Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Giuseppe Oberosler e la Piccola Spagna Napoletana

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Nell'800 in Italia si assiste ad un incremento significativo del turismo anche grazie agli ingenti investimenti del governo sulla rete ferroviaria.

Nel Mezzogiorno l'incremento fu di 1160% in pochi anni (dal 1861 al 1867) di gran lunga superiore al resto del paese.

Nel 1870 gli inglesi ne approfittarono per stabilire la “Valigia delle Indie” un percorso commerciale che sfruttava la linea adriatica; del resto fin dal 1847 l'economista inglese Richard Cobden scriveva a Massimo d'Azeglio che «il vapore degli italiani era il loro sole».

Contemporaneamente al settore commerciale si sviluppò anche un inteso flusso di persone, specialmente coloro che erano curiosi di vedere da vicino le meraviglie artistiche del sud Italia.

A Napoli vi erano delle riviste illustrate e l'Annuario napoletano fin dal 1880 pubblicava gli aggiornamenti sui siti storici e artistici della città e dei suoi dintorni. Tuttavia, anche a causa del critico processo unitario, mancava una guida in lingua tedesca per i cittadini residenti a Trento.

Qualche anno più tardi apparve una trilogia che contemplava tutto il paese.

La prima parte (Italia settentrionale) fu pubblicata nella primavera del 1889, la seconda (Italia centrale) nella primavera del 1890 e, infine, la terza guida fu pubblicata nel 1891 per i tipi di A. Hartleben's Verlag con il titolo Illustrirter Führer durch Unter-Italien und Sicilien.

Dell'autore sappiamo ben poco. Si chiamava Giuseppe Oberosler, nacque in Trentino il 1854 e scrisse altri libri come Il tesoretto della cucina italiana, Dizionario tedesco-italiano, Diritto civile e il proletariato, L'introduzione alla tipografia in Italia.

 

Il programma di viaggio era suddiviso in una serie di itinerari di tipo strettamente artistico, tra cui la reggia di Caserta e le chiese di Napoli e le scorciatoie di interesse turistico, come le città di Amalfi, Sorrento, Salerno, Paestum e le isole.

Per ogni sito vi erano delle pagine dedicate e per ogni struttura dei capitoli interi. Il testo della guida è prolisso, ma ben ordinato e fin da subito si nota l'entusiasmo dell'autore in procinto di percorrere l'avventura che sta per iniziare tanto da paragonarla ad «un sogno che si è avverato».

Di seguito si riportano alcune traduzioni della guida seguite da un breve commento di attualità:

«Che quadro magico: Napoli, circondata dai borghi di Portici, Resina, Torre del Greco, Torre Annunziata; i preziosi resti delle città sepolte e ora in parte scavate di Ercolano e Pompei; la collina di Posillipo con le tombe di Virgilio e Sannazzaro; sullo sfondo gli Appennini, le cui propaggini circondano il Vesuvio, si estendono poi fino al mare e portano sulle spalle le romantiche cittadine di Castellamare, Vico, Sorrento e Massa: tutto questo è così pittoresco che compensa ampiamente la spesa e la scomodità di un viaggio fin qui».(p. 21).

La tomba di Virgilio si trova nell'omonimo parco situato a Mergellina mentre le spoglie di Jacopo Sannazaro sono tumulate nella Chiesa di Santa Maria del Parto a pochi metri l'una dall'altra.

Il mausoleo, costruito secondo il tipico modello del colombario, fu edificato in epoca romana per essere di volta in volta ristrutturato secondo le esigenze del momento. Negli anni immediatamente successivi all'Unità d'Italia la zona fu interessata da intensi lavori edilizi con la creazione, tramite una colmata, di una strada litoranea intitolata a Francesco Caracciolo, eroe della Repubblica napoletana.

«L'archeologo trova qui un ricco materiale di studio. Queste iscrizioni ci forniscono informazioni sulle divinità degli antichi, sul loro culto religioso, sulle magnifiche opere pubbliche ora distrutte, nonché su vari eventi e avvenimenti che riguardano la grandezza, lo splendore, i costumi, ecc. dei Greci, degli Etruschi, degli Arabi e dei Cristiani». (p. 31).

L'imbarazzo di trovare un sito che testimoniava i primi secoli di vita della città fu in parte risolto con la visita al Museo Nazionale, una delle più pregevoli testimonianze della presenza spagnola a Napoli, iniziato dal viceré duca di Ossuna nel 1586 e completato dal vicerè Pietro Ferdinando de Castro conte di Lemos.

Nel 1790 Ferdinando IV di Borbone vi fece trasportare 18.000 utensili in bronzo recuperati dagli scavi di Pompei ed Ercolano.

«Girando l'angolo del palazzo sopra menzionato, ci troviamo nel Largo Medina, con i suoi giardini alberati, che prende il nome dal viceré Medina de las Torres. In questa piazza si trova la Fontana Medina, la più bella fontana di Napoli, originariamente scolpita da Girolamo D'Auria (1595) e poi ampliata ed abbellita da Cosimo Fanzago che realizzò anche i gradini, le vasche, le balaustre, i putti e le figure leonine (1695). La fontana raffigura Nettuno al centro con un tridente, circondato da quattro cavallucci marini e quattro Tritoni seduti su cavallucci marini. Questa fontana si trovava in passato nell'arsenale, poi è stata spostata nel palazzo reale e poi di fronte al Castel dell'Ovo» (p. 69).

I lavori di ammodernamento risalgono al 1559 e comprendevano l'ex Largo delle Corregge, dove si svolgevano le giostre dei cavalli. La piazza era presumibilmente allocata tra via san Carlo e via Riccardo Filangieri di Candida Gonzaga e costituiva un importante crocevia tra il porto e la città. Ciò consentì all'autore di evidenziare gli intrecci tra il fenomeno migratorio e la religiosità del luogo: 

«S. Giorgio dei Genovesi, ricostruita nel 1620 in stile barocco dall'architetto Picchiatti (pala dell'altare maggiore di Andrea da Salerno, quella raffigurante il miracolo di S. Antonio è del Battistella, e la Crocifissione nell'ultima cappella si dice sia del Van Dyck)» (p. 69). 

I primi stanziamenti dei mercanti genovesi a Napoli risalgono al 1400 ed ancor oggi molti portano il nome di Grimaldi o Ravaschieri.

«Torniamo in Piazza del Municipio e, lasciandoci questa piazza sulla sinistra, vediamo la Chiesa di S.Giacomo degli Spagnuoli, fatta costruire nel 1540 dal viceré Pietro di Toledo su disegni di Ferdinando Manlio (…) su un lato dell'urna c'è l'iscrizione, sugli altri tre vediamo bassorilievi che raffigurano le azioni del Viceré, in particolare le sue vittorie contro il pirata Barbarossa; in alto si trovano le statue del viceré e di sua moglie. Dietro questo mausoleo si trova la tomba di Hans Walther von Hurnheim, colonnello di Carlo V e di Filippo II, con iscrizioni in latino e in tedesco antico. La pala dell'altare maggiore fu decorata da Annibale Caccavello». (p. 71).

La cappella era nata come servizio di supporto al presidio ospedaliero poi demolito per far spazio all'attuale palazzo San Giacomo dentro il quale la Chiesa è inglobata.

 

«Nella vicina via Sta. Brigida è la Chiesa di Sta Brigida, fondata dalla spagnola Johanna Queveda nel 1610, con un'immagine miracolosa della Madre di Dio. Le pale d'altare della Cappella della Croce furono dipinte da Luca Giordano (che fu sepolto nella cappella decorata con l'immagine di San Nicola di Bari nel 1705); la pala dell'altare maggiore fu realizzata dal Farelli. Nella cappella di lato c'è Sant'Antonio da Padova di Massimo Stanzione. La volta della Cappella di San Nicola era decorata con ammirati affreschi di Luca Giordano. Mastroleo dipinse il soffitto della Chiesa» (p. 72).

Johanna Queveda alias Giovanna Guevara era la nobildonna spagnola che aveva acquisito la proprietà per poi affidarla all'Ordine religioso dei Lucchesi della Madre di Dio. La Chiesa fu danneggiata durante la prima guerra mondiale dall'unico bombardamento austriaco su Napoli avvenuto il 10 marzo 1918.

«Nel vicino Largo S. Ferdinando sorge la Chiesa di S. Ferdinando, edificata dai Gesuiti con le donazioni della contessa di Lemos nel 1628 (facciata in stile romanico di C. Fanzago). All'interno c'è un dipinto eseguito da Fracanzano raffigurante l'Immacolata Concezione. De Matteis dipinse gli affreschi della cupola e della volta. Le statue raffiguranti Davide e Mosè furono realizzate da Domenico Antonio Vaccaro accanto ad un dipinto del Solimena. Sulla sinistra vediamo la tomba della principessa Lucia di Florida, sposa morganatica del re Ferdinando IV dopo la morte della moglie Maria Carolina d'Austria. Il bassorilievo fu eseguito da Tito Angelini. Segue la tomba del margravio Arditi del De Crescenzo». (p. 73).

La Chiesa inizialmente intitolata a san Francesco Saverio fu, nel 1767 a seguito dell'espulsione dei gesuiti dal Regno, dedicata a san Ferdinando III di Castiglia. Largo S. Ferdinando fu rinominato nel 1919 in “Piazza Trieste e Trento” per celebrare l'annessione delle due provincie dopo la prima guerra mondiale.

«Per prima cosa visitiamo il Palazzo Reale che fu costruito nel 1600 per ordine del viceré conte di Lemos, secondo i progetti di Domenico Fontana. La facciata rivolta verso il mare è lunga 230 metri e presenta un panorama magnifico. Il portico del piano terra è lungo 168 metri e presenta 19 arcate in stile dorico. Il piano superiore fu costruito in stile ionico, il terzo in stile composito». (p. 74).

La distinzione degli stili (dorico, ionico e composito) si riferisce all'estetica delle semicolonne che ornavano la facciata del palazzo, come risulta da una stampa del '700, poi eliminate dalle ristrutturazioni successive.

«Dove quest'ultima strada diventa Strada Santa Lucia c'era la Fontana del Gigante, costruita dal Fanzago nel 1560 per ordine del viceré Olivares. Sulla sinistra sorge la chiesetta di Santa Lucia, originariamente donata da una nipote dell'imperatore romano Costantino e ricostruita nel 1588. All'interno si trovano alcuni affreschi di Michele di Napoli raffiguranti scene della vita di Santa Lucia, oltre a un Cristo nell'orto di Giuseppe Mancinelli» (p. 76).

La Fontana del Gigante faceva parte di un sistema di approvvigionamento idrico che garantiva il rifornimento di acqua potabile per il popolo napoletano. Il nome si deve alla statua del “Gigante” inizialmente collocata nell'attuale piazza Plebiscito e poi rimossa nel 1807 da Giuseppe Bonaparte.

«Nel 1503 il castello fu gravemente danneggiato da una mina e Pietro di Toledo lo fece ricostruire nella sua forma attuale; viene chiamato dell'Ovo perché ha la forma di un uovo. Giotto affrescò la cappella (1309), ma oggi ne rimane ben poco. La figlia di Manfredi fu tenuta prigioniera in questo castello che oggi è adibito a prigione militare». (p. 77).

 

Molto probabilmente l'autore ignorava la leggenda dell'uovo di Virgilio così come il fatto che gli spagnoli lo chiamavano “castel del lupo” dovuto ad un equivoco sulla parola “ovo” (lobo = lupo).

«La Strada di Chiaja, che conduce a Largo S. Ferdinando, è attraversata da un porticato, il Ponte di Chiaja, costruito nel 1634 e decorato con sculture di Tito Angelini. Una scalinata di 100 gradini conduce al viadotto, costruito dal viceré Emanuel de Zunica». (p. 80).

Il ponte di Chiaia fu realizzato dagli spagnoli per collegare la zona di San Carlo alle Mortelle con la collina di Pizzofalcone; per evitare la fatica di salire ogni volta le scale nel 1956 fu costruito un ascensore.

«Nella vicina via Monte di Dio sorge il palazzo dei Duchi Serra di Cassano. Nella vicina Chiesa di Monte di Dio, ricostruita dal Sanfelice, si trovano affreschi del De Mura; l'abside è realizzato in diaspro e marmo verde antico». (p. 80).

I duchi Serra di Cassano erano discendenti di una nobile famiglia ligure giunta a Napoli nei primi anni del '600. La Chiesa di “Monte di Dio”, anche conosciuta come Chiesa della Annunziatella (da non confondersi con la Nunziatella attigua all'omonima accademia), risale al '700 ed era riservata al noviziato dei gesuiti. In epoca vicereale tutta la zona costituiva il “centro direzionale” di Napoli essendo abitata da diplomatici, alti gradi militari e funzionari spagnoli.

«Proseguendo lungo la Strada del Monte di Dio, giungiamo alla Chiesa di S. Maria degli Angeli, costruita nel 1600 su progetto del teatino Grimaldi. L'interno è a tre navate; la cupola fu dipinta da Benasca. Sul pavimento ci sono diverse lapidi di nobili spagnoli; tra i dipinti segnaliamo in particolare quello raffigurante la Sacra Famiglia di Vaccaro». (p. 80).

I padri Teatini hanno contribuito a ridefinire i contorni dello sviluppo della città di Napoli con numerose opere socio-assistenziali tra cui ospedali, conservatori, mense e monti di pegno.

«Nelle vicinanze si trova la Chiesa di S. Giuseppe Maggiore, costruita nel 1500 dalla corporazione dei falegnami. La facciata fu restaurata da Orazio Anselmi; gli affreschi della volta furono eseguiti da Belisario, la statua di Dio Padre dal Sammartino». (p. 81).

La Chiesa fu demolita nel 1934 nell'ambito dell'ampliamento del Rione Carità.

«Più avanti, si trova la Piazza di Monteoliveto (fontana in marmo con la statua in bronzo di Carlo II di Spagna, eretta nel 1668 a spese dei cittadini su disegno dell'Antonio Cafaro) e poi la Chiesa di Monteoliveto iniziata da Gurello Origlia nel 1411 e costruita secondo i disegni di Andrea Ciccione. Nel vestibolo vediamo la lapide della tomba di Fontana, il celebre architetto di papa Sisto V, e quello di Giuseppe Trivulzio, capitano di Filippo V. Il portone principale è decorato con splendide decorazioni in stile rinascimentale». (p. 82).

La Chiesa, dedicata a Sant'Anna dei Lombardi, comprendeva diversi chiostri uno dei quali è stato inglobato nella caserma dei carabinieri. Il nome “Lombardi” si deve ad una comunità di milanesi che risiedeva in città e che esercitava le funzioni religiose. Il sito nel 1848 fu sede del Parlamento Napoletano.

«Partendo dalla Chiesa sopra menzionata, ci dirigiamo verso la vicina strada San Severo e visitiamo la Cappella San Severo (conosciuta anche come Santa Maria della Pietà dei Sangri), fondata nel 1590 da P. di Sangro, duca di Torremaggiore. Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria, fece poi ricostruire la cappella in modo più magnifico (1618) per avere un luogo di sepoltura per i suoi familiari. Nel 1766 questa cappella fu arricchita con numerose opere d'arte da Raimondo di Sangro, principe di Sansevero». (p. 90).

La struttura è anche conosciuta per custodire il “Cristo velato” di Giuseppe Sammartino.

«Nelle vicinanze visitiamo la Biblioteca Brancacciana, fondata dal cardinale Francesco Maria Brancaccio nel 1675 e dotata di una rendita annuale di 600 ducati. Domenico Greco, Andrea Gizzio e Gherardo Brancaccio arricchirono la biblioteca con l'aggiunta di nuovi volumi; contiene 50.000 volumi e un gran numero di opere scelte, nonché preziosi manoscritti. La biblioteca è aperta al pubblico tutti i giorni (tranne la domenica e i giorni festivi)». (p. 93).

La biblioteca Brancacciana, la seconda biblioteca pubblica di Napoli dopo quella dei Gerolomini, oggi comprende un catalogo di 90 mila opere tutte trasferite poi nella Biblioteca Nazionale. Si noti la premura dell'autore che aggiunge alcune informazioni di accesso alla struttura.

«Ritorniamo all'Università e prendiamo il sentiero di fronte all'ingresso di questo edificio, che conduce alla Chiesa di S. Marcellino. Fu costruita nel 1627 e rivestito di marmi preziosi nel 1767 secondo i progetti del Vanvitelli. Il soffitto fu dipinto da Massimo Stanzione, la volta della cupola da Belisario. I dipinti all'incrocio furono realizzati da De Mura e Starace. Di fronte a questa Chiesa si trova la Chiesa dei Santi Severino e Sossio, ampliata e ristrutturata nel 1490 su disegno di P. Mormando. Il pavimento interno è costituito in gran parte da lapidi tombali di famiglie nobili di Napoli». (p. 94).

La Chiesa fu costruita accanto ad un antico monastero al cui interno fu istituito nel 1932 il Museo di Paleontologia. La Chiesa dei santi Severino e Sossio è stata riaperta recentemente dopo un lungo restauro.

«Da Via S. Severino ci si immette in Strada S. Biagio dei Libraj e si vede il Monte di Pietà, costruito dal capomastro G.B. Cavagna nel 1539. Diverse stanze contengono affreschi di Belisario Corenzio. L'omonima Chiesa contiene una Pietà del Naccherino (sopra la porta), due statue laterali (Amore e Sicurezza) del Bernini; una Pietà sull'altare maggiore di Santafede e una Resurrezione di Cristo dallo stesso (la figura reclinata, quasi addormentata, rappresenta il pittore stesso). Ippolito Borghese dipinse una mirabile Assunzione di Maria. Gli affreschi furono tutti realizzati da Belisario Corenzio. Nella sagrestia si trova la tomba del cardinale Acquaviva di Cosimo Fanzago». (p. 94).

Il Monte di Pietà concedeva prestiti in denaro senza interessi e costituiva un istituto importante per le famiglie di ceto medio-basso che intendevano avviare un'attività redditizia. L'edificio fu distrutto da un incendio nel 1786 e dalle sue ceneri nacque il Banco di Napoli.

«Nel refettorio della Chiesa di San Lorenzo Maggiore, il viceré Olivarez fece dipingere le dodici province del regno dal siciliano Alois Rodriguez. — Il campanile della Chiesa fungeva da deposito di armi. L'iscrizione dice che i re di Napoli furono obbligati a non tollerare l'Inquisizione». (p. 96).

Nel 1552 scoppiò una rivolta che impedì l'istituzione del Tribunale dell'Inquisizione a Napoli. A differenza dei moti di Masaniello dove fu il popolo ad essere sobillato, qui parteciparono tutti i ceti sociali compreso Antonio Grisone presidente del seggio di Nilo.

«Vicino alla Chiesa di S. Paolo Maggiore si trova la Chiesa del Purgatorio ad Arco, costruita nel 1604 a spese del consigliere Mastrilli su disegno di Giovanni Cola di Franco e Giovan Giacomo Conforto. A destra dell'altare maggiore si trova la tomba del fondatore, Andrea Falcone. Pala dell'altare maggiore (Le anime del purgatorio), di Massimo Stanzione. 1ª cappella a destra: pala del Vaccaro. 1ª cappella a sinistra: pala di Sant'Alessio di Luca Giordano». (p. 98).

All'epoca chi poteva permettersi di seppellire un proprio membro familiare in una Chiesa poteva ostentare grande prestigio in pubblico. La costruzione della Chiesa del Purgatorio ad Arco serviva a risolvere il problema di molte persone che, sebbene fossero laboriose e moralmente sane, non potevano permettersi un sepolcro dignitoso.

«Prendiamo la Via dei Tribunali, andiamo al Largo dei Gerolomini e lì visitiamo la Chiesa di S. Filippo Neri, costruita nel 1592 su progetto di Dionigi di Bartolomeo. La facciata marmorea (opera di Dionigi Lazzari, 1620) venne poi ristrutturata da Ferdinando Fuga (statue del Sammartino)». (p. 99).

La Chiesa fu costruita per volontà di san Filippo Neri. Il nome “Gerolomini” si deve alla Chiesa romana di San Gerolamo della carità nella quale l'ordine svolgeva le funzioni religiose. Attualmente la biblioteca, la prima aperta a Napoli e la seconda in Italia dopo quella di Cesena, consta di circa 160 mila volumi ed è consultabile su appuntamento.

«Uscendo da questa Chiesa, giriamo l'angolo e ci troviamo in Via del Duomo e subito dopo nell'omonima piazza; qui sorge la cattedrale di S. Gennaro». (p. 100).

La Chiesa, di origini angioine, fu costruita su una basilica preesistente risalente al IV secolo. Il 28 aprile 1644 il Duomo fu consacrato all'Assunta. Vi sono custoditi cinque organi di cui due risalenti al 1649, inseriti nella cappella del tesoro.

«Nelle navate laterali (3a cappella a destra) si trova il Tesoro, o meglio la cappella di San Gennaro, iniziata nel 1608 su disegno del frate teatino Grimaldi per esaudire un voto fatto dalla città in occasione della peste del 1527.» (p. 101).

Il tesoro di san Gennaro, che non è gestito dal Vaticano ma da una Deputazione laica, comprende circa 21 mila pezzi, tra collane, manufatti in argento e oro che ad oggi non ha ancora una stima definitiva sebbene nel 2010 un team di gemmologi valutò la mitra del santo in 7 milioni di euro e varie croci a circa 20 milioni di euro. Ma la vera sorpresa sta nel miracolo:

«il sangue solido contenuto nelle fiale torna liquido; e la folla accorre alla cupola per vedere il miracolo; dal lento scorrere del sangue o dalla completa assenza del miracolo, la gente trae le sue conclusioni sul corso buono o cattivo dell'anno». (p. 101).

Nel 1991 un team di esperti dimostrò che il presunto miracolo in realtà era un trucco dovuto ad una miscela di minerali (molisite, sale da cucina e carbonato di calcio) che si liquefacevano se agitati. Trent'anni prima il Concilio Vaticano II lo aveva declassato a “fatto prodigioso” consentendone la venerazione ma non l'adorazione; in tal modo i padri conciliari sono intervenuti per riequilibrare il fanatismo religioso rispetto alla vera fede.

«Al Duomo vediamo il palazzo arcivescovile, ricostruito nel 1647 per ordine del cardinale Filomarino (gli appartamenti dell'arcivescovo sono decorati con ornamenti del Lanfranco). La facciata del palazzo si affaccia su Piazza Donna Regina». (p. 104).

Dal 1598 il palazzo arcivescovile ospita la biblioteca diocesana, aperta al pubblico dal lunedì al giovedì, che consta di 85 mila volumi per un totale di oltre 5 chilometri lineari di scaffalature.

«A sinistra del Palazzo Arcivescovile si trova Via Anticaglia (resti dell'antico teatro). Sulla destra del palazzo, a pochi passi dalla Chiesa di Donna Regina, sorge la Chiesa dei Santi Apostoli. Un tempo qui c'era un tempio dedicato a Mercurio; la vecchia Chiesa fu ricostruita nel 1608 secondo i progetti del teatino Grimaldi. — La volta della navata, il transetto e gli angoli della cupola furono affrescati dal Lanfranco, la cupola dal Bonasca e le lunette dal Solimena». (p. 105).

La Chiesa si trovava accanto ad un monastero che fu abitato dai padri teatini e che oggi ospita il Liceo artistico “Filippo Palizzi”.

«Guglielmo I, re di Sicilia, su progetto del Silv. Buono costruì un palazzo, chiamato la Vicaria o Castel Capuano. Il viceré Don Pedro di Toledo fece ricostruire il castello e lo adattò a tribunale (1550).» (p. 107).

Il castel Capuano, che comprendeva anche un carcere poi chiuso nel 1861, attualmente è sede della Scuola superiore della Magistratura. La biblioteca, inaugurata nel 1896, consta di libri, riviste e risorse multimediali ad uso interno.

«Il Castel del Carmine sorge sulla Chiesa diocesana, in origine solo una torre fatta costruire da Ferdinando d'Aragona (1484) e successivamente trasformata in castello dal vicerè don Pedro di Toledo». (p. 109).

Nel 1799 qui si scontrarono i patrioti della Repubblica Napoletana e i sanfedisti del Cardinale Ruffo che li strinsero di assedio nel vicino Forte di Vigliena. I

l castello, soprannominato “Sperone”, fu demolito nel 1906. Tra il castello e la linea di costa vi era un'ampia arena che veniva utilizzata per rievocare il gioco della corrida (la prima avvenne nel 1533 nei pressi del Maschio Angioino).

L'evento si teneva ogni anno e comprendeva una serie di spettacoli che dovevano concludersi nel giro di un paio di mesi. È però probabile che, nell'anno in cui il nostro autore scriveva, si siano prolungate più del previsto fino a determinare le proteste non solo del Segretario generale della Società Zoofila Napoletana, Eduardo Caravola ma anche della stampa internazionale come il New York Times che la descrisse come «inumana e degradante» (3 agosto 1890). Un decreto di Mussolini (DL 6 maggio 1940 art. 149) ne stabilì la chiusura in tutto il paese.

«In 10 minuti attraversiamo questa grotta, illuminata giorno e notte, e raggiungiamo la Chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, di origine antichissima ma ricostruita nel 1500 sotto il re Alfonso d'Aragona. Questa Chiesa gode di fama eterna perché l'8 settembre si tiene una grande festa nella grotta e nel vicino villaggio di Fuorigrotta. La sfrenata vita di quella notte sfida ogni descrizione: si balla, si beve e si canta fino all'alba». (p. 116).

La grotta, meglio conosciuta come Crypta Neapolitana, fu costruita dai romani nel I secolo a.C. La festa citata è quella della Madonna delle Grazie preceduta dalla preghiera dei “nove sabati”, in ricordo del periodo di gestazione della piccola Maria nel ventre di Anna. Il festival della musica popolare fu organizzato a partire dal 1835 sotto i Borbone di Napoli.

 

Conclusioni

 

Sulla storia degli spagnoli a Napoli ci sono opinioni divergenti. C'è chi la ritiene un'occasione mancata di autodeterminazione del popolo napoletano e chi invece tende a vederla come un'epoca d'oro che in qualche modo rifletteva la cultura e la civiltà di un impero. Di fatto molte parole e costumi di quel periodo sono rimasti nella mentalità locale e non si può non fare a meno di notare un certo entusiasmo da parte dello stesso autore della guida.

Come in tutte le cose la verità sta nel mezzo: da una parte c'è stato indubbiamente un forte investimento finanziario nelle opere religiose e civili anche se ciò non ha determinato un miglioramento delle condizioni di vita di tutte le classi sociali.

Giuseppe Oberosler però non ci ha lasciato un trattato di sociologia né una dissertazione di politica ma una guida turistica per i cittadini trentini e tedeschi che molto probabilmente non conoscevano nulla di tali meraviglie.

Le descrizioni sono molto dettagliate tanto che si fa davvero fatica a pensare di poter vedere tutto in pochi giorni. Forse in ciò l'autore pecca un po' di presunzione nel senso che avrebbe potuto lasciare qualche zona d'ombra per incuriosire i turisti. La sua “missione” però si riverbera per i lettori di oggi, sopratutto napoletani, tenuti all'oscuro da quanto fatto di buono dagli spagnoli. Resta il fatto che non si può rimanere indifferenti dai luoghi descritti e dai personaggi citati tanto da indurre anche il più algido uomo a cambiare idea e a prenotare una visita nella “Piccola Spagna Napoletana”.

 

Luigi Badolati

 

 

Bibliografia

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Ansaldo 1853-1993, Genova, 1992, p.11.

Bullfighting in Naples; revival of the sport after two centuries. Ten thousand persons called out. Only one protest from a newspaper. In the time of romans, New York Times, 3 agosto 1890, p.14.

Catalogo generale dei Beni Culturali, su «Catalogo.beniculturali.it», consultato il 27 aprile 2025.

A. Della Ragione, Da Buffalo Bill alla Plaza de Toros, L'opinione.it, 21 gennaio 2014.

V. Gleijeses, Chiese e palazzi della città di Napoli, La botteguccia, Napoli, 1991.

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G. Mottura, Luglio 1547. Napoli insorge contro l'inquisizione spagnola, su Inchiestaonline.it, consultato il 27 aprile 2025.

G. Oberosler, Illustrirter Fuhrer durch Unter-Italien und Sicilien, Hartleben's Verlag, Wien, Pest, Leipzig, 1891.

 

 

 

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