1944-1950, le spose di guerra italiane
Nel nostro Paese ebbe talora conseguenze tragiche come gli stupri e le uccisioni perpetrati nel maggio 1944 dalle truppe coloniali francesi in Ciociaria. Molte altre volte tuttavia i rapporti furono positivi addirittura conclusi col matrimonio. Dal 1943 al 1950 circa 10mila donne italiane emigrarono con il coniuge americano negli Stati Uniti, una vera e propria “emigrazione sentimentale”. Il tema è stato trattato per esteso nel libro di Silvia Cassamagnaghi, Operazione Spose di guerra. Storie d’amore e d’emigrazione (Milano, Feltrinelli, 2014), il documentario Spose di guerra, è andato in onda il 20 gennaio 2025 su Rai Storia. Anche il numero degli incontri sentimentali non seguiti dal matrimonio fu probabilmente elevato, ma impossibile a quantificare. Liberta, una gentile giovane donna, amica di mia madre, subito dopo la liberazione di Firenze nel 1944, aveva subito il fascino di un ufficiale della Nuova Zelanda, ma molto attaccata alle tradizioni locali aveva deciso di non proseguire la relazione Tra gli incontri ad esito tragico o triste non si può non ricordare quelli descritti magistralmente da Roberto Rosellini nei due episodi di Paisà del 1946: una ragazza siciliana nella notte si era offerta da guida ai soldati americani. Con uno di loro ci fu un breve idillio terminato con la morte entrambi.
A Roma una ragazza nella sua modesta abitazione offriva ristoro al soldato sceso dal carro armato al momento della liberazione: l’attrazione fu immediata, ma la storia non ebbe seguito. Divenuta una prostituta non fu riconosciuta dal soldato che, deluso, lascò la città. L’attrazione delle donne italiane per i soldati venuti dal mare, in particolare dagli Stati Uniti, era variamente motivata: in primo luogo il loro arrivo significava la fine della guerra e della dominazione dell’occupante tedesco. Gli americani portavano libertà e ricchezza perché provenivano da un eldorado lontano di cui si erano avute fino ad allora notizie indirette. C’era anche l’immediato fascino della divisa e la gentilezza dei modi confrontata con la durezza dei precedenti occupanti. Il matrimonio significava anche un possibile miglioramento della situazione economica, rottura dei rapporti tradizionali. Sentimenti, emozioni, desiderio di libertà e valutazione pratiche, furono l’intreccio inestricabile alla base delle decisioni delle donne italiane in quel difficile periodo. Per molte l’attrazione sfociava in prostituzione giustificata quasi sempre dalle disperate condizioni di vita esistenti in molte zone italiane nel dopoguerra. Legale e illegale il meretricio era molto diffuso, addirittura favorito e incoraggiato dai familiari. Una descrizione drammatica in una Napoli ridotta allo stremo dopo la liberazione nel 1943 si trova nel libro La Pelle di Curzio Malaparte pubblicato nel 1949. In Toscana, la pineta di Tombolo, una striscia di litorale tirrenico tra Pisa e Livorno, nel periodo 1944-46 divenne la più vasta area fuori dal controllo della legge nel territorio italiano: uno scenario alimentato dalla movimentazione di merci e uomini del vicino porto di Livorno, e dominato da mercato nero, violenza e prostituzione. A Firenze, nel 1944 due giovani sorelle provenienti da una famiglia di contadini molto modesta che viveva vicino a noi, dopo alcuni incontri occasionali, conobbero e sposarono due soldati italoamericani. Nelle lettere dagli Usa scrivevano che si trovavano bene, erano persone semplici si meravigliavano di aspetti insoliti della società americana, come ad esempio la vendita di polli già spennati, un compito che loro avevano sempre svolto in cucina. Una delle preoccupazioni delle autorità italiane e delle forze alleate era la diffusione delle malattie veneree che costrinsero a prendere misure anche discutibili, come le case di tolleranza riservate ai militari e sottoposte a controlli sanitari. Vi era inoltre il problema dei figli illegittimi, in particolare dei “mulattini”, i figli meticci, nati non solo dagli stupri di massa della Ciociaria, ma anche da incontri occasionali con soldati di colore. Questi bambini venivano abbandonati in orfanotrofi-lager o anche affidati a famiglie affettuose e protettive, ma con gli ostacoli della povertà e, soprattutto, del razzismo presente anche in Italia. I permessi della burocrazia USA per poter sposare una ragazza di un paese occupato, non erano ottenuti facilmente. Dovevano tener conto delle logiche nazionalistiche, della efficienza militare, le esigenze “naturali” dei soldati, del necessario compromesso col nemico/alleato, dei pregiudizi, delle priorità, delle contraddizioni culturali, razziali, e sociali tra i due Paesi. Il problema era ancora più complicato quando il matrimonio era con un soldato di colore, basta pensare che in 29 stati americani. i matrimoni misti erano allora proibiti per legge. Gli ostacoli provenivano anche dal versante italiano, dal punto di vista legale e sociale, con tutti i suoi principi, corruzioni, grandezze e meschinità Le spose venivano imbarcate sulle stesse navi che avevano portato i soldati americani in Europa durante la guerra, in 400-500 per volta, con scene molto commoventi al distacco dai porti. Spesso avevano in braccio i figli piccoli avuti in Italia e partivano per il ricongiungimento tardivo col marito che le aspettava negli Stati Uniti. L’incontro con la società americana così diversa da quella italiana, allora prevalentemente contadina, produceva gli effetti più variabili; vi era lo stupore ingenuo riportato dalle sorelle fiorentine, talora le storie di successo erano sbandierate ai parenti in Italia, ma si verificavano anche realtà faticose, dolorose, a volte drammatiche. Spesso le donne trovavano un uomo molto diverso da quello conosciuto e ostilità da parte dei suoi familiari. Infelicità e/o nostalgia spesso inespressa per il paese di origine non doveva essere rara; è stata descritta nel film I ponti di Madison County, del 1995, diretto e interpretato da Clint Eastwood. Francesca, interpretata magistralmente da Meryl Streep, sposa di guerra a Napoli nel 1944, aveva una vita familiare tranquilla, forse troppo, nella contea di Madison, nello Iowa. L’incontro sentimentale col fotoreporter, venuto a fotografare i ponti di Madison, la richiesta di fuggire con lui e rivedere i luoghi da cui era partita, la espose al tormento della decisione, ma non partì di nuovo. Un caso meno romantico è quello di una mia lontana parente: giovane e graziosa, si chiamava Gilda, nomen omen: aveva sposato un facoltoso ufficiale statunitense conosciuto nella Firenze subito dopo la liberazione della città nel 1944, ma non era riuscita ad integrarsi nella società americana. Col divorzio ottenne un considerevole risarcimento economico che fu molto utile alla famiglia al suo ritorno in Italia. Nel libro di Silvia Cassamagnaghi sono stati trattati anche aspetti meno conosciuti come le vicende delle ragazze americane che sposarono prigionieri di guerra italiani internati in America che furono circa 50mila dal 1943 al 1945. Avevano la possibilità di contatto anche con le comunità italoamericane. Anche queste coppie dovettero superare molte difficoltà, e dopo un breve soggiorno in Italia, quasi tutte tornarono negli Stati Uniti attratte dalle condizioni di vita decisamente migliori.
Alberto Dolara |
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