Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Vittime innocenti. Luglio 1978-2019

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Il 1°luglio 1982 a Giugliano (NA) venne ucciso l’assessore comunale Giuliano Pennacchio di 45 anni.

Era segretario di una scuola media, assessore al personale del comune di Giugliano e svolgeva un’importante attività politica cercando tra l’altro di rendere più efficaci ed efficienti i servizi comunali. 

Venne ucciso nei pressi della sua abitazione. L'assessore stava parcheggiando l'auto fuori casa sua, in via Quattro Giornate 2. Arrivarono due killer a piedi, altri complici erano in auto. Si avvicinarono a Pennacchio e spararono tre colpi di pistola calibro 38. Giuliano Pennacchio mor’ sul colpo.

Le indagini ipotizzarono che Giuliano avesse scoperto una serie di affari illeciti. La sua onestà gli è costata la vita.

In quel periodo era sindaco di Giugliano Giuliano Granata, ex segretario particolare di Ciro Cirillo, il politico democristiano sequestrato dalle Brigate Rosse nel 1981 per 89 giorni.

Il sequestro fu al centro di aspre polemiche, la Democrazia Cristiana optò infatti per la trattativa con i terroristi. 

La liberazione di Cirillo avvenne tramite intrecci mai chiariti del tutto, una fitta trama di relazioni che vide probabilmente anche la mediazione del boss di camorra Raffaele Cutolo.

 

Il 2 luglio del 1982 a Marano (NA) fu ucciso il carabiniere 17enne Salvatore Nuvoletta.

Arruolatosi nei Carabinieri a soli 17 anni, come primo incarico fu trasferito alla caserma di Casal di Principe. Nel giugno del 1982 i carabinieri della stessa caserma furono coinvolti in un conflitto a fuoco con alcuni criminali legati alla camorra nel corso del quale restò ucciso il pregiudicato Mario Schiavone. Questo avvenimento è stato posto in relazione con il destino di Salvatore Nuvoletta, anche se quel giorno egli era assente per il turno di riposo settimanale.

Il 2 luglio 1982 si trovava nel suo paese natale e, mentre giocava con un bambino nei pressi dell'esercizio commerciale di un suo parente, i killer lo avvicinarono e lo chiamarono per nome e cognome per accertarsi che fosse proprio lui e Salvatore ebbe solo il tempo per lanciare il bambino che aveva in braccio distante da lui prima di essere colpito da una pioggia di colpi mortali. 

L’assassinio fu, come detto, la risposta della camorra alla morte di Mario Schiavone. Una ritorsione decisa dal cartello camorristico di Casal di Principe, allora retto da Antonio Bardellino. 

A distanza di tempo si è altresì saputo che la mafia siciliana, su richiesta del clan Nuvoletta,  si era incaricata della responsabilità di eseguire l'omicidio per conto del clan dei casalesi, imponendo a tutti omertà assoluta sull'omicidio. Salvatore doveva essere eliminato perché era divenuto una figura scomoda sul territorio. Il giovane carabiniere cercava di contrastare le scorribande e lo strapotere dei giovani camorristi; fermava tutti i ragazzi per strada, ogni volta che se ne prestava l'occasione. Salvatore era un carabiniere che voleva rispettare e faceva rispettare la divisa. 

Nel 2003, il giudice per le indagini preliminari emette una sentenza di condanna a dodici anni di reclusione per Abbate Antonio, che, in concorso con Raffaele Prestieri e Domenico Silvestri, nel frattempo deceduti, è stato ritenuto colpevole di essere l'esecutore materiale del delitto.

Il 3 luglio del 1983 a Ponticelli vennero uccise le piccole Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, 7 e 10 anni.

Erano due bambine che abitavano nello stesso palazzo nel quartiere di Ponticelli, alla periferia di Napoli. Amiche fin da piccole, uscivano insieme da sole, s’incontravano con altre amichette del quartiere e a volte si organizzavano per andare al mare insieme.

La sera del 2 luglio 1983 alle 19:30, le due bambine uscirono di casa per incontrarsi, come si scoprì dopo, con un uomo da loro chiamato Gino detto anche “Tarzan tutte lentiggini” per fare con lui un giro in macchina. In origine doveva aggiungersi a loro una terza bambina, Silvana Sasso, ma all’ultimo momento la nonna le impedì di partecipare all’incontro. Fu questa bambina a raccontare poi i progetti delle amiche. Le bambine furono viste anche da un’altra loro amica, Antonella Mastrillo, allontanarsi a bordo di una Fiat 500. Alle 20:30 le bambine non avevano ancora fatto ritorno a casa, motivo per cui iniziano le ricerche per tutto il quartiere Rione Incis e anche per la città. Solo alle 12 del successivo 3 luglio una segnalazione proveniente dal Rione Incis condusse i carabinieri a ridosso di un cantiere di una nuova arteria viaria nell’alveo Pollena di Volla dove vennero ritrovati i due corpi semi-carbonizzati. L’autopsia rivelò che le due bimbe erano state torturate con uno strumento tagliente, assassinate e poi bruciate.

Una vicenda per cui furono condannati all’ergastolo Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo, scarcerati per buona condotta dopo 27 anni nel 2010.  Forse un grave errore giudiziario sul quale si sta ancora lavorando per cercare il probabile vero assassino.

Il 4 luglio del 1986 a Torre Annunziata (NA) venne ucciso l’imprenditore edile di 35 anni Luigi Staiano.  Fu il primo ad opporsi alla #camorra ed alle estorsioni, sporgendo denuncia alla Questura e per questo fu ucciso.

Luigi Staiano venne ucciso da due persone in sella a una moto mentre andava dal fruttivendolo. L’imprenditore edile ebbe il coraggio di denunciare le estorsioni sporgendo denuncia in Questura. Un gesto che fu visto come un affronto dalla camorra, che rispose spargendo sangue.

Il 5 luglio del 1998 ad Acerra venne ucciso il 21enne Antonio Ferrara.

Due diciassettenni aprirono il fuoco nella piazza principale di Acerra, quella dedicata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I minorenni, di cui uno appartenente a famiglia camorrista, volevano vendicarsi dell'offesa subita la sera precedente da parte di un loro coetaneo. In realtà, nulla più di una futile questione legata ad una festa di compleanno finita in rissa. 

I due sbagliarono tuttavia obiettivo e colpirono Antonio, assolutamente estraneo all'intera vicenda.  Quattro giorni dopo i due diciassettenni, responsabili dell'omicidio, vennero arrestati.   

Il 7 luglio del 1986 a Pianura (NA) fu ucciso Vittorio Esposito, agente scelto di polizia di 32 anni.

Si trovava con la famiglia nella propria abitazione di Pianura, quando udì esplodere in strada alcuni colpi di arma da fuoco. Impugnata pertanto l’arma di servizio, dopo aver messo al riparo i propri familiari , uscì sul balcone per capire cosa stesse accadendo ma appena sulla soglia venne raggiunto alla fronte da un proiettile vagante, esploso durante un conflitto a fuoco tra alcuni camorristi, che lo uccise sul colpo.

Nel corso delle indagini svolte dai colleghi di Vittorio vengono arrestati due dei 3 killer: Salvatore Zecconi e Carlo Criscuolo che devono rispondere di omicidio, tentato omicidio e detenzione e porto d’armi.

L’8 luglio del 1985 a Reggio Calabria morì il piccolo Gianluca Canonico, 10 anni, ucciso da una pallottola vagante. 

La sera del 3 luglio stava giocando con altri bambini in strada nel rione Pescatori a Reggio Calabria, approfittando dei giorni di festa. Uno scontro tra due bande di ragazzi e uno dei proiettili colpì Gianluca alla testa. Per lui non ci fu niente da fare, morì l’8 luglio con l’unica colpa di essersi fermato a giocare in strada.

Una rissa frivola, superficiale, nata per un parcheggio nel mezzo della carreggiata e forse per un corteggiamento di troppo trasformatasi in sparatoria e conclusasi con un’immane tragedia. Un solo colpo di una calibro 6,35 ha interrotto i desideri e le attese di Gianluca, che da grande sperava di diventare un pilota dell’Aeronautica Militare.

Il 9 luglio del 2009 a Poggiomarino venne ammazzato Nicola Nappo, 23 anni.

Era in compagnia di un’amica in piazza a Poggiomarino e fu ucciso per errore perché fu scambiato per l’obiettivo dei killer.

I due killer irruppero a sconvolgere per sempre la vita della famiglia Nappo. Avevano barbe finte a camuffare il volto e in mano un calibro 9. Senza dire nulla, con una violenza inaudita, esplosero sei o sette colpi di pistola all’indirizzo di Nicola. I proiettili lo raggiunsero al torace e al volto. Uno, di rimbalzo, colpì la ragazza alla gamba. Fu un inferno di fuoco, che non lasciò scampo a questo ragazzo perbene e innocente, che morì sul colpo. Lei, invece, sotto choc e ancora incredula, fu portata di corsa all’ospedale “Mauro Scarlato” di Scafati, dove le fu estratto dalla gamba il proiettile. Si salvò. La vita di Nicola invece si spense su quella panchina, quella maledetta sera di giovedì 9 luglio 2009.

L’11 luglio del 1990 a Mondragone (CE) venne ucciso Antonio Nugnes, 60 anni.

Assassinato perché non era disposto a cedere i suoi poderi. Fu attirato in un tranello mortale: mentre la vittima si trovava nella sua azienda agricola, un uomo lo andò a prendere e lo portò in una masseria nella zona di Falciano. Qui un sicario esplose tre colpi alla tempia ed un ultimo per mano del boss che volle essere certo della morte di Nugnes. Il cadavere venne caricato su un’auto e portato nella zona dove si trovava un pozzo profondo oltre 40 metri nel quale venne gettato. A distanza di 15 anni il boss pentito Augusto La Torre ha svelato il macabro mistero.

Nel 2005 Il pm Cantone chiede ed ottiene 7 ordinanze di custodia. Solo 4, però, vengono eseguite. Per le altre bisogna attendere le estradizioni: in 3 si trovano detenuti all' estero, Inghilterra, Olanda e Spagna.

Il 12 luglio del 2001 a Bari venne ucciso il 16enne Michele Fazio. Fu ammazzato per errore da un commando che voleva colpire un boss. L’unica colpa del ragazzo era stata quella di essere passato, con delle pizze da portare alla famiglia, nel vicolo dell’agguato. Un proiettile vagante gli perforò il cranio.

“Abbiamo ucciso un bravo ragazzo”, dirà uno dei killer, che era stato compagno di scuola del giovane Michele. Un bravo ragazzo, perché Michele così era conosciuto. L’omicidio sarebbe avvenuto per vendetta. Michele sarebbe stato confuso con uno degli Strisciuglio. Qualche settimana prima, infatti, un altro fatto di sangue aveva segnato il quartiere: proprio per mano del clan Strisciuglio era stato ucciso un rivale dei Capriati, che avrebbero voluto subito dare una risposta. Una lotta fra clan, per il controllo del territorio, che non conosce limiti, che non si ferma davanti a nulla e strappa la vita a giovani innocenti.

Il 13 luglio del 2017 a Dragoni (CE) venne uccisa Maria Tino, disegnatrice di abiti di 49 anni.

È stata assassinata a pochi metri da casa sua dal compagno, Massimo Bianchi, 61 anni, operaio. L’uomo non ha accettato che Maria volesse mettere fine alla loro storia e l’ha uccisa con due colpi di pistola al cuore e uno alla tempia. Una storia tormentata quella tra Massimo e Maria, conclusa con un epilogo tragico. Una storia iniziata nel 2016, quando l’assassino, salva la vita di Maria.

Era il 17 giugno del 2016 quando la donna veniva colpita dal marito, Angelo Gabriele Ruggiero, con ventotto coltellate. Il marito non sopportava la fine del loro matrimonio e l’idea che la donna potesse avere una nuova relazione. L’uomo entrò in casa dal balcone e raggiunse Maria alle spalle. Maria in quel momento era al telefono con Massimo Bianchi, il quale divenne così testimone involontario del tentato omicidio e chiamò subito i soccorsi e i figli della donna. Così Bianchi salvò la vita a Maria per poi togliergliela con tre colpi di pistola il 13 luglio 2017 per la stessa assurda brama di possesso del marito.

Il 14 luglio del 2000 a Brindisi fu ucciso il Maresciallo dei Carabinieri Antonio Dimitri, 33 anni.

Originario di Castellammare di Stabia, morì a Francavilla Fontana nell’adempimento delle sue funzioni cercando di sventare una rapina.

Quel pomeriggio si trovava in servizio a bordo di un fuoristrada con il collega Aniello Cacace, quando avvistò due rapinatori uscire dalla sede della Banca commerciale con due ostaggi ed un bottino di venti milioni. Dimitri scese dall'auto e si nascose dietro ad un albero pronto ad intervenire ma venne subito freddato alle spalle da una raffica di colpi di pistola e fucile provenienti da due complici dei rapinatori. Il maresciallo morì sul colpo.

I quattro banditi si diedero alla fuga e rilasciano uno degli ostaggi. L'altro ostaggio, un impiegato, venne trasportato in un'Alfa 33 rossa e rilasciato poco dopo.

I presunti colpevoli vennero incastrati grazie a delle intercettazioni. 

Nel 2011, in primo grado i sette imputati vennero assolti per una serie di incongruenze emerse nelle trascrizioni dei tre periti (tra cui un esperto in idioma cegliese) preposti all'analisi delle intercettazioni. La Corte di Assise ritiene le trascrizioni inutilizzabili. 

Nel mese di marzo del 2013, la Corte d'Assise di Appello di Lecce escluse ogni responsabilità dei 7 imputati nella morte del maresciallo.

Gli stessi erano imputati anche per un'altra rapina e per l'omicidio di un agricoltore, vicende per le quali sono stati ugualmente assolti.

Il 15 luglio 1984 a Castel Volturno venne ucciso per uno scambio di persona il 18enne Adriano della Corte. 

Studente originario di Casal di Principe, quel giorno uscì con due amici per recarsi a Castel Volturno per una passeggiata in riva al mare. Mentre era in auto, una Fiat Uno di colore nero, Adriano venne ucciso con due fucilate, una alla testa e una al volto. 

Secondo le prime ricostruzioni, Adriano venne scambiato per Antonio Salzillo, nipote dell’allora latitante Antonio Bardellino, a causa della sua auto. I due possedevano la stessa identica Fiat. Dopo qualche settimana dall’omicidio brutale di Adriano Della Corte, arriva una chiamata al programma televisivo “Chi l’ha visto?” informando dell’errore commesso: Adriano non era il bersaglio del killer. 

Nonostante il su estraneità ai contesti criminali e l’omicidio di stampo camorristico, Adriano non è riconosciuto vittima innocente della criminalità organizzata. 

La magistratura ha archiviato il caso per assenza di prove. 

Il fratello di Adriano, Arturo, ha presentato istanza nel 2014 ma è stata rigettata dagli uffici del Ministero dell’Interno perché ritenuta “tardiva”.

Il 16 luglio del 2000 a Marano (NA) venne ucciso Gaetano de Rosa, 36 anni.

Perse la vita perché cercò di difendere la propria auto da alcuni balordi che cercavano di portargliela via. I due aprirono il fuoco e alcuni proiettili raggiunsero il torace e l’addome dell’uomo.

Era da poco passata la mezzanotte di sabato sera e Gaetano De Rosa, maitre dell' Holiday Inn di Pineta Mare sul Litorale casertano, aveva appena finito il suo turno di lavoro. Lungo la strada di casa, l'auto di Gaetano venne affiancata da due criminali in sella ad uno scooter. I rapinatori volevano con tutta probabilità impossessarsi dell'auto, ma Gaetano trovò il coraggio di ribellarsi, di opporsi a quel sopruso. È a quel punto che diversi colpi vennero esplosi, alcuni dei quali raggiunsero Gaetano al torace e all'addome.

La sorte decise che a soccorrere, inutilmente, Gaetano, fosse il fratello Antonio. I due vivevano nello stesso stabile e quella sera Antonio seguiva il fratello con la macchina. Ai carabinieri l'uomo disse di essersi fermato lungo il tragitto per parlare con un conoscente, di aver poi sentito gli spari e visto una persona riversa sull'asfalto: «Sono corso ad aiutarlo, mi sono avvicinato e solo allora mi sono accorto che era lui, era mio fratello». Via, verso l'ospedale, ma neppure un intervento chirurgico ha potuto impedire il peggio.

Il 19 luglio del 1992 avvenne la strage di Via D’Amelio.

Quella domenica rappresentava per il giudice Paolo Borsellino la prima giornata di pausa dopo settimane intese di lavoro frenetico. Lavorava giorno e notte Borsellino, aveva fretta, tanta fretta.

Aveva ripreso in mano il fascicolo sulla morte di Giovanni Falcone, avvenuta il precedente 23 maggio, ed indagava su degli appalti a Palermo, dove aveva deciso di tornare.

Aveva fretta e lo diceva a tutti, "Ho fretta, devo fare presto, sempre se mi lasciano arrivare". Oramai era consapevole, non diceva "se mi ammazzeranno" ma "quando mi ammazzeranno".

Nonostante l'urgenza di portare a termine il lavoro, però, Borsellino decise che quel pomeriggio di una domenica del 1992 doveva andare a trovare la mamma e così il corteo delle auto della sua scorta si infilo’  in via D'Amelio, dove si trovava l'abitazione occupata dalla mamma e dalla sorella del giudice.

Gli agenti della scorta erano preoccupati, via D'Amelio è stretta e le auto dovevano proseguire in fila indiana, se qualcosa fosse andato storto non ci sarebbe lo spazio ed il tempo per effettuare un'inversione di marcia.

Non succedeva niente, però, non vi era nessuno ad attenderli armato, così il giudice, accompagnato da 2 uomini, scese dall'auto e si avvicino’ al cancello della casa di sua madre. Suono’ al citofono... e poi più nulla.

Quella FIAT 126 imbottita di tritolo segno’ la fine di un'epoca e delle speranze. Oppure no, forse quell'autobomba aveva risvegliato le coscienze. Forse nessuna delle due cose, forse entrambe.

È certo però che quella 126, così come la Fiat Croma sull'A29 nei pressi di Capaci, ha continuato ad esplodere e a fare a brandelli carne ed anima ogni qualvolta che la mano dello Stato stringe quella di un boss facendo affari, esplode ogni volta che voltiamo la testa dall’altra parte, continua ad uccidere tutte quelle volte che mafia e camorra vincono, nelle strade e nelle nostre menti.

Sembra che da quel 19 luglio 1992 il tempo si sia fermato, forse, è arrivato il momento di far correre le lancette in avanti.

Il 20 luglio del 1996 a San Giorgio a Cremano venne ucciso Davide Sannino, 19 anni.

Era il giorno del suo diploma. Il ventitreenne Giorgio Reggio gli intimò con la pistola di cedere il proprio scooter: Davide rimase calmo, consegnò le chiavi al delinquente ed ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Davide è stato ucciso soltanto perché osò guardare con senso di sfida il rapinatore. Lo confessò proprio l’assassino: “Mi ha chiesto che diritto avessimo di comportarci così e in quel suo sguardo fiero, di un uomo che in quel momento non aveva paura di me nonostante fossi armato, mi ha fatto perdere la testa, così ho sparato.”

Giorgio Reggio è stato condannato a 30 anni di reclusione per l'omicidio del giovane Davide Sannino. I suoi complici a 14 anni.

Il 21 luglio 1991 nel quartiere napoletano di Soccavo morì il piccolo Fabio De Pandi, 11 anni. 

Quel giorno d’estate il giovane era andato insieme alla sua famiglia a trovare degli amici. Durante il ritorno, proprio mentre saliva a bordo dell’auto, fu colpito alla schiena da un proiettile vagante. A pochi metri di distanza dall'auto della famiglia De Pandi, due clan camorristici si stavano dando battaglia per il controllo degli affari legati alla droga. 

Fabio ebbe solo il tempo di comunicare al padre il forte dolore che avvertiva al braccio. Venne immediatamente accompagnato all’ospedale più vicino ma fu tutto inutile perché perse la vita durante il trasporto: la pallottola, dopo essere entrata all’interno dell’arto, penetrò il torace lesionando gli organi vitali.

Il 22 luglio 1978 a Gioia Tauro (RC) avvenne la Strage del treno DD Freccia del Sud. Un attentato terroristico di matrice neofascista.

Muoiono Cacicia Rita, 35 anni, di Bagheria, insegnante presso una struttura per sordomuti di Palermo; Fassari Rosa, 68 anni, di Catania, casalinga; Gangemi Andrea, 40 anni, di Napoli, funzionario di Banca; Mazzocchio Nicoletta, 70 anni, di Casteltermini, casalinga; Palumbo Letizia Concetta, 48 anni, di Casteltermini, sarta; Vassallo Adriana Maria, 49 anni, insegnante. Tutti persero la vita in questa strage ferroviaria avvenuta a causa di una bomba esplosa alle 17,08 che fece deragliare la Freccia del Sud.

Il fatto era stato organizzato nell'ambito dei moti verificatisi a Reggio Calabria a causa della designazione di Catanzaro a capoluogo della Regione, e nel corso dei quali elementi della criminalità organizzata collegati a frange dell'estremismo di destra avevano ideato e organizzato azioni dirette a colpire le vie di comunicazione e gli elettrodotti, realizzando oltre quaranta attentati a tralicci, rotaie e stazioni ferroviarie. Due di questi attentati interessarono anche la linea ferroviaria Gioia Tauro-Villa San Giovanni, appena qualche mese dopo la strage sulla Freccia del Sud.

Il 23 luglio 2009 a Napoli venne uccisa Fiorinda Di Marino, 35 anni.

Dopo una violenta lite, Renato Valboa, 43 anni, uccide la compagna Fiorinda Di Marino a colpi d’ascia e coltello. Già nel novembre 2008 la donna aveva denunciato l’uomo per aver subito lesioni gravissime in seguito ad una aggressione fuori la scuola elementare di Marano, dove lei insegnava. Valboa è stato condannato in primo grado ad una pena di 16 anni, tuttavia nell’ottobre 2012 è stata emanata sentenza di non perseguibilità dell’imputato per incapacità di intendere e volere.

Valboa ha scontato una detenzione di 10 anni in una struttura psichiatrica. Ora è un uomo libero di vivere la sua vita, come se nulla fosse mai accaduto.

Il 24 luglio del 1991 a Sessa Aurunca (CE) venne ucciso Alberto Varone, commerciante di 49 anni.

Alberto era un commerciante onesto che non si piegò mai alle minacce e ai ricatti dei camorristi del clan Esposito, i “Muzzoni”, i quali dominavano la zona dalla fine degli anni ottanta. Varone manifestò apertamente la sua opposizione ai malavitosi e ciò gli costò la vita. 

Mentre guidava lungo la Via Appia, fu raggiunto da un commando di malviventi che gli sbarrò la strada e aprì il fuoco: l’uomo venne colpito in faccia ma non morì subito ed ebbe il tempo di arrivare all’ospedale e comunicare alla moglie il nome dei suoi carnefici. Giancarlo, il figlio della vittima, decise di riprendere il lavoro, alzarsi di notte e distribuire i giornali. Ricominciarono le minacce e le ritorsioni del clan Esposito. La madre, grazie anche al conforto e all’aiuto del vescovo Nogaro, superò i suoi timori e denunciò gli assassini di suo marito. Le minacce diventarono più pressanti. 

La famiglia Varone, quindi, fu inserita all’interno del programma di protezione. Da allora non si ebbero più notizie sui suoi membri.

Nel 1998, la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere condanna i mandanti e gli esecutori materiali dell'omicidio, assicurando alla giustizia gli attori del gesto efferato. La Corte di Cassazione, nel 2003, conferma le condanne, dando, inoltre, risalto alla coraggiosa e ferma opposizione alle richieste della criminalità organizzata. 

Il 25 luglio del 2019 a Roma venne ucciso il vice brigadiere Mario Cerciello Rega, 35 anni. 

Fu ucciso la notte tra il 25 e il 26 luglio 2019 da undici coltellate durante una colluttazione con due ragazzi americani.  

I due giovani americani erano in vacanza in Italia, precisamente a Roma, alla ricerca del divertimento facile e di sostanze stupefacenti. Quella sera i due giovani si trovavano in zona Trastevere prima della mezzanotte e successivamente nel quartiere borghese di Prati, quando scattò la colluttazione con i due carabinieri in borghese, Andrea Varriale e Mario Cerciello Rega. Quest’ultimo perse la vita attinto da numerose coltellate.

Finnegan Lee Elder, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio, e Gabriel Natale Hjorth, accusato di concorso in omicidio. Nel 2021 erano stati condannati in primo grado all’ergastolo. La pena di entrambi era poi stata ridotta in appello a 22 anni di carcere per Hjorth e 24 anni per Elder. Nel 2023 la Cassazione aveva ordinato un nuovo processo per rivedere la gravità di alcuni dei reati contestati: Elder è stato condannato in via definitiva a 15 anni e 2 mesi di carcere; per Hjorth pena ridotta a 10 anni, 11 mesi e 25 giorni.

Il 26 luglio 1988 a Falconara Albanese (CS) venne uccisa la 19enne Roberta Lanzino.

Partì con il suo motorino verso la casa al mare. I suoi genitori Franco e Matilde sarebbero partiti pochi minuti dopo a bordo della “Giulietta” di famiglia. Per questioni di sicurezza Roberta imboccò una strada secondaria. Purtroppo perse l’orientamento, si smarrì. Due uomini con una Fiat 131 le stavano alle calcagna e al momento giusto le tagliarono la strada, la violentarono, la colpirono senza pietà al collo e alla testa con un coltello, conficcandole poi in gola una spallina per strozzare le urla. Morì soffocata, Roberta. Il suo corpo venne ritrovato alle 6.30 del mattino dopo. Le indagini partirono subito ma la verità arriverà soltanto nel 2007. 

Il suo presunto aguzzino, Franco Sansone, che aveva già scontato 20 anni di carcere per altri due omicidi., è stato ritenuto non colpevole.  Un altro delitto che resta impunito e dimenticato.

Il 27 luglio del 1993 avvenne a Milano la Strage di via Palestro, un attentato terroristico compiuto da Cosa Nostra.

L'esplosione di una autobomba in via Palestro, presso la Galleria d'arte Moderna e il Padiglione di arte contemporanea provocò l'uccisione di cinque persone: i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, l'agente di polizia municipale Alessandro Ferrari e Moussafir Driss, immigrato marocchino che dormiva su una panchina. Tale attentato viene inquadrato nella scia degli altri attentati del '92-'93 che provocarono la morte di 21 persone (tra cui i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) e gravi danni al patrimonio artistico. Nel 2014 la Direzione Distrettuale Antimafia di Milano emise un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Marcello Tutino per il reato di strage perché accusato da Gaspare Spatuzza di essere stato il "basista" dell'attentato. L'anno successivo, la Corte d'assise di Milano assolse Tutino perché le sole dichiarazioni di Spatuzza furono considerate insufficienti per una condanna; l'assoluzione venne confermata in appello e in Cassazione.

Il 28 luglio del 2014 a Portici (NA) venne ucciso Mariano Bottari, 74 anni. 

Era padre di sei figli e da anni si prendeva cura della moglie invalida. Ogni mattina usciva di casa per fare la spesa e sbrigare varie commissioni e anche quella mattina stava per rientrare a casa sua in Via Scalea a Portici quando fu colpito da diversi colpi di pistola sparati da un commando a bordo di due moto. Quattro uomini in sella a due grosse motociclette, parlando tra di loro in maniera concitata e violenta, ingaggiarono un conflitto a fuoco. Un proiettile vagante colpì Mariano alla gola.

Le indagini dei carabinieri hanno avuto una svolta decisiva quando un imprenditore, proprietario di tre punti vendita di carburante nell'area di San Giovanni a Teduccio, racconta ai carabinieri di essere scappato in via Scalea per sfuggire ai rapinatori proprio il 28 luglio, quando viene colpito Mariano Bottari. 

Il vero obiettivo dei killer era dunque l'imprenditore che percorreva via Scalea come sempre per depositare gli incassi.

Il 29 luglio 2020, a sei anni dall'omicidio, la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ha chiesto l'archiviazione del procedimento. Ad oggi non sono stati quindi individuati gli assassini di Mariano.

Il 29 luglio del 1983 avvenne a Palermo la  Strage di via Pipitone in cui perse la vita il magistrato Rocco Chinnici.

Fu ucciso con una Fiat 126 verde imbottita con 75 kg di esplosivo davanti alla sua abitazione in via Pipitone Federico a Palermo, all’età di 58 anni. Ad azionare il detonatore che provocò l’esplosione fu il sicario della mafia Antonino Madonia. Accanto al suo corpo giacevano altre tre vittime raggiunte in pieno dall’esplosione: il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico, Stefano Li Sacchi. L’unico superstite fu Giovanni Paparcuri, l’autista.

Istituti il "pool antimafia", che diede una svolta decisiva nella lotta contro #Cosanostra, si pensi ad esempio all’operazione che portò all’arresto di Michele Greco “il Papa”-all’epoca al capo della Commissione (La Cupola) di Palermo- insieme con i colleghi e amici Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per quali ha rappresentato, oltre che una guida, una sorta di padre putativo che nutriva i suoi discepoli/figliocci con consigli, esperienze e rigatoni alla Chinnici.

Il 30 luglio 1996, a Maddaloni venne ucciso Vittorio Rega, 29 anni. Fu scambiato dai membri del clan Belforte di Marcianise per Giambattista Tartaglione, affiliato al clan Piccolo e vero obiettivo degli assassini., perché guidava una macchina identica a quella in uso al vero obiettivo del raid omicidiario.

Il processo si è celebrato con rito abbreviato dinanzi al Tribunale di Napoli - Ufficio 30 G.U.P. e si è concluso in data 19 novembre 2018, con la condanna degli imputati anche al risarcimento dei danni da quantificarsi in separata sede alla famiglia, costituitasi parte civile insieme alla Fondazione Polis.

Il 30 luglio 2000, nel quartiere Pianura di Napoli venne ucciso Giulio Giaccio, 26 anni. Sarebbe stato avvicinato da alcuni uomini in auto presentatisi come agenti di polizia. I falsi poliziotti caricano con la forza Giulio nell'auto e gli intimano di seguirli in Questura. Particolare rilevante in questa oscura vicenda è il fatto che i rapitori cercassero un uomo di nome Salvatore, tragicamente identificato proprio con Giulio. 

Quando il giovane muratore è stato rapito, a Pianura si combatteva una sanguinosa guerra tra cosche per il controllo di appalti legati al risanamento del quartiere. Il rapimento e il probabile omicidio di Giulio sarebbero stati compiuti da affiliati ai Casalesi, clan in quegli anni alleato con i Lago di Pianura nella lotta contro la cosca Marfella. 

Il 21 dicembre 2022, due imputati già detenuti per reati di camorra, sono destinatari della misura cautelare notificata su richiesta della Dda di Napoli. Sono indicati come responsabili materiali dell’omicidio.

Nel mese di luglio del 2024 la Corte di Assise ha condannato a 30 anni di reclusione i due mandanti e a 10 anni di reclusione uno dei componenti della banda, quest'ultimo, ad oggi, collaboratore di giustizia.

Il 5 febbraio 2025 si conclude il secondo processo nei confronti di tre imputati ritenuti coinvolti nel rapimento del giovane. Il Gup di Napoli stabilisce tre condanne a 30 anni per i tre imputati.

Il 31 luglio 1979, a Limbadi (VV) venne assassinato Orlando (Nando) Legname, agricoltore, 31 anni. Non sottostava alla legge della ‘ndrangheta.

Il 31 luglio 1982, a Roccarainola (NA) morì Filippo Scotti, 7 anni, colpito al cuore da un proiettile sparato contro il padre;

Il 31 luglio 1992, a San Marcellino (CE)venne ucciso Giorgio Villan, commerciante, vittima del racket.

Il 31 luglio 1998 a Piano Tavola (CT) venne ucciso Giuseppe Messina, imprenditore, per difendere la paga degli operai.

Il 31 luglio 2015, a Forcella venne ammazzato Luigi Galletta, 22 anni e si guadagnava da vivere facendo l'operaio in un'officina. È stato freddato con tre colpi di pistola sparati a bruciapelo. Finito nel mirino dei Sibillo per il vincolo di parentela con uno dei Buonerba.

 

Francesco Emilio Borrelli

 

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