 bresciani», Brescia 1949. 6. M. Meriggi, ll regno Lombardo-Veneto, Torino 1987. 7. G. Girardi, I sequestri austriaci nel Lombardo-Veneto (1848-1866), Roma 2022. 8. P. Brunello, Ribelli, questuanti e banditi. Proteste contadine in Veneto e Friuli 1814-1866, Venezia 1981. 9. T. Vedovi, Cenni biografici dei martiri di Belfiore e di S. Giorgio, Mantova 1872. 10. A. Albonico, La mobilitazione legittimista contro il regno d'Italia, Milano 1979. 11. V. Cérésole, La vérité sur les déprédations autrichiennes a Venise, Padova 1866. 12. Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867. V Abteilung: Die Ministerien Rainer und Mensdorff. VI Abteilung: Das Ministerium Belcredi, Wien, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst 1971. 13. G. Dainelli, Carta di Dalmazia, Roma 1918; A. Tamaro, Le condizioni degli italiani soggetti all'Austria nella Venezia Giulia e nella Dalmazia, Roma 1915. 14. G. Valdevit, Chiesa e lotte nazionali: il caso di Trieste (1850-1919), Udine 1979; P. Zovatto, Ricerche storico-religiose su Trieste, Trieste 1984. 15. G. Deuthmann, Per la storia di alcune scuole in Dalmazia, Zara 1920; A. Ara, La questione dell’Università italiana in Austria, in «Rassegna storica del Risorgimento» LX, 1973, pp. 52-88, 252-280. 16. L. Monzali, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, Firenze 2011. 17. G. Pircher, Militar, Verwaltung, und Politik in Tirol in Estern Welkkrieg, Universitatsvelag Wagner, Innsbruck 1995. 18. Come introduzione al vastissimo tema, due saggi imprescindibili: Un esilio che non ha pari» 1914-1918. Profughi, internati ed emigrati di Trieste, dell’Isontino e dell’Istria, a cura di F. Cecotti, Gorizia 2001; A. Di Michele, Tra due divise. La Grande Guerra degli italiani d'Austria, Roma-Bari 2018. 19. A. Apollonio, La belle époque e il tramonto dell’impero asburgico sulle rive dell’Adriatico (1902-1918, vol. II, Trieste 2014, pp. 647, 649-656. 20. Relazioni della Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, Milano-Roma, 1920-1921. 21. A. Kramer A., Dynamic of Destruction: Culture and Mass Killing in the First World War, Oxford, 2007. |
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Il 18 agosto è stato l'anniversario della nascita di Francesco Giuseppe, dimenticato in Austria tranne che dalle agenzie turistiche.