La scienza e il fattore del rischio
L’atteggiamento antiscientifico procede in direzione specularmente opposta, scaricando su scienza e tecnica tutte le colpe degli eventuali effetti negativi. Si dovrebbe tuttavia rammentare che è insita nella stessa impresa scientifica la dimensione del rischio: conoscere in modo più approfondito la realtà aumenta da un lato il nostro potere sulla natura, e dall’altro può far sì che tale accresciuto potere dia vita a conseguenze indesiderate. Ma il rischio fa parte della costituzione dell’uomo e della sua storia. Si pensi a cosa saremmo oggi se i nostri antenati non avessero voluto correre rischi, preferendo la tranquillità al dinamismo. Uno dei grandi insegnamenti dell’epistemologia fallibilista di Karl Popper è che, nella scienza, occorre sempre essere aperti alla possibilità che le proprie tesi vengano smentite. Esiste la verità ma occorre anche rendersi conto che essa va conquistata con fatica e, soprattutto, che la pretesa di averla raggiunta una volta per tutte è un’illusione, come del resto dimostra la storia della scienza stessa. Occorre però chiedersi cosa succede se l’attività scientifica non è governata da alcuna regola metodologica. Gli scienziati possono in fondo ignorare la questione, certi che la loro ricerca progredisce in ogni caso. Non possono invece ignorarla i filosofi e tutti coloro che attribuiscono alla scienza un ruolo decisivo nel progresso della conoscenza umana. È facile rendersi conto che, oggi, la questione di cui sopra ha un’importanza cruciale ed è pure gravida di conseguenze pratiche. Se la scienza avanza in modo anarchico (come sosteneva Feyerabend) e senza regole di sorta, allora il suo valore conoscitivo può essere revocato in dubbio. Non solo. La scienza diventa una prateria aperta a scorrerie di ogni tipo. Molti hanno rilevato che la scienza non può essere per sua natura democratica. Per parlare con cognizione di causa al suo interno occorre, innanzitutto, acquisire competenze tecniche molto complesse, e poi sottoporre le proprie tesi al vaglio di specialisti con competenze tecniche almeno pari a quelle di chi le propone. In caso contrario abbiamo soltanto chiacchiere inutili, poiché si dà spazio a chi interviene senza sapere. Ed è proprio ciò che sta accadendo ai nostri giorni. Internet ha fornito a ognuno il diritto di intervenire su qualsiasi problema, indipendentemente dal grado di conoscenza posseduto. Il problema si pone anche quando questioni di tipo scientifico vengono discusse in tribunale. Ha fatto scalpore una recente sentenza in cui i giudici hanno affermato che vi è dipendenza causale tra l’uso del telefono cellulare e l’insorgenza di un certo tipo di tumore. Tutto ciò senza tenere conto che studi specialistici già effettuati e pareri di organismi scientifici internazionali hanno invece negato che esista una correlazione di quel tipo. Sembra di capire, in sostanza, che in casi simili le sentenze si basino, più che sull’esame per l’appunto scientifico dei dati, sulle discussioni politiche, giudiziarie o addirittura filosofiche che proliferano come funghi nella Rete, quasi sempre senza un controllo serio delle opinioni che vengono postate da utenti spesso organizzati in gruppi di pressione. Si tratta di una tendenza pericolosa perché fa dipendere la verità sul mondo che ci circonda dal dibattito in Internet, scordando che la Rete e il mondo reale non sono la stessa cosa.
Michele Marsonet |
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