Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Vittime innocenti. Aprile 1969 - 2021

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Il 2 aprile del 1985 a Trapani vennero uccisi Barbara Rizzo, Giuseppe e Salvatore Asta, madre e figli, due gemelli di 6 anni.

Quel giorno i mafiosi avevano piazzato una autobomba in prossimità di una curva della frazione di Pizzolungo destinata ad esplodere al passaggio della vettura blindata appartenente al sostituto procuratore Carlo Palermo che si trovava nella città siciliana da cinquanta giorni e ha già ricevuto diverse minacce.

Erano da poco passate le 8.03 quando le macchine del magistrato e della sua scorta sfrecciano per il rettilineo di Pizzolungo. Un attimo, un click ed esplode un’autobomba posizionata sul ciglio della strada che da Pizzolungo conduce a Trapani. L’utilitaria fece da scudo all’auto del sostituto procuratore che rimase solo ferito. Nell’esplosione morirono invece dilaniati la donna e i due bambini. Fu una strage di innocenti, figlia di una strategia terroristica che avrebbe raggiunto il culmine nelle stragi del 1992.

Il 4 aprile del 1988 moriva Il sovrintendente principale della polizia giudiziaria Romano Tammaro, 36 anni, a cause delle ferite riportate dopo essere stato sparato da un rapinatore a Grumo Nevano.

Morì 4 giorni di agonia a seguito di una sparatoria avvenuta a Grumo Nevano. Tammaro comandava la squadra giudiziaria del Commissariato di Montecalvario, una delle zone più calde dei "quartieri" per la presenza asfissiante della criminalità.

Il 31 marzo 1988, si recò a fare visita ad un amico proprietario di un negozio e stava guardando dei pantaloni mentre attendeva che la moglie finisse un'acconciatura nel vicino esercizio di parrucchiere; ad un certo punto fecero irruzione nel negozio dei rapinatori con armi in pugno. Romano, che era fuori servizio, reagì prontamente estraendo la sua pistola d'ordinanza; ne scaturì una violenta colluttazione, al termine della quale Romano venne ferito gravemente alla nuca; ciononostante riuscì a sparare un colpo che ferì uno dei due rapinatori. Tuttavia Romano versava in gravi condizioni e morì 4 giorni dopo il ricovero all'ospedale Cardarelli.

 

Il 6 maggio 1988 Tammaro Romano è insignito della medaglia d'oro al valor civile con la seguente motivazione: "Fuori dal servizio, con coraggiosa determinazione, affrontava due giovani armati che si erano introdotti in un negozio a scopo di rapina. Ingaggiava con i banditi un conflitto a fuoco nel corso del quale veniva ferito mortalmente".

Il 5 aprile del 2003 a San Sebastiano al Vesuvio (NA) venne ucciso il 17enne Paolino Avella.

Perse la vita a pochi metri dal Liceo da cui proveniva nel tentativo di sfuggire al furto del proprio motorino ad opera di due balordi. Paolino, per sottrarsi alla rapina, accelerò improvvisamente cercando di allontanarsi forse anche per raggiungere la vicina stazione dei carabinieri ma i malviventi si misero a inseguirlo.

La perizia tecnica disposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nola ha accertato che i due balordi, utilizzando una moto più potente, prima raggiunsero e poi affiancano la moto di Paolino speronando e causando l’impatto contro un albero. Paolino morì per la gravità delle ferite riportate nell’impatto. Avrebbe compiuto 18 anni pochi giorni dopo.

Nel maggio del 2022 è stata profanata la cappella dove è custodito il suo corpo. La tomba nel cimitero di Pollena Trocchia è stata ritrovata a soqquadro dai membri della sua famiglia. Il vetro all’ingresso è stato distrutto e gli autori del raid si sono introdotti nella cappella rubando alcuni oggetti personali lasciati in ricordo del giovane. 

L’8 aprile del 1994 a Nola (NA) venne uccisa Maria Grazia Cuomo. Vittima innocente di una vendetta contro un collaboratore di giustizia.

Aveva 56 anni, non era sposata e stava sempre chiusa in casa per colpa di una brutta voglia violacea sul viso; viveva con la sorella, moglie di un lontano parente del boss camorrista Carmine Alfieri, diventato collaboratore di giustizia.

Un commando di killer entrò nell’abitazione con l’intento di uccidere il figlio del collaboratore di giustizia. Non l’hanno trovato ed hanno scaricato il caricatore verso il letto dove Maria Grazia riposava.

«Doveva essere una punizione esemplare. Una lezione che non si dimentica, diretta a chi in quei mesi stava smontando pezzo per pezzo il sistema camorra, facendo arrestare decine di affiliati ai clan».

Il 9 aprile del 1969 a Battipaglia (SA) morirono Carmine Citro e Teresa Ricciardi, 19 e 30 anni durante una protesta cittadina. 

Carmine, colpito alla testa e Teresa, giovane professoressa, raggiunta da una pallottola in dotazione alle forze dell’ordine al terzo piano della propria abitazione.

Nel 1969 si diffuse velocemente tra la popolazione la notizia della chiusura delle due aziende e l'idea di perdere il lavoro e un salario sicuro mobilitò centinaia di persone in uno sciopero generale. Insieme operai e studenti. Il "no" degli scioperanti fu accompagnato da momenti di tensione che sfociarono in veri e propri moti. I binari della stazione vennero occupati dai manifestanti, determinati a mantenere l'occupazione, ma l'ordine arrivato da Roma di rimuovere i blocchi fece perdere la testa alle forze dell'ordine, fino ad allora spettatrici passive della manifestazione. Le guardie iniziarono così a sparare all'impazzata, uccidendo Teresa Ricciardi, un insegnante di 30 anni, e uno studente di 19 anni, Carmine Citro, e provocando numerosissimi feriti.

Teresa era al balcone di casa sua, insieme al fratello, a guardare da lontano la manifestazione. Carmine Citro invece era nel mezzo della folla e della protesta.

10 aprile 1987 Cittanova (RC), venne ucciso Rosario Iozia, Comandante Squadriglia Carabinieri, in uno scontro a fuoco con dei malviventi.

10 aprile 1998 a Catania, venne trovato il corpo di Annalisa Isaia, 20 anni. “La sua colpa era di andare a ballare con persone non gradite allo zio”.

10 aprile 2009 Villaricca (NA) Vittorio Maglione, suicida a 13 anni. Nella lettera al padre: «non voglio diventare come te». Era figlio di Francesco, esponente di spicco del clan Ferrara, legato ai Mallardo e ai Casalesi, Vittorio frequentava la scuola media Giancarlo Siani, appassionandosi alla storia del giovane giornalista ucciso dalla camorra e sognando un destino diverso per se stesso. Nel 2005 suo fratello era stato trucidato da un branco di Mugnano per aver tentato di rubare il motorino alla persona sbagliata e questo avvenimento aveva profondamente segnato la vita del giovane, che all'epoca aveva solo 9 anni. Decise di togliersi la vita, consegnando il suo ultimo messaggio a Messenger, all'epoca popolare chat di Microsoft tra i giovanissimi. Chiese scusa a tutti, ma non a suo padre, dicendosi stanco e senza speranza per il futuro. Proprio non voler diventare come lui lo portò al gesto estremo del suicidio.

Il 13 aprile del 2009 a Napoli venne ucciso il 21enne Giovanni Tagliaferri.  Morì il lunedì di Pasquetta, in via Cristoforo Colombo, nella zona del porto di Napoli. Erano le 22.30 circa, quando un amico in macchina con Giovanni tentò un approccio ad una ragazza che in quel momento era sul marciapiede del porto e che, in compagnia del fidanzato e di altre due coppie di giovanissimi, era appena rientrata da una gita a Capri. Ne scaturì una violenta lite nel corso della quale il giovane Tagliaferri, che aveva cercato di fare da paciere, riportò diverse ferite, provocate da arma da taglio, una delle quali si è poi rivelata fatale. Venne colpita la radice della coscia sinistra recidendo l’arteria femorale, poi esplosa prima che il giovane potesse ricevere, presso l’Ospedale Loreto Mare, i necessari soccorsi.

Nel 2010, il tribunale di 1° grado condanna a diciotto anni di reclusione (due in più rispetto alla richiesta del pubblico ministero) il giovane accusato di essere l'esecutore materiale, e a sedici anni di reclusione il suo complice, colui che, nella ricostruzione degli inquirenti, fece a botte con un amico di Vanni impedendogli di intervenire in soccorso della vittima. 

Nel 2011 il tribunale di 2° grado condanna entrambi a 16 anni di reclusione.

Il 14 aprile del 1981 a Napoli venne ucciso il vicedirettore del carcere di Poggioreale Giuseppe Salvia, 38 anni. Fu trucidato in un agguato di camorra, sulla tangenziale di Napoli, avvenuto all'altezza dello svincolo dell'Arenella.

Fu ucciso dalla nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, punito per il suo impegno a volere rendere più umana e sopportabile la vita all’interno del carcere.

 Il suo omicidio avvenne in un agguato sulla tangenziale di Napoli per volere di Cutolo. La “colpa “di Salvia fu quella di aver contrastato il potere del boss all’ interno del carcere e di averlo perquisito personalmente al ritorno da un’udienza.

Per quell’omicidio Raffaele Cutolo fu condannato all’ergastolo. Probabilmente a scatenare l’ira del boss fu l’atteggiamento che Salvia ebbe al ritorno di Cutolo, il 7 novembre del 1980, in cella a Poggioreale quando pretese che il boss fosse perquisito come da regolamento carcerario e Cutolo tentò di colpire con uno schiaffo il vice direttore.

Il 15 aprile del 1980 a Monza venne rapito e poi ucciso Adelmo Fossati, 35 anni, titolare di una concessionaria.  Il corpo venne ritrovato tre mesi dopo. Si era rifiutato di entrare in un giro di auto rubate.

Dirigeva una concessionaria di auto, ma probabilmente faceva gola all’#Anonima in quanto cugino di Danilo Fossati, titolare dell’industria alimentare Star. Furono in quattro a bloccare il prestante pilota di Formula 3, molto noto nel Monzese. Poi le richieste alla famiglia: sette miliardi di lire. Una cifra astronomica, ridimensionata a 300 milioni, consegnati in una notte di giugno, dopo un tentativo fallito di liberare l’ostaggio. Arrivarono nuove richieste di denaro. Era già pronta una seconda valigetta con 250 milioni, ma il 14 luglio gli investigatori trovarono il corpo del rapito, sotterrato nel giardino di una villetta di Missaglia (nella zona di Lecco), dove era stato tenuto prigioniero negli ultimi tempi. Quella villa, e anche altre utilizzate come covi, erano di proprietà dell’ex-olimpionico di ciclismo Umberto Moretti, passato dalle due ruote all’Anonima.

In pochi mesi gli esecutori del sequestro vennero arrestati. Fu proprio il fermo di uno dei carcerieri a spingere gli altri a disfarsi dell’ostaggio. A nulla servì l’appello del Papa. quando il 4 luglio i carabinieri bloccarono Maria Pompea Alò, la donna di uno dei capi della banda, Pietro Miragliotta (che conosceva Fossati per aver partecipato insieme a lui ad alcune gare automobilistiche) si decise a uccidere l’uomo, già provato per le dure condizioni della carcerazione. A incaricarsi del compito fu Sebastiano Pangallo, originario di Reggio Calabria: lo stordì con una forte dose di cloroformio e lo gettò in una buca scavata da Moretti. Poi lo coprirono con la calce viva e lo seppellirono che ancora respirava. Era il 7 luglio dell’80. 

Il 16 aprile del 2021 a Marino, in provincia di Roma, Annamaria Ascolese, 50 anni, originaria di Sarno, divenne vittima di femminicidio.

Era un’insegnante e responsabile del plesso elementare Anna Frank di Frattocchie, e con il marito, anche lui originario di Sarno, viveva a Marino, in provincia di Roma nel quartiere Sant'Anna ai Castelli Romani.

Quel giorno, al culmine di una violenta lite, il marito sparò diversi colpi di pistola alla moglie e credendola morta, si suicidò con un colpo in petto. Annamaria Ascolese, dopo l'aggressione riuscì a trascinarsi fuori dalla sua abitazione, venne soccorsa e trasportata d'urgenza all'ospedale San Camillo di Roma. Il 18 aprile venne sottoposta a un delicato intervento di ricostruzione del transito intestinale, ma le ferite dovute ai colpi di pistola si rilevarono letali. Annamaria morì il 21 aprile dopo aver lottato contro la morte per 5 giorni.

Il 18 aprile del 1991 a Napoli venne uccisa la guardia giurata Luigi Vigorito, 36 anni.

Fu assassinato da tre rapinatori perché aveva sbarrato loro il passo impedendogli di svaligiare la banca che sorvegliava, l’agenzia della banca Popolare di Napoli di via Epomeo, nel quartiere partenopeo di Soccavo. Uno dei tre gli sparò due colpi alla testa.

Il 19 aprile del 2021 a Torre Annunziata veniva ucciso il 61 enne Maurizio Cerrato. Era un uomo buono, perbene, un gran lavoratore. E’ stato aggredito, massacrato e accoltellato mortalmente perché era andato in soccorso della figlia affrontata da un pregiudicato per “aver osato spostare” dalla strada pubblica delle sedie posticce per poter parcheggiare.

Gli aggressori circondarono Maurizio e continuano a colpirlo, prima con il compressore e poi con un coltello al torace. Maurizio durante la violenta aggressione affermò: "io per le mie figlie mi faccio uccidere". Questi poi si rivolsero alla figlia dicendole "ed ora portalo in ospedale", ma a nulla servì la corsa in ospedale. Maurizio lascia una giovane moglie e due figlie.

Il 22 aprile del 1990 a Taranto venne ucciso l’operaio 25enne Angelo Carbotti. Il killer non conosceva la sua vittima designata, il boss di una banda rivale, e così ha sbagliato bersaglio. Ha ucciso a colpi di pistola Angelo Carbotti, un operaio in attesa di occupazione stabile, che aveva aiutato due persone coinvolte in un incidente stradale. Non aveva nessun precedente penale, niente a che vedere con la malavita.

Quel giorno Angelo era finalmente libero dopo un’intera settimana di lavoro, era felice di poter andare in centro per passeggiare con i suoi amici ed è assorto nei suoi pensieri quando si imbatté in un incidente stradale avvenuto in periferia. Senza pensarci due volte si fermò per soccorre due persone rimaste coinvolte. Si trattava di una giovane donna e di suo fratello, Sara e Filippo Ricciardi, quest’ultimo uno dei boss del luogo. Angelo non li conosceva, non sapeva chi fossero, ma li portò al Pronto Soccorso dell’ospedale civile Santissima Annunziata di Taranto e dopo averli affidati alle cure dei medici, risalì sulla sua auto, una Alfasud, per liberare il passaggio del Pronto Soccorso e tornare alla sua passeggiata domenicale. Ma proprio in quel momento spuntò un killer, a volto scoperto, con in pugno una pistola calibro 7,65, che prima sparò due colpi ai piedi di alcune donne che sostavano dinanzi al Pronto Soccorso per allontanarle e poi si avvicinò ad Angelo e fece fuoco a bruciapelo. Cinque i colpi esplosi e cinque i proiettili che lo raggiunsero senza lasciargli scampo.

Angelo è stato scambiato per un affiliato al clan De Vitis che doveva essere ucciso per vendicare l’omicidio di Francesco Fanelli, avvenuto il sabato.

Nessuno testimoniò su quanto era accaduto. L'omicida riuscì a fuggire mescolandosi sulla folla e liberandosi dell'arma, ritrovata insieme al caricatore vicino all'obitorio.

Nel mese di giugno 2024 La Corte di Assise di Appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado per i 4 imputati, 23 anni di reclusione. Sentenza divenuta definitiva il 18 gennaio 2025.

Il 20 aprile del 1995 ad Alessandria della Rocca (AG) venne ucciso Giovanni Carbone, manovale di 28 anni. Venne ucciso in quanto testimone dell’omicidio di Emanuele Sadita. Giovanni Carbone aveva la propria abitazione di Alessandria ad una cinquantina di metri da quella in cui abita la famiglia di Sadita e si sarebbe trovato per caso a passare vicino alla casa quando sono entrati in azione i killer. Che il giovane sia stato ucciso perché aveva visto troppo lo testimonia anche il fatto che, a differenza dell’auto di Sadita che era posteggiata in un piccolo spazio a ridosso della stradina polverosa in contrada Cabibi, quella del Carbone è stata ritrovata con il quadro ancora acceso.

Il 24 aprile del 1998 a Cerignola (FG) morirono in un incidente Maria Incoronata Ramella e Incoronata Sollazzo, braccianti di 25 e 36 anni che viaggiavano su un furgone dei "caporali" stipato di lavoratori.

Erano due braccianti vittime di sfruttamento e del caporalato, reclutate illegalmente e sfruttate al duro lavoro dei campi. Da pochi giorni lavoravano presso un’azienda conserviera nella provincia di Bari. Dopo una giornata di lavoro stavano facendo ritorno a casa su un furgone 'Fiat Ducato' omologato per dieci persone che, purtroppo, però ne trasportava 17 tra uomini e donne. Durante il viaggio, a causa dello scoppio dello pneumatico posteriore destro, il furgone finì fuori strada, così, le due giovani donne persero la vita e lasciarono per sempre le loro famiglie.

La malavita non aiuta i deboli, non offre speranza e lavoro, ma semina disperazione e costringe ad an vita da schiavi. La malavita uccide sempre e comune, in tanti modi.

Il 27 aprile del 2013 a Caivano (NA) morì il piccolo Antonio Giglio di 3 anni. La sua morte è avvenuta circa un anno prima della morte di Fortuna Loffredo. Il piccolo Antonio sarebbe caduto dalla finestra della casa della nonna, situata al settimo piano di un edificio del Parco Verde di Caivano. La madre ha sempre sostenuto che sia stato un incidente: il piccolo – stando alla sua versione – si sarebbe sporto troppo per guardare un elicottero dei carabinieri. Secondo il giudice è inverosimile che un bambino di 4 anni possa essere salito da solo sul davanzale della finestra, sotto il quale non c'era nessun mobile, sedia o altra suppellettile, e quindi infilarsi in uno spazio di soli 25 centimetri per poi precipitare. La seconda Corte di Assise di Napoli ha assolto Marianna Fabozzi, madre del bimbo di 3 anni, accusata di omicidio volontario e il compagno della donna, Raimondo Caputo, accusato di favoreggiamento. Fabozzi e Caputo sono stati già condannati in via definitiva per la morte della piccola Fortuna Loffredo, la bimba violentata e lanciata nel vuoto nello stesso complesso residenziale, il 24 giugno 2014, un anno e due mesi dopo la morte di Antonio.

Il 27 Aprile 2020 moriva Pasquale Apicella, agente della Polizia di Stato mentre tentava di bloccare la fuga di tre ladri dopo una tentata rapina a uno sportello Atm in via Abate Minichini, a Napoli. Un poliziotto, un uomo, un figlio, un marito, un amico, un papà, strappato all'affetto di chi lo amava.

Il 28 aprile del 1983 a Napoli venne ucciso Domenico Celiento, carabiniere di 32 anni.

Rimase vittima di un agguato camorrista mentre stava raggiungendo Napoli per prendere servizio. Celiento era alla guida della sua golf, Quando venne tamponato violentemente da un'altra auto, dalla quale vennero esplosi diversi colpi d'arma da fuoco, che frantumarono il lunotto posteriore della golf. Dai rilievi tecnici si presunse che il militare sia riuscito ad evitare i primi colpi, poi quando ha cercato di uscire dall'auto è stato raggiunto da uno dei killer che lo ha ripetutamente colpito a distanza ravvicinata sparando con una P38.

Chi avrebbe potuto vedere e riferire particolari utili alle indagini dice di non avere visto, di non avere notato alcunché di sospetto: la paura di finire nel mirino della delinquenza organizzata chiude definitivamente ogni bocca.

Il movente dell'agguato di cui rimase vittima il militare è da rintracciarsi nelle indagini che stava portando avanti, da quando era operativo presso la compagnia Stella, sulle estorsioni ai danni dei commercianti della zona.

Il 30 aprile del 1982 vennero uccisi dalla mafia a Palermo Rosario Di Salvo e Pio La Torre, 36 e 55 anni. Stavano raggiungendo la sede del partito a bordo di una Fiat 131 quando la macchina si trovò in una strada stretta. Una moto di grossa cilindrata affiancò Di Salvo, che guidava, ad uno stop e cominciò a sparare. Da un’auto scesero altri killer a completare il duplice omicidio. Pio La Torre morì all’istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre la sua pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere.

La Torre era segretario regionale del Partito Comunista Italiano. Sulla base di una proposta di legge da lui presentata, venne promulgata la legge 13 settembre 1982, n. 646 (detta "Rognoni-La Torre"), che introdusse nel codice penale l'art. 416-bis, il quale prevedeva per la prima volta nell'ordinamento italiano il reato di "associazione di tipo mafioso" e la confisca dei patrimoni di provenienza illecita.

 

Francesco Emilio Borrelli

 

 

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