Italiani tra i sudisti nella Guerra Civile americana: recente immaginario borbonico e realtà storica garibaldina
Per quanto riguarda i nostri connazionali schierati con i “sudisti”, a distanza di un secolo e mezzo dagli eventi, si è diffusa una narrazione che vuole che tra di essi fossero presenti migliaia di ex prigionieri provenienti dall’esercito delle Due Sicilie, sconfitto nel 1860, inviati a New Orleans dopo essere stati reclutati dal generale garibaldino Chatham Roberdeau Wheat, originario dello stato sudista della Louisiana e poi comandante sudista morto in battaglia, con la collaborazione dell’ufficiale garibaldino di origine britannica Bradford Smith Hoskins, anch’egli poi arruolato nelle fila sudiste e morto sul campo. Questa operazione sarebbe avvenuta con il consenso di Garibaldi e del suo Ministro dell’Interno, Liborio Romano, che avrebbe proposto al generale Cialdini di deportare i prigionieri nella nuova Confederazione degli Stati Americani, essendo fallito un precedente tentativo diretto verso l’Australia.
Il console americano a Napoli, Joseph Chandler, avrebbe inizialmente concesso al capitano Hoskins il benestare all’operazione, che sarebbe stata effettuata tra il dicembre 1860 e il maggio 1861 dalle navi “Charles & Jane”, “Utile”, “Oliphant”, “Franklin”, “Washington”, “Elisabetta” e “Monroe”, che avrebbero trasportato in una prima spedizione 1437 prigionieri borbonici, secondo un asserito diario dello stesso capitano Hoskins. Altri 816 uomini sarebbero stati trasportati dalle navi americane “Francis B. Cutting” e “Southern Rights”, e ulteriori 122 uomini sarebbero stati trasportati dalla nave “Due Fratelli”. Altri trasporti sarebbero stati effettuati dalla compagnia “Thomas brothers” di Palermo. Il governo di Cavour avrebbe tentato un’operazione del genere con il governo dell’Unione, ma il presidente Lincoln avrebbe declinato l’offerta. Sempre secondo questa narrazione, una delle unità asseritamente formate dagli ex militari borbonici sarebbe stata la cosiddetta “Garibaldi Legion” o “Guard”, il cui nome sarebbe stato trasformato nel 1862 in “Italian legion” a causa delle proteste degli stessi ex militari borbonici. Gli stessi italiani “sudisti” borbonici avrebbero scortato i prigionieri della “Garibaldi Guard” nordista (39° Reggimento Fanteria New York), solo in piccola parte composta da italiani di ispirazione garibaldina e mazziniana, presi dopo essersi arresi senza perdite nella battaglia di Harpers Ferry del 12-15 settembre 1862, con dimostrazione di valore da parte dei borbonici e vigliaccheria da parte dei garibaldini, che sarebbero stati definiti “home made yankees” dal loro capitano Joseph Santini, sempre secondo questo racconto. La “Italian Legion”, parte del 5° reggimento denominato “Cazadores Espanoles”, sarebbe stata denominata “Bourbon Dragoons Battalion”.1 Questa dettagliata narrazione è stata pubblicata per la prima volta su internet nel giugno 2006 da Pierluigi Rossi, che ha comunque il merito di aver rintracciato centinaia di nominativi italiani presenti nelle forze armate confederate,2 ed è stata in buona parte riportata, assieme ad altre notizie e documenti, da Emanuele Cassani, con ulteriori informazioni ricevute da Rossi, nella prima pubblicazione specifica in lingua italiana lodevolmente dedicata agli italiani nella guerra civile americana schierati sia con l’Unione che con la Confederazione.3 Essa è poi stata ripresa e divulgata, oltre che da numerosi articoli e siti web, anche da noti scrittori in libri e articoli su quotidiani nazionali, ed è “rimbalzata” anche in pagine in lingua inglese.4 Da una verifica, però, risulta che essa è completamente priva di qualsiasi riscontro documentale, di qualsiasi fonte primaria, totalmente ignorata nelle opere di storici specialisti che si sono occupati degli italiani nella Guerra di Secessione, in palese contraddizione con i fatti storici documentati e accertati: appare una ricostruzione storica sostanzialmente fantasiosa.5 Paolo Poponessi, nel suo ottimo lavoro sulla presenza italiana nella Guerra Civile Americana,6 la riporta utilizzando giustamente il condizionale. Da una sua verifica, appare che la nave “Elisabetta” giunse effettivamente a New Orleans nel marzo 1861, sbarcando solo 28 passeggeri italiani maschi, provenienti dalla Sicilia, che dichiaravano di essere commercianti, e risultavano quasi tutti in età compatibile con il reclutamento. Solo alcuni dei cognomi di tali passeggeri corrispondevano a militari inquadrati nelle truppe confederate. Verificando la stessa fonte7, si sono riscontrati 24 passeggeri italiani maschi, provenienti dalla Sicilia, di cui solo 15 erano sicuramente in età compatibile con il servizio militare, poiché molti erano adolescenti. Risultavano arrivati a New Orleans in quello stesso anno 171 passeggeri maschi italiani, di cui una decina in età non compatibile con il servizio militare (adolescenti, bambini, persone molto anziane), altri originari dell’Italia centro-settentrionale, altri di incerta identificazione. Le navi da cui sbarcarono erano: “Elisabetta”, “Carrier de Nueva Orleans”, “Favorita”, “Sineto”, “Corallo”, “George Green”, “Silencio”, “Red Fox”, “Liguria”, “Mount Vernon”, “Brilliante”, “Tennessee”, “Angela”, “Constitucion”, “Giovanni Battista”, “Juniper”, “Egyset”, “Pequot”, “Sei Fratelli”, “Cahawba”, “Bienville”, “Adelaide Bell”, “Concettino”, “Stephen Conwell”. Non erano, quindi, quelle indicate nella sopra riportata narrazione, tranne la “Elisabetta” e, forse, la “Sei Fratelli”, corrispondente alla citata “Due Fratelli”. Come è evidente, si tratta di numeri molto inferiori, appena un ventesimo, rispetto agli oltre 2000 prigionieri borbonici che la succitata narrazione sostiene siano arrivati a New Orleans in quell’anno, e non esiste alcuna prova che essi fossero veterani dell’esercito delle Due Sicilie. Essi erano, a quanto pare, gli ultimi emigranti giunti prima della Guerra Civile, parte di un fenomeno che, seppure embrionale, vedeva già presenti negli Stati Uniti almeno 11.000 italiani. La Louisiana era lo Stato del Sud con la più grande comunità di italiani, provenienti in prevalenza del nord e centro Italia, ma con una rilevante presenza anche di meridionali, e con alcuni rifugiati dopo le rivoluzioni del 1848.8 È possibile che, tra i meno di 100 italiani meridionali adulti arrivati in Louisiana nel 1861, ci fosse qualche ex militare borbonico, ma si tratterebbe di casi individuali, nell’ambito di una normale emigrazione, non certo di una massiccia deportazione di migliaia di prigionieri, come quella descritta nella citata e fantasiosa narrazione. Le fonti di questa si limitano a citare due esempi di ex militari borbonici, quello di Salvatore Ferri da Licata e quello di Antonio Anselmi di Foggia, che andrebbero comunque verificati: tali nominativi non risultano tra quelli sbarcati a New Orleans nel 1861 e potrebbero essere arrivati prima degli eventi italiani del 1860, o potrebbero essere omonimi di militari duosiciliani. A Licata si riscontra il cognome “Ferro” e non “Ferri”, e un “Salvatore Ferro” risulta addirittura nell’elenco dei volontari garibaldini consultabile nel sito dell’Archivio di Stato di Torino. Nell’elenco dei militari confederati della Louisiana, in realtà, risulta che Salvatore Ferri, o Ferro, o Ferre, nato in Sicilia, fosse un commesso, già residente a Mobile, in Alabama, prima che a New Orleans.9 Sicuramente molti cognomi presenti nelle liste di militari sudisti italiani sembrano meridionali, mentre molti altri nomi sono di non meridionali, come, ad esempio, gli stessi comandanti della “Italian Guards Battalion”, maggiore Giuseppe Della Valle (con due suoi familiari), originario di Nizza, e della “Garibaldi Guards”, capitano Giuseppe Santini, originario della Corsica (un altro corso tra i militari confederati fu Paul Sanguinetti, in Virginia), anche se proveniente da Trieste, emigrato molti anni prima dello scoppio della guerra civile (nel 1841 era già a New Orleans), e divenuto poi celebre per un cocktail da lui creato, il “Brandy Crusta”.10 La “Garibaldi Guard si costituì nel gennaio 1861, due mesi prima dell’arrivo della nave “Elisabetta”, e non risulta che avesse cambiato nome nel 1862: in un documento dell’aprile di quell’anno, pochi giorni prima della caduta di New Orleans nelle mani dei nordisti e dello scioglimento dell’unità, essa veniva ancora chiamata “Garibaldi Guard”.11 Allo stesso modo, non risulta che venisse usato il nome “Bourbon Dragoons”: sia pur considerando che i Borboni erano regnanti anche in Spagna, e che i “Cazadores Espanoles” avrebbero potuto riferirsi ai loro sovrani, e non al ramo napoletano della stessa dinastia, non sembrano esserci documenti che attestino l’uso di tale denominazione. Quanto all’asserito scontro tra italiani “sudisti” e “garibaldini” nordisti ad Harpers Ferry, né le unità sudiste della Louisiana composte in tutto o in buona parte da italiani, né il capitano Santini (peraltro, di origine corsa e mai stato nell’esercito borbonico) presero parte a tale battaglia: la “Garibaldi Guards” nordista, invece, fu effettivamente presente, riportando 4 morti e 15 feriti.12 Sulla base di documenti diplomatici, Poponessi ricostruisce, invece, la preoccupazione del governo dell’Unione per tentativi di trovare in Italia armi o vascelli per i “ribelli” confederati, espressa dal diplomatico George Marsh già nel giugno del 1861, e poi in successive comunicazioni, in cui si paventava anche l’arrivo in Italia di una nave costruita in Inghilterra per i confederati, la “Southerner”, di cui avrebbe dovuto assumere il comando il capitano sudista Page, segnalato a Firenze, per esercitare la guerra di corsa, o “pirateria” secondo il governo dell’Unione. Il Primo Ministro e Ministro degli Esteri italiano Bettino Ricasoli, assicurò che il suo governo avrebbe vigilato per impedire una tale attività, pur facendo stato della difficoltà di esercitare un controllo assoluto e capillare di tutte le coste italiane. Altro non risulta dai documenti esaminati.13 Non risulta alcun reclutamento di volontari o ex prigionieri verso la Confederazione. Come è noto, il governo del Regno d’Italia mantenne sempre buone relazioni con quello dell’Unione, mentre non riconobbe mai il governo della Confederazione. Delle migliaia di prigionieri provenienti dalle sconfitte forze armate delle Due Sicilie, invece, si conosce bene quale fu il destino: quelli non incorporati immediatamente nelle nuove forze armate italiane o congedati furono inviati per nave a Ischia, Capri, Procida, Baia, Ponza e finalmente a Genova, e da lì in vari luoghi di detenzione in Nord Italia, in attesa che si definisse la loro posizione: dopo alcuni mesi, anch’essi furono incorporati nelle forze armate italiane o congedati. In nessun documento si trova traccia di un loro invio oltreoceano.14 Come pure non si trova traccia del progetto di deportazione degli stessi in Australia, richiamato nella citata narrazione. Di deportazione di condannati, e non di prigionieri di guerra, si parlò, se ne discusse anche sui giornali e in Parlamento, solo negli anni seguenti, senza trovare alcuna applicazione concreta, mentre fu applicato un esperimento di domicilio coatto in Eritrea nel 1898, chiuso rapidamente nel 1899: niente a che vedere, quindi, con i prigionieri provenienti dall’esercito borbonico del 1860-1861.15 La deportazione era un istituto politico esistente, invece, nel Regno delle Due Sicilie, come testimoniato dall’episodio del tentato invio di alcuni detenuti politici, tra cui Pica, Poerio e Spaventa, negli Stati Uniti, conclusosi però con il dirottamento della nave in Irlanda, nel 1857. Il governo di Napoli aveva stipulato nel 1819 una apposita convenzione con il Regno unito del Brasile, del Portogallo e dell’Algarve per inviare i suoi prigionieri nelle colonie portoghesi in Africa e in America, senza costituirne di proprie: nel 1820 furono deportati in tal modo circa 300 detenuti. Dopo un tentativo presso il governo del Cile, nel 1851, una convenzione simile, per il trasferimento di 600 detenuti, fu firmata dal governo delle Due Sicilie con la Repubblica Argentina, il 9 ottobre 1856.16 Il Regno di Sardegna aveva pensato alla deportazione negli anni successivi al 1850 e precedenti l’Unità, ma cercando di ottenere dal Portogallo la sovranità sui territori in cui impiantare le colonie penali. Oltre che al Mozambico e all’Angola, furono prese in considerazione anche le isole Solor, situate nell’arcipelago indonesiano a est di Flores e a nord di Timor, che erano sotto la sovranità portoghese, prima di essere cedute ai Paesi Bassi nel 1854. Contatti in tal senso con il governo di Lisbona furono poi ripresi in occasione del matrimonio tra Don Luigi, re del Portogallo, e la principessa Maria Pia di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele II, nel 1862 e poi nel 1869, ma senza esito.17 Una evidente incongruenza nella citata narrazione è il coinvolgimento di Garibaldi, e dello stesso Wheat, nell’asserito reclutamento destinato alle forze armate sudiste. Come è noto, l’ultimo giorno del potere di Garibaldi nelle terre liberate dal potere borbonico fu il 7 novembre 1860, in quanto il giorno seguente, 8 novembre 1860, ogni potere fu ceduto al governo del Regno di Sardegna: Garibaldi partì da Napoli per Caprera nella notte tra l’8 e il 9 novembre, proprio su una delle navi che la narrazione indica come partecipante al fantomatico trasporto di prigionieri, la “Washington”. Ebbene, solo l’8 novembre cominciò a diffondersi la notizia della vittoria di Lincoln nelle elezioni presidenziali americane, ovvero quando il potere di Garibaldi in Italia meridionale era ormai cessato. Questa elezione, che doveva ancora essere confermata dalla votazione del Collegio dei grandi elettori (lo sarà solo il 5 dicembre 1860), peraltro, non implicava ancora la secessione, che cominciò solo il 20 dicembre 1860, in North Carolina, e non vi era alcuna certezza che la secessione avrebbe portato alla guerra civile, che iniziò solo il 12 aprile 1861. Pertanto, oltre alla assoluta inesistenza di qualsiasi documentazione al riguardo, la citata narrazione risulta non coincidente con gli eventi storici, poiché al momento della conclusione del potere di Garibaldi nel Mezzogiorno non si conosceva ancora il risultato delle elezioni presidenziali americane. Lincoln non era ancora Presidente degli Stati Uniti, non si era avuta ancora nessuna secessione, non si era formata la Confederazione degli Stati Americani, non era scoppiata la Guerra Civile. Garibaldi, inoltre, fu sempre convintamente e attivamente antischiavista già dai tempi del Sudamerica (1835-1848), rifiutò di capeggiare gli insorti cubani nel 1850 perché essi non si proponevano l’abolizione della schiavitù, rifiutò poi un alto comando militare propostogli da Lincoln proprio perché il Generale poneva come condizione la previa abolizione della schiavitù negli Stati Uniti, non ancora approvata: mai avrebbe favorito il rafforzamento degli Stati che erano per il mantenimento della schiavitù. Wheat, rientrato prima in Inghilterra e da lì tornato in Louisiana, morì al comando di una unità di volontari, detti le “Wheat’s Tigers”, che non raggruppava nuclei di italiani, che erano invece presenti in altre unità militari sudiste.18 Quanto a Cavour e a Liborio Romano, il primo, come capo di governo, mantenne sempre buoni rapporti con il governo di Washington, e non avrebbe potuto favorire il rafforzamento di forze ribelli a tale governo amico senza suscitarne le proteste, di cui non vi è alcuna traccia. Il secondo è stato ingiustamente vittima di una “leggenda nera” creata in ambienti antirisorgimentali, che ne ha travisato l’operato, teso evitare inutili spargimenti di sangue nella presa di Napoli da parte di Garibaldi, tacciandolo anche di aver abbandonato il Re Borbone: tale superficiale lettura dei fatti storici non tiene conto che Liborio Romano, già vittima dei Borboni per le sue idee politiche, era un esponente dell’opposizione liberale e costituzionale all’assolutismo borbonico, e che proprio in tale veste era stato chiamato al governo, nel tentativo di trovare un compromesso con l’opposizione stessa, che stava ormai travolgendo quel regime. Come nuovo capo della Polizia, e poi Ministro degli Interni, egli semplicemente dovette gestire una situazione estremamente complessa, e riuscì in tale difficile compito.19 La citata narrazione ha pensato di attribuirgli un ruolo anche in questa indimostrata, fantomatica deportazione, che mai Liborio Romano avrebbe avvallato. Infatti, egli, oltre a difendere il “glorioso esercito meridionale” (ovvero l’esercito garibaldino, costituito in maggioranza da volontari meridionali), da deputato del Regno d’Italia, e in qualità di “uno degli uomini più popolari a Napoli”, si batté anche in difesa dei militari del “disciolto esercito reale”, che avrebbe voluto incorporati nell’esercito italiano.20 Al di là dell’evidente incongruenza, resta l’assoluta mancanza di qualsiasi documentazione a supporto di questa fantasiosa cooperazione tra Wheat, Garibaldi Cavour e Romano tesa a inviare oltreoceano i prigionieri borbonici, come pure dello stesso preteso invio. I nomi delle navi citate, assieme alla “Elisabetta”, quali trasporti nella asserita deportazione non erano altro che quelli delle navi appartenenti alla Marina dittatoriale siciliana, ovvero la Marina del governo provvisorio garibaldino del Sud, che furono usate soprattutto per trasportare volontari, armi e rifornimenti dal nord Italia alla Sicilia e dalla Sicilia alla penisola. Non si ha nessuna notizia di loro viaggi transatlantici. In buona parte erano state acquistate in Europa dal cittadino statunitense William De Rohan21, appartenente a una importante famiglia di armatori di Filadelfia, i Dahlgren, con la quale aveva però rotto i rapporti, adottando il cognome della madre francese. De Rohan, con le sue navi, ebbe un ruolo importantissimo nella campagna garibaldina del 1860, garantendo il trasporto di truppe, rifornimenti, armi e partecipando anche all’assedio di Gaeta, rivestendo il grado di ammiraglio. De Rohan, peraltro, è ricordato per essere stato convintamente “nordista” e mai avrebbe accettato di trasportare truppe per i ribelli confederati.22 Non si ritrova traccia della citata nave denominata “Oliphant” o “Olyphant”: tale nome coincide con quello di Laurence Oliphant, viaggiatore, giornalista, diplomatico, intellettuale e mistico, che era con Garibaldi nel 1860 e viene spesso indicato come “agente inglese”, nell’ambito delle ipotesi sul presunto ruolo dei servizi segreti inglesi nelle vicende risorgimentali.23 La realtà dei fatti vede circa un migliaio di italiani, emigrati o discendenti da emigrati, o con nomi italiani, arruolati nelle forze armate della Confederazione.24 Le unità militari del Sud con il maggior numero di italiani provenivano dalla Louisiana, lo Stato confederato con la maggiore presenza di immigrati italiani. New Orleans, che era allora la città più popolosa degli Stati Confederati, aveva una percentuale molto alta di stranieri, e quando cominciò la secessione, praticamente ogni gruppo etnico formò le sue unità. Gli italiani già presenti in Louisiana tentarono di formare un battaglione, chiamato "Garibaldi Legion" o, in alternativa, “Garibaldi Guards”: circa 170 italiani si offrirono volontari. Il 21 febbraio 1861 fu preparata e perfettamente equipaggiata la "prima compagnia delle Garibaldi Guards" o semplicemente “Garibaldi Guards”. Il 19 marzo 1861 la “Garibaldi Guards” sfilò per le strade di New Orleans, in uniformi che richiamavano i volontari garibaldini d’Italia, giacca rossa e coccarda tricolore. Gli ufficiali, tutti italiani, erano: il capitano Gaudenzio Marzoni (o Manzoni, entrambi cognomi prevalentemente lombardi), poi divenuto maggiore e sostituito dal citato capitano Giuseppe (o Joseph), Santini (originario della Corsica), il sottotenente Ulisse Marinoni (di Brescia, esule politico dopo i moti del 1848, in America dal 1850) e il sottotenente Ernesto Baselli (cognome prevalentemente lombardo). Non avendo raggiunto il numero di uomini necessario per formare un’unità autonoma, la "prima compagnia Garibaldi Guards", fu incorporata nel reggimento dei “Cazadores Españoles-Spanish Hunters”, di cui divenne la compagnia F; Infine, caduta New Orleans nelle mani dell’Unione, all’inizio del maggio 1862 la Garibaldi Guards si sciolse. La seconda unità militare sudista composta prevalentemente da italiani fu l’Italian Guard Battalion, posto al comando del Tenente Colonnello Giuseppe (Joseph) Della Valle (l'italiano con il grado più alto raggiunto nelle forze armate della Confederazione, se si eccettuano il generale Taliaferro, di lontane origini italiane, e lo stesso generale Beauregard, il “Napoleone in grigio”, di ascendenza italiana da parte della madre, Judith de Reggio25), parte del 6° Reggimento della Milizia della Louisiana, detto “European Brigade”, un’unità che raggruppava 4500 stranieri non naturalizzati, tra cui i 500 italiani, così organizzati: una squadra di genieri, una banda militare al quartier generale e 5 compagnie, di cui le prime quattro erano composte prevalentemente da italiani. Questi i comandanti di tali compagnie: 1a Compagnia Capitano Giuseppe Lavizza; 2a Compagnia Capitano Enrico Piaggio; 3a Compagnia Capitano Giuseppe Villiot; 4a Compagnia Capitano Giuseppe Paoletti; 5a compagnia Capitano Leopold Fournier.26 Così come la “Garibaldi Guards”, l’”Italian Guard Batallion” rimase a difesa di New Orleans, mantenendo l'ordine, prevenendo anche un incendio e la conseguente distruzione della città, invocato dai ribelli, fino alla resa della stessa New Orleans, il 29 aprile 1862, al generale nordista Butler. Nel maggio 1862 l'unità venne sciolta, analogamente alle Garibaldi Guards. Tra gli arruolati nell’Italian Guard Batallion, circa un’ottantina erano originari dell’isola di Ustica, emigrati negli anni precedenti lo scoppio della guerra civile. Nella “European Brigade” erano compresi anche gli “Slavonian Rifles” (incorporati nei “Cazadores Españoles”) e le “Austrian Guards”, con riferimento ai territori di origine, soggetti in quel periodo alla sovranità austriaca: anche in quei reparti, però, si ritrovano nominativi chiaramente italiani, evidentemente perché la presenza italiana in regioni appartenenti all’epoca all’impero austriaco, come il Veneto, il Trentino, il Friuli, la Venezia Giulia e la Dalmazia, era prevalente o, comunque, consistente. Altri nominativi italiani si ritrovano in molti altri reparti delle forze armate sudiste. Nel 10° Reggimento di Fanteria della Louisiana, detto anche “Legione straniera di Lee”, poiché comprendeva uomini provenienti da ben 22 Paesi, la prima compagnia, nota anche come “Orleans Tirailleurs”, aveva gli italiani come maggior gruppo etnico, con almeno 25 militari secondo Alduino-Coles, 37 secondo Rossi-Cassani. In quel reggimento si militava addirittura un Garibaldi, Pierre! Nella compagnia K del 1° Reggimento Fanteria della Louisiana risultava inquadrato un altro Garibaldi, Anthony, nativo di Spalato in Dalmazia. Troviamo altri nomi italiani tra gli Zuavi della Louisiana, in particolare tra gli Avegno’s Zouaves, che prendevano il nome dal maggiore Anatole Placide Avegno, figlio di Philippe Giuseppe, nato a Camogli presso Genova, caduto nella battaglia di Shiloh nel 1862 a 27 anni.27 Altri italiani erano presenti in varie unità della Louisiana, come alcuni Taliaferro, non imparentati con il generale (un altro Taliaferro militò nelle truppe dell’Arkansas), o come Frank Casserino. In Alabama, molti italiani, tra cui i volontari che avevano formato la “Southern Star Guard”, furono incorporati nel 21° Reggimento di Fanteria di quello Stato. In esso, le due compagnie formate da stranieri erano la G, “Spanish Guards”, e la H, “French Guards”, che comprendevano molti italiani, come Sylvester (Silvestro) Festorazzi, lombardo, che fu comandante prima della “Southern Star Guard” e poi della compagnia G, in cui vi erano forse 20 o 30 italiani. Festorazzi, emigrato prima della Guerra Civile, successivamente divenne viceconsole d’Italia a Mobile. Altri nominativi di chiara origine italiana si ritrovano in un’altra unità dell’Alabama, il 1° Mobile Volunteers. In Virginia, tra le truppe della riserva c'era il 19° Reggimento della Riserva, poi denominato 2° Regiment Virginia State Reserves, formato da stranieri, che contava tra le sue compagnie la "Compagnia italiana", la K, formata da italiani già lì residenti e comandata dal capitano Alfred Pico. Altri militari di origine italiana furono arruolati in varie unità della Virginia: tra di essi, è molto noto il caso di John (Giovanni Battista) Garibaldi, inquadrato nel 27° Fanteria della Virginia. Nato a Lavagna, vicino a Genova, tra il 1830 e il 1832, John Garibaldi era emigrato in America nel 1851, svolgendo la professione di meccanico. Combatté con l’esercito confederato in sanguinose battaglie, fu preso prigioniero due volte, poi liberato, e rimase al fronte fino alla resa della Confederazione. Ha lasciato una importante testimonianza della Guerra Civile attraverso le sue lettere alla fidanzata, poi moglie e madre dei suoi cinque figli (uno dei quali chiamato Robert Lee, evidente omaggio al capo dell’esercito confederato), Sarah Poor. Ben tre Garibaldi, quindi, combatterono nelle fila dell’esercito confederato! Nel Tennessee risultavano inquadrati alcuni italiani, in particolare A.B. Vaccaro, nel 3° Forrest’s Cavalry, e B. Vaccaro, nel 154° Fanteria. Entrambi provenivano dalla zona di Genova, immigrati rispettivamente nel 1852 e nel 1850. Nelle truppe del Mississippi risultavano vari italiani: Luigi Podesta, immigrato nel 1847 da Genova, inquadrato prima in una milizia locale di Natchez, e poi nel 12° Reggimento del Mississippi; Frank J. Arrighi, capitano del 16° Fanteria di quello Stato; Giovanni Fizzotti, inquadrato nello stesso reggimento; David C. e John C. Rietti, nel 10° Fanteria. Nella Carolina del Sud, la compagnia G del 1° Reggimento Charleston Guards aveva molti nominativi italiani, oltre la metà, tra cui anche il primo comandante, il capitano Antonio Moroso, residente in America da una quindicina di anni. Nelle truppe del Texas combatterono i fratelli Philip e Decimus et Ultimus Barziza, figli del nobile veneziano Filippo Ignazio, emigrato in Virginia nel 1814. Decimus et Ultimus, capitano, fu ferito e catturato nella battaglia di Gettysburg, ma poi riuscì a fuggire. Lasciò un’importante testimonianza nel suo scritto Adventures of a Prisoner of War, e fu poi deputato al Congresso dello Stato del Texas. Anche se non combattente, un italiano dal cognome famoso operò come “cappellano militare di fatto” tra le truppe sudiste, assistendo a volte anche militari nordisti: si tratta del padre gesuita Giuseppe Bixio, fratello maggiore del protagonista del Risorgimento Nino Bixio, del quale, come è evidente, non condivideva le scelte rivoluzionarie, democratiche e anticlericali. Giunto in America nel 1848, allo scoppio della Guerra Civile si trovò ad operare in una parrocchia della Virginia posta sulla linea di confine tra Unione e Confederazione, che attraversò più volte per svolgere la sua attività di conforto spirituale e materiale per le truppe e la popolazione. Almeno un italiano prestò servizio nella Marina Confederata: si tratta di A.G. Bartelli, o Giovan Battista Bartelli. Già nella marina mercantile, nel 1863 a Città del Capo si imbarcò sulla CSS Alabama come assistente del capitano Raphael Semmes. Bertelli fu uno dei marinai che annegarono a Cherbourg in Francia, quando il famoso incrociatore soccombette in uno scontro con la nave unionista l'USS Kearsarge.28 In conclusione, si può affermare che la quasi totalità degli italiani arruolati con i “sudisti” era costituita da persone già residenti in loco, provenienti da varie regioni italiane, solo in parte da quelle meridionali, e non appartenenti al disciolto esercito delle Due Sicilie.29 La leggenda di migliaia di soldati dell’esercito borbonico deportati in America a combattere per i sudisti sembra essere nata solo nel primo decennio di questo secolo, nell’ambito di una riscrittura “creativa” della storia del Risorgimento, tesa a screditare i “vincitori”, ovvero i fautori dell’Unità d’Italia e dello Stato liberale, e a rivalutare i “vinti”, ossia i tradizionalisti, clericali e fautori dello Stato assoluto e nobiliare, in particolare del borbonico Regno delle Due Sicilie: un “revisionismo” basato quasi sempre non su documenti e prove oggettive, ma su deduzioni e, spesso, su autentiche invenzioni. Dichiaratamente, si è accostato il Sud d’Italia al Sud degli Stati Uniti d’America, visti entrambi come vinti e conquistati,30 forzando palesemente la realtà storica, che vide il Sud italiano ribellarsi ripetutamente e massicciamente al regime borbonico, con lo scopo di ottenere una costituzione e poi di formare uno Stato unitario, mentre invece la popolazione del Sud degli Stati Uniti, almeno quella di origine europea, si batté abbastanza compattamente per l’indipendenza della Confederazione. Qualche tratto in comune si potrebbe trovare nella difesa dell’ordine sociale tradizionale, contro i cambiamenti politici conseguenti a quelli economici e sociali. Il fascino del romanticismo dei gentiluomini del Sud degli States, reso celebre dal romanzo, e dal film, “Via col vento”, con anche il disincantato Rhett Butler che, quando tutto appare ormai perso, lascia i suoi lucrosi traffici per arruolarsi volontario nell’esercito confederato, deve aver giocato il suo ruolo nella nascita della leggenda dei “borbonici sudisti”. Non si tratta, però, di storia, ma di immaginario. La realtà storica vede consistenti gruppi di italiani, già residenti in America e provenienti da ogni parte d’Italia, combattere per quella che consideravano la loro patria, la Confederazione. Se è vero che gli italiani liberali, repubblicani, democratici, e lo stesso Garibaldi, erano vicini e spesso apertamente schierati per la causa antischiavista portata avanti dal Nord (tra i tanti, anche il generale dell’esercito dell’Unione Enrico Fardella di Torrearsa, siciliano, già ufficiale dell’esercito delle Due Sicilie, ma che aveva aderito alla causa risorgimentale, partecipando ai moti del 1848 e alla spedizione dei Mille),31 è altrettanto vero che lo spirito garibaldino di lotta per la libertà e l’indipendenza dei popoli fu fatto proprio anche dagli italiani che vivevano nella Confederazione: oltre ai tre Garibaldi che effettivamente combatterono con i “ribelli”, il nome del Generale, in quel momento sicuramente l’italiano più popolare al mondo, fu dato, oltre che alla citata unità nordista, anche agli analoghi reparti confederati, in cui soffiava quello che suggestivamente Poponessi definisce “il vento garibaldino nel Sud”.32
Antonio Trinchese
Note
1. Ringrazio Roberto Cinquegrana per avermi fornito la notizia e lo spunto per questo mio articolo. 2. P. Rossi Pierluigi, , Il Regio Esercito Borbonico nell’Esercito Confederato, consultato il 12 febbraio 2025; idem, “Soldati borbonici nella guerra di secessione”, in L’Alfiere, novembre 2008 ; Rossi ed E. Cassani hanno fornito l’indicazione del testo ove reperire le informazioni sui militari confederati della Louisiana, ovvero A. B. Booth, Records of Louisiana Confederate soldiers and Louisiana Confederate commands ,New Orleans, La., 1920, 3. E. Cassani, Italiani nella guerra civile americana, Prospettiva, Civitavecchia (Roma), 2006, pp. 37-69 e 75-76. Ringrazio l’autore per le ulteriori indicazioni fornitemi con comunicazioni personali. 4. Tra gli altri, M. Veneziani, E negli Usa c’è aria di guerra civile, La Verità, 4 novembre 2020; R. Cammilleri, Quella rivincita borbonica nella guerra di Secessione, in Il Giornale, 29 dicembre 2013; G. Oneto, I borbonici venduti al generale Lee, in Libero, 17 novembre 2010; idem, Unità o libertà. Italiani e padani nella guerra di Secessione americana, Il Cerchio, Rimini, 2012. 5. F. W. Alduino - Coles, D.J., Sons of Garibaldi in blue and gray. Italians in American Civil War, Cambria Press, Youngstown-New York, 2007; E. Lonn, Foreigners in Confederacy, The University of North Carolina Press, Chapel Hill 2002 (1940) 6. P. Poponessi, Dixie, La storia italiana della Guerra Civile Americana, Il Cerchio, Rimini, 2015, pp. 81-86. Ringrazio l’autore per le indicazioni fornitemi con comunicazione personale. 7. Louisiana. Passenger Lists 1820-1945. 8. Alduino - Coles, D.J., cit., p. 301; Lonn cit., p. 12; Poponessi, cit., pp. 29, 39 9. Booth, cit., vol. II, part 2, p. 836 10. Armin, Joseph Santini, 9 luglio 2017, consultato il 7 aprile 2025. 11. C. Auditore, Italiani nell’esercito confederato, Italiani nell'esercito confederato - Italiani nella Guerra Civile di Secessione Americana 1861-1865, Garibaldi Guards 16.11.2009 12. C. Catalfamo, Catherine, The Thorny Rose: The Americanization Of An Urban, Immigrant, Working Class Regiment In The Civil War. A Social History Of The 39th New York Volunteer Infantry consultato il 1° aprile 2025. 13. Poponessi, cit., pp. 84-86. 14. A. Barbero, I prigionieri dei Savoia, Laterza, Bari, 2012, pp. 19 e ss. 15. O. De Napoli, Olindo, Selvaggi criminali, Laterza, Bari, 2024. 16. De Napoli cit. pp. 5, 10. 17. E. De Leone, Le prime ricerche di una colonia e la esplorazione geografica, politica ed economica, in L’Italia in Africa, volume secondo, Ministero degli Affari Esteri, Roma, 1955, pp. 28-29. 18. Poponessi, cit.; Cassani, cit. 19. C. Pinto, Romano, Liborio, in «Dizionario Biografico degli italiani», Treccani 20. Barbero, cit., p. 151 e note 74 e 75 21. L. Radogna, Storia della Marina Militare delle Due Sicilie (1734-1860), Mursia, Milano, 1978, pp. 177-182; D. Messina, Il garibaldino di Filadelfia, 13 luglio 2013. 22. During the civil war he was intensely loyal to the north, in «Career of De Rohan», Los Angeles Herald, Volume 36, Number 66, 23 June 1891. 23. G. Esposito, Ippolito, Ercole e Oliphant nella spedizione dei mille, consultato il 7 aprile 2025. 24. Le informazioni di seguito riportate provengono prevalentemente da Poponessi, cit., pp. 39-105; Alduino - Coles. cit., pp. 300-308, e Lonn, cit., pp. 110-114. 25. T. H. Williams, P.G.T. Beauregard: Napoleon in Gray. Baton Rouge: Louisiana State University Press, 1955. 26. Civil War Talk Consultato il 2 aprile 2025. 27. Maj Anatole Placide Avegnoconsultato il 2 aprile 2025. 28. G. Perri, I soldati ex borbonici che combatterono nella Guerra civile americana, il 7 Magazine - Brindisi, 18 settembre 2020. Consultato il 2 aprile 2025. 29. Cfr. A. Bonvini, Risorgimento atlantico, Laterza, Bari, 2022, pp. 234-243. L’autore, docente di Storia presso l’Università di Salerno, che nella sua tesi di dottorato aveva brevemente accennato alla narrazione che qui si confuta, non l’ha poi inserita nel testo pubblicato, non avendone trovato alcuna conferma negli archivi, riscontrando che la quasi totalità degli “italiani confederati” risultava già residente in America. Ringrazio l’autore per i chiarimenti fornitimi con comunicazione personale 30. Esempi di questa visione sono dati dall’articolo di Ettore, “L’assassinio di un altro Sud”, in L’Alfiere, dicembre 2009, e il video su youtube in cui Edoardo Vitale, direttore de L’Alfiere, narra la fantasiosa vicenda di cui si tratta. 31. Poponessi, cit., p. 34 32. Poponessi, cit., p. 39
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