Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Gli esopianeti e l’improponibile progetto del “Pianeta B”

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C’era qualcosa di particolare nella stella 51 della costellazione Pegaso che aveva attirato l’attenzione dell’astronomo Michel Mayer e il dottorando Didler Queloz, durante l’esplorazione del cosmo nel 1995: la stella mostrava una riduzione periodica della sua luminosità.

Gli scienziati scoprirono che il fenomeno era dovuto all’ombra proiettata sulla stella da un gigantesco pianeta gassoso, simile al nostro Giove, che le ruotava intorno: lo chiamarono 51 Pegasi b.

Da sottolineare l’immensa distanza alla quale erano effettuate le ricerche: la stella ed il suo pianeta sono lontani dalla terra “solo” 50 anni luce, in altre parole la luce della stella alla velocità di trecentomila km/secondo, impiega ben 50 anni per arrivare a noi.

Dalla descrizione del nostro sistema solare effettuata da Copernico, Keplero e Galilei cinque secoli fa, con il sole al centro ed i pianeti che ruotano intorno, è stata costante la ricerca degli astronomi di sistemi solari simili nell’universo.

La scoperta di Mayer et ali allargava alla immensità del cosmo la possibilità della loro esistenza sia nella nostra galassia che in tutte le altre, sollevando l’inevitabile interrogativo dell’esistenza di forme di vita nei pianeti.

Michel Mayer, nato a Losanna in Svizzera il 12 gennaio 1942, è stato Direttore dell’Osservatorio astronomico di Ginevra dal 1998 al 2004.

Professore Emerito dell’Università, ha avuto il premio Nobel per la fisica nel 2019, insieme ai planetologi Didler Queloz e Jmes Peebles.

All’indirizzo del suo studio attuale presso l’osservatorio di Ginevra, è stato dato scherzosamente, il nome di Pegasi, 51 b, in riferimento all’esopianeta da lui scoperto. Mayer è l’unico terrestre a vantare un indirizzo extraterrestre.

Dopo il 1995 si è scatenata la caccia agli esopianeti da parte degli astronomi di tutto il mondo: nel 2024 ne risulterebbero oltre 7mila riscontrati in 5mila sistemi planetari.

È stata anche definita una “fascia di abitabilità”, dove sono possibili forme di vita se l’esopianeta si trova alla “giusta” distanza dalla stella intorno a cui ruota. Dal momento che la distanza ravvicinata può produrre temperature troppo elevate, l’eccessiva lontananza temperature gelide.

Nell’aprile di quest’anno un gruppo di scienziati dell’università di Cambridge ha annunziato di aver trovato nell’atmosfera dell’esopianeta K2-18b, che orbita attorno alla stella nana rossa K2-18, due gas che sulla Terra sono generati solo da organismi viventi. Ritengono che questo esopianeta potrebbe essere anche abitabile, ma richiedono ulteriori conferme alle loro ricerche. Un particolare non trascurabile è la sua distanza dalla Terra, 124 anni luce, equivalenti a circa un milione di miliardi di chilometri.

Nella lunga storia dell’umanità, quando le risorse di un territorio si esaurivano l’unico modo per sopravvivere era lo spostamento in terre inesplorate, come racconta il biologo e fisiologo statunitense Jared Mason Diamond nel suo libro del 2005 Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere.

Oggi non restano terre inesplorate nelle quali trovare rifugio dai cambiamenti climatici, dalle guerre termonucleari, carestie ed epidemie, e la scoperta degli esopianeti ha nuovamente acceso la fantasia della possibilità di emigrare dalla Terra.

Anche il famoso cosmologo Stephen Hawking aveva stimato che, in termini probabilistici, restano non più di mille anni prima che qualche cataclisma metta la parola fine alla storia umana.

Se non vogliamo rischiare di estinguerci, avvertì Hawking, occorre sviluppare le tecnologie necessarie per migrare su altri sistemi planetari.

Colonizzare gli esopianeti, anche se situati nella “fascia di abitabilità”, è ovviamente improponibili. Il motivo, facilmente intuibile, è rappresentato dalle distanze: l’esopianeta più vicino che orbita intorno alla stella Proxima centauri, si trova a circa 4,24 anni luce di distanza, gli altri sono a distanze ancora maggiori, come l’esopianeta K2 18b sopra ricordato, situato a 124 anni luce dalla Terra.

Viaggiando in una astronave alla velocità della luce, per la teoria della relatività, il tempo che si era fermato durante il viaggio riprenderebbe a scorrere, una volta arrivati sull’esopianeta.

I progetti di colonizzazione sono ora rivolti ai pianeti del nostro sistema solare in particolare verso Marte, che si trova ad una distanza “accettabile” dalla Terra: con la velocità delle attuali astronavi il tempo previsto per il viaggio di andata è “solo” 6-8 mesi ed altrettanto per il ritorno.

Comunque Rob Zubrin, ingegnere aerospaziale statunitense, fondatore della Mars Society nel 2001, ha ritenuto che la creazione di una utopica società marziana sia non solo possibile, ma doverosa. Il titolo del suo libro di successo, pubblicato nel 2024, The Case for Mars: The Plan to Settle the Red Planet And Why We Must, è perentorio.

Il plurimiliardario Elon Musk, probabilmente galvanizzato dall’incontro con Zubrin, è divenuto il fautore più convinto dell’impresa. Nel 2001 ha fondato la società Space X, comprando e modificando astronavi non usate dalla NASA e iniziato a organizzare voli spaziali, per privati; l’intento finale è comunque colonizzare Marte.

Secondo Musk abbiamo solo due possibilità: restare sulla Terra per sempre andando incontro a un’estinzione inevitabile, oppure allargare i nostri confini e spostarci altrove, diventando una civiltà multi- planetaria.

L’ambizioso obiettivo di Space X è compiere il primo passo, portando il primo gruppo di coloni sul pianeta rosso. In futuro sarebbe previsto l’invio di mille astronavi, ognuna delle quali trasporterebbe cento passeggeri, ogni anno per dieci anni, per stabilire una fiorente comunità di un milione di persone: costo di un biglietto circa 100mila dollari.

Intanto le sue astronavi, insieme a quelle degli altri super ricchi, Jef Bezos e Richard Branson, si limitano ad orbitare intorno alla Terra per far provare a facoltosi clienti l’ebrezza del volo spaziale. Il prezzo per ogni singola persona è circa 250mila dollari.

Dal punto di vista ambientale è stato calcolato che ogni singolo volo della durata di 11 minuti porta nello spazio circa 75 tonnellate di CO2: un miliardo di persone povere, in un anno, ne immette meno di una tonnellata. In primavera lo Starship, il grande razzo di Musk che doveva portare un messaggio su Marte, anche se non esseri umani, si è sfasciato più volte dopo la partenza.

Michel Mayer, in una recente intervista, ha posto una pietra tombale al progetto dichiarando che inviare 100 coloni su Marte, richiederebbe l‘energia di tutto il nostro pianeta ed ha proseguito sottolineando che è necessario mettere fine alle affermazioni che sostengono che se un giorno la vita non sarà più possibile sulla Terra potremmo sempre migrare altrove. Insomma, è pura follia.

L’utopia di un “pianeta b”, dove trasferirci per sfuggire ai guai ambientali che abbiamo creato, resta, almeno per ora, confinata nella fantascienza. L’unica speranza concreta è nel cambiamento profondo del nostro rapporto con l’ambiente, imparare a vivere nei limiti dell’unico pianeta che abbiamo, la Terra.

 

Alberto Dolara

 

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