La Vergine Rossa Hildegart Rodríguez: il progetto, il delitto, la profezia
La monarchia borbonica, divenuta simbolo di immobilismo e corruzione, cercò di salvarsi con un esperimento di importazione: nel 1870, le Cortes offrirono la corona ad Amedeo di Savoia. Ma il tentativo sabaudo di introdurre una monarchia costituzionale fallì rapidamente. Amedeo, estraneo alle trame di palazzo, incapace di controllare le fazioni, abdicò nel 1873. La brevissima Prima Repubblica che seguì fu un caos istituzionale. La restaurazione borbonica del 1874 non restaurò nulla se non la forma, le elezioni truccate, il parlamentarismo vuoto, il clericalismo autoritario. La Spagna Borbonica entrò nel XX secolo come un organismo in decomposizione politica. Le spinte riformatrici – il socialismo, l’anarchismo, il federalismo, il krausismo educativo – si svilupparono in una società divisa e oppressa. Il colpo di grazia alla monarchia lo diede la dittatura di Primo de Rivera (1923–1930), sostenuta dal re Alfonso XIII ma incapace di riformare alcunché. Quando la dittatura cadde, nel 1930, la monarchia si trovò completamente isolata. Le elezioni municipali del 1931 si trasformarono in un referendum implicito e la vittoria dei repubblicani nelle grandi città spinse Alfonso XIII all’esilio. Il 14 aprile fu proclamata la Seconda Repubblica. Questa nascita non fu rivoluzionaria, ma traumaticamente inevitabile. La Repubblica cercò di rifondare la Spagna su basi moderne, laicità, scuola pubblica, riforma agraria, diritti civili. Per la prima volta nella storia del paese, le donne ottennero la cittadinanza politica. Ma la discontinuità formale con il passato non bastava e le strutture sociali, le mentalità, i poteri di fatto resistevano. In questo scenario fragile e contraddittorio, si colloca la parabola tragica di Hildegart Rodríguez. Hildegart non fu una bambina frutto di un amore, di una passione, seppur fugace, ma fu progettata a tavolino. Nacque nel 1914 da Aurora Rodríguez, una donna colta, ossessiva, visionaria. Aurora era convinta che la Spagna potesse essere rigenerata attraverso un’opera di selezione e coltivazione dell’intelligenza. Dopo aver tentato di trasformare il nipote in un genio musicale, decise di concepire un essere umano superiore. Scelse il padre con cura, mai rivelato, per le sue qualità intellettuali e igieniche. Durante la gravidanza seguì rituali e tecniche ispirate all’eugenetica. Alla nascita le diede un nome programmatico: Hildegart, che secondo il suo convincimento significava “giardino di saggezza” traducendo “hild” in saggezza anziché “battaglia”, come suggeriscono autorevoli fonti storiche. La crescita della bambina fu una costruzione pedagogica senza deviazioni, nessuna infanzia, nessun gioco, nessun affetto disordinato. Studiava filosofia, scienza, diritto, lingue, medicina, scriveva articoli, parlava di sessualità, maternità consapevole, eugenetica, diritto all’autodeterminazione. A quattordici anni entrò all’università, a sedici era già un’intellettuale nota, a diciassette pubblicava saggi sulla riforma sessuale e collaborava con H.G. Wells. Era la donna nuova che Aurora aveva sognato, forgiato, preteso. Ma l’emancipazione di Hildegart non fu soltanto una frattura con la madre. Fu anche, e soprattutto, uno scontro con l’ambiente politico in cui si era formata. Il PSOE degli anni Venti e Trenta, sebbene formalmente progressista, restava strutturalmente maschilista. La militanza femminile era tollerata se silenziosa, secondaria, ancillare rispetto alla causa proletaria. La questione di genere veniva derubricata a “problema borghese”, e le istanze di liberazione sessuale o di autonomia riproduttiva erano guardate con sospetto, quando non con fastidio. Hildegart, che era entrata nella Juventud Socialista con entusiasmo a soli quattordici anni, divenne ben presto una figura scomoda. Troppo giovane, troppo brillante, troppo autonoma. Scriveva di sessualità con rigore medico e disinvoltura morale, pubblicava articoli sulla contraccezione, sulla maternità cosciente, sulla necessità di educare le donne al voto prima ancora di estendere loro il suffragio universale. Parlava da pari, in un mondo che ammetteva le donne solo come allieve, assistenti o muse. Il suo attivismo politico non era ornamentale, ma sfidava apertamente la gerarchia maschile del partito, rompeva con i modelli di donna militante subordinata. Le sue prese di posizione sul matrimonio – da abolire, se fondato sulla dipendenza economica e affettiva - e sul diritto alla sessualità femminile autonoma entrarono in rotta di collisione con l’ideologia patriarcale latente che permeava anche la sinistra rivoluzionaria. Fu per questo, più che per una mutata convinzione teorica, che Hildegart abbandonò il PSOE e aderì al Partito Federalista. Lo fece pubblicamente, con un’opera provocatoria fin dal titolo: ¿Se equivocó Marx? in cui metteva in discussione i limiti ideologici del socialismo ortodosso e la sua incapacità di affrontare la questione sessuale e la soggettività femminile. Quella rottura rappresentava un doppio affronto, sia al potere materno e che al potere patriarcale. Per la madre, significava perdere il controllo ideologico sulla figlia, per il partito, significava vedere una giovane donna pretendere di pensare con la propria testa, non in quanto eccezione, ma come norma. Il distacco dal PSOE non fu solo una scelta politica, ma fu anche un gesto esistenziale poiché Hildegart non chiedeva di essere accolta ma pretendeva di essere riconosciuta. E quella pretesa, in un ambiente ancora attraversato da paternalismo e misoginia, la rese vulnerabile. Aveva capito che non bastava far parte del movimento, ma bisognava smascherarne le incoerenze, anche a costo dell’isolamento. Nel breve tempo che le fu concesso, Hildegart parlò con una voce che il suo tempo non seppe ascoltare, e proprio perché non venne ascoltata, venne prima isolata, poi, in un gesto simbolicamente perfetto, cancellata. Il distacco non fu solo politico, ma fu soprattutto esistenziale. Hildegart rivendicava il diritto di vivere, amare, viaggiare. Pretendeva di essere libera. Aurora, che in lei aveva investito tutto, vide crollare il progetto e, nella sua logica, Hildegart non era una persona, ma era un’opera, e se l’opera si rivela imperfetta, pensò, dev’essere distrutta. Il 9 giugno 1933 la madre la uccise nel sonno a colpi di pistola. Alla domanda degli inquirenti sul movente, rispose: «El escultor, tras descubrir la más mínima imperfección en su obra, la destruye.» Il processo che seguì fu un caso nazionale, Aurora venne riconosciuta capace di intendere e volere, lucida e ossessiva, ma la questione psichiatrica - la prima in Spagna a essere affrontata con test di Rorschach - rivelò quanto la scienza dell’epoca fosse impotente davanti a una personalità ideologicamente delirante, ma estremamente coerente. Nel frattempo la vicenda veniva sapientemente cavalcata da quelle forze che di lì a poco sconvolgeranno il paese. E qui si apre la dimensione profetica del caso. Aurora, nel suo delirio eugenetico, anticipa la logica del franchismo: la subordinazione dell’individuo a un ordine superiore, l’annullamento della libertà in nome della missione, la donna ridotta a funzione biologico-morale. Se Hildegart rappresentava la possibilità di una donna moderna, razionale, autonoma -figlia della Repubblica e del dubbio - Aurora rappresentava la vendetta dell’ideologia sul vivente. Due anni dopo, la Repubblica subirà i colpi della guerra civile. Il sogno democratico verrà soffocato dal nazionalcattolicesimo franchista. Ma ciò che Aurora ha fatto in una stanza, Franco lo farà per quarant’anni su scala nazionale, quando deviare sarà imperdonabile, pensare sarà reato, essere donna sarà un dovere e non un diritto. Hildegart muore prima di vedere tutto questo, ma nel suo silenzio, nel suo corpo distrutto perché pensante, parla la Spagna che non fu, quella che avrebbe potuto nascere e invece venne uccisa nel sonno, da chi la aveva generata per controllarla.
Nota conclusiva: Aurora Rodríguez come figura anticipatrice del franchismo
Non risulta, nella letteratura disponibile, una lettura sistematica di Aurora Rodríguez come anticipazione della logica franchista. Eppure, se si osserva il suo gesto non tanto nella sua unicità psichiatrica, ma nella sua struttura ideologica, emergono analogie profonde con il dispositivo autoritario che dominerà la Spagna di lì a poco. In Aurora, la dimensione privata dell’ossessione educativa e del controllo eugenetico si trasforma in un sistema di dominio totale: la figlia non è soggetto, ma opera; non è libera, ma assegnata; non può scegliere, perché è stata concepita per incarnare un’idea e quando l’idea devia, viene soppressa. Questa logica pedagogica, disciplinare, sacrificale, non è distante da quella che il franchismo formalizzerà su scala nazionale con l’idea di un ordine superiore da preservare, l’ossessione per la purezza morale e sessuale, la negazione della pluralità, la subordinazione assoluta del corpo femminile a una funzione biologico-ideologica. Il corpo della donna, nella Spagna franchista, sarà proprietà della Nazione, come Hildegart fu proprietà della madre. Aurora non è dunque un’anomalia solitaria. È un paradigma possibile, un dispositivo psichico e culturale che, portato a sistema, si tradurrà in codice politico. Nella sua visione del mondo c’è già l’idea di una società monolitica, gerarchica, in cui ogni deviazione dal progetto è un tradimento. L’incompatibilità tra madre e figlia, intrappolate in una relazione tossica, nella versione estrema, riproduce quella tra Stato autoritario e cittadino moderno. Hildegart voleva pensare, amare, viaggiare, votare, decidere. Aurora glielo impedì nel nome di una missione. L’omicidio del corpo pensante e desiderante, compiuto da chi lo aveva generato, è qui un potente atto inaugurale di ciò che sarebbe divenuto un sistema politico. Franco, due anni dopo, costruirà uno Stato fondato sulla stessa idea, che il bene della collettività giustifica l’annientamento dell’autonomia individuale. In questa luce, il delitto di Hildegart può essere letto come un atto franchista ex ante, un gesto in cui il potere si esercita non per contenere il male, ma per prevenire la libertà. E la libertà, in questo schema, è sempre un’eresia.
Luigi Speciale
Bibliografia Carmen Domingo, Mi querida hija Hildegart, Barcelona, Destino, 2008. Janire Rámila, La historia que conmocionó a la II República, Dialnet, 2012. Clara Campoamor, El voto femenino y yo, Madrid, Horas y Horas, 2006. Julián Casanova, La Segunda República, Crítica, 2007. Hildegart Rodríguez, ¿Se equivocó Marx?, Madrid, 1932.
|
Pubblicazioni mensili
Nuovo Monitore Napoletano N.202 Ottobre 2025
Miscellanea Storia e Filosofia Mario Borzaga e la missione cristiana da Napoli Come il popolo palestinese è diventato categoria astratta Internati italiani: un’altra forma di Resistenza La società napoletana durante l’occupazione alleata (1943-1945) Napoli 1938-1943, immagini mai viste della città in guerra Pio IX e l’anacronistico attaccamento al potere temporale
Libere Riflessioni L'atomica sociale: come il neoliberismo ha devastato il Giappone più delle bombe nucleari Possibilità e probabilità, prolegomeni alla certezza Una riflessione di William Dalrymple su Gaza I pericoli della globalizzazione Riduzione del consumo di alcol nel mondo. Bacco rimarrà ancora tra noi? Grecia: il modello della subordinazione si evolve ancora Ranucci, una bomba per tutti noi Nobel per la pace 2025, lettera di corsa per il Venezuela
Filosofia della Scienza Un dialogo tra Popper e Lorenz
Cultura della legalità Vittime innocenti. Ottobre 1862-2019
Statistiche
La registrazione degli utenti è riservata esclusivamente ai collaboratori interni.Abbiamo 214 visitatori e nessun utente online |



La Spagna del primo Novecento era una monarchia esausta, e il patto sociale si era lacerato sotto il peso di una modernizzazione incompiuta, delle tensioni tra centro e periferia, tra oligarchie clericali e masse impoverite, tra residui imperiali e spinte rivoluzionarie. Dopo la disfatta coloniale del 1898, il paese si ritrovò senza impero, senza prestigio e senza direzione.