Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

“Marocchinate” di ieri, “marocchinate” di oggi

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Dopo quelle del 2022 anche quest’anno a Milano sono state commesse aggressioni sessuali di gruppo durante i festeggiamenti di Capodanno in piazza Duomo.

Così come nel 2016 a Colonia, le modalità con cui si sono svolte tali violenze risultano identiche: individuate le vittime e approfittando della confusione, gli aggressori hanno circondato le malcapitate e le hanno trascinate all’interno di un cordone di complici - uno esterno di copertura e uno interno - per essere palpeggiate, spogliate e rapinate.

Per tutti questi casi, gli autori degli stupri si sono rivelati essere immigrati nordafricani e - da noi - anche (falsi) italiani di seconda generazione, che agiscono in perfetta sincronia, come se stessero applicando una tecnica ben rodata e già conosciuta. E in effetti i protagonisti delle violenze e le modalità di svolgimento di quest’ultime appartengono ad un ben preciso ambito: quello del taharrush jama’i islamico importato dal Nordafrica.

Purtroppo fatti del genere ricordano qualcosa di già visto dalle nostre parti, anche se ormai sono passati la bellezza di ottant’anni e il contesto era nettamente diverso.

Si tratta delle cosiddette “marocchinate”, cioè gli stupri collettivi e indifferenziati di donne, uomini, anziani e ragazzi, di cui si resero protagoniste le truppe coloniali francesi durante la risalita della Penisola, dopo lo sbarco alleato in Sicilia del 1943.

Questi soldati - detti goumiers, di nazionalità tunisina, algerina e marocchina - erano aggregati al Corps Expéditionnaire Français (CEF) e operarono insieme agli Alleati sul fronte della Linea Gustav tra il maggio-giugno 1944. Combattenti molto abili, fu proprio grazie a loro che gli Angloamericani riuscirono a forzare la difesa tedesca, che aveva come caposaldo Montecassino, e sfondare il fronte all’altezza dei monti Aurunci nel basso Lazio.

Per tutta la permanenza in Italia, fino al loro imbarco per la Provenza dai porti toscani nell’agosto 1944, i goumiers si macchiarono di azioni brutali contro i civili, violentando e derubando chiunque capitasse sulla loro strada: l’epicentro di queste violenze fu la Ciociaria, così come tragicamente raccontato dal film di Vittorio De Sica del 1960 - “La Ciociara” - interpretato da Sophia Loren e basato sull’omonimo romanzo di Alberto Moravia.

Tali violenze non scaturivano solo dal contesto della guerra - e in particolare dallo spirito di vendetta dei Francesi - ma da una vera e propria «vocazione ancestrale alla violenza sessuale» dei soldati nordafricani, per i quali lo stupro rappresentava un atto di dominio sulle popolazioni sottomesse, reso ancora più gratificante poiché attuato contro donne bianche europee, in una sorta di rivalsa razziale contro il potere coloniale.

Sono passati decenni e ora i nipoti e pronipoti di quei soldati continuano a perpetrare questo sfregio nelle nostre città, forti di una copertura politico-mediatica che minimizza, quando non giustifica, questi atti in nome del quieto vivere antirazzista (tra l’altro proprio il ricordo delle “marocchinate”, così come accade per le Foibe, è stato più volte ostacolato dalla Sinistra per stolta propaganda antifascista).

Lo ha denunciato anche Alessandra Verni, mamma di Pamela Mastropietro, uccisa a Pescara nel 2018 e fatta a pezzi da criminali nigeriani, che in una lettera a Papa Francesco così si è espressa: «Sono consapevole del Suo appello costante all’accoglienza, ma ciò che vedo ogni giorno è un’accoglienza fuori controllo, non equilibrata.

Molti di coloro che arrivano nel nostro Paese con i barconi, come i carnefici di mia figlia, non desiderano integrarsi, non vogliono rispettare la nostra cultura, la nostra gente, il nostro vivere civile, la nostra religione. Lo dichiarano loro stessi, lo vediamo con i nostri occhi nelle strade e nei resoconti delle trasmissioni televisive e testate giornalistiche».

Ironia della sorte fu proprio a seguito dell’omicidio di Pamela Mastropietro che femministe e PD scesero in piazza per manifestare la loro solidarietà non per la vittima, ma per l’antirazzismo! E come dimenticare le attiviste di “Non una di meno” in posa con un cartello e la scritta: “Migranti non lasciateci sole con i fascisti”?

Ne è stata ben conscia la compianta Ida Magli, che in un articolo del 2014 intitolato “Il conto degli sbarchi lo pagheranno le donne” scriveva: «Nessuno si illuda che dando loro la cittadinanza italiana, come è stato proposto da alcuni partiti, diventino italiani. Non è l’anagrafe a creare i popoli e la loro cultura» e aggiungeva che, nonostante la loro attuale consapevolezza, le donne «sono però in qualche modo fragili, poeticamente alla ricerca di un amore “diverso”, vagheggiando un maschio sessualmente e psicologicamente forte, capace di dominare, tipi ormai rarissimi da trovare fra gli italiani». Quest’ultimi, infatti, continuamente accusati di essere stupratori potenziali perché bianchi e patriarcali...ma solo loro.

 

Gianluca Rizzi

 

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