Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il rischio nei processi decisionali

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Decidere è un atto al quale è impossibile sottrarsi durante la vita; la parola ha un notevole peso semantico, proviene dal latino de-cidere, tagliar via, mozzare.

Un processo decisionale comprende motivazioni, obbiettivi da raggiungere, i mezzi per ottenerli e valutazione di eventuali rischi.

Il rischio indica la possibilità di subire o provocare danni in seguito alla decisone intrapresa. L’origine del termine è incerta; secondo alcuni autori, deriva dal greco bizantino rhizikò (sorte, destino) e dal latino medievale riscus e risigus; secondo altri dall'arabo rizq (sec. XII) in cui è richiamato il concetto di un onere non monetario.

Nella vita quotidiana le decisioni sono di solito facili e il rischio è basso o praticamente assente, come invitare amici a cena. In quelle di maggior impegno il rischio è sempre possibile, ma può essere ridotto se entra in funzione il pensiero “lento”, riflessivo, consente di valutare meglio il rapporto rischio/beneficio piuttosto che il pensiero “rapido.” La distinzione è stata formulata da Daniel Kahneman, psicologo israeliano, premio Nobel per l’economia nel 2002.

 

Il pensiero “rapido” risale ai primordi dell’umanità, le ha permesso di sopravvivere agli improvvisi attacchi provenienti dall’ambiente esterno, ed entra in funzione quando la decisione deve essere presa immediatamente. Esso è illustrato in una drammatica scena del film del 2013 Un treno di notte per Lisbona del regista Bille August.

Il protagonista, Amadeus de Almeida Prado, famoso medico portoghese, scrittore e membro della resistenza al regime di Salazar, da giovane salvò la vita alla sorella a pranzo con lui, con una tracheotomia d’urgenza. Un boccone la stava soffocando e la manovra di Heimlich per liberare le vie aere si era rivelata inutile. Allora le affondò un coltello nella gola, le tagliò la trachea inserendovi un piccolo tubetto. Il padre, un severo giudice, che non si era mosso da capotavola durante l’episodio, lo guardò quasi rimproverandolo per il rischio corso. «Volevi uscisse da qui in una bara?» domandò irato il giovane medico!

Nei giovani è spesso presente un senso di onnipotenza che tende ad annullare la possibilità di rischi anche mortali per raggiungere obbiettivi di relativa importanza.

Per gli emigranti, che affrontano il mare su imbarcazioni fatiscenti, è talmente potente la motivazione di lasciare alle spalle situazioni terribili per raggiungere condizioni migliori di vita, da oscurare il rischio mortale.

In alcune attività, come ad esempio gli sport estremi, il rischio è accettato anche per la contropartita economica e sociale. In altre evenienze ancora agiscono meccanismi mentali patologici: per chi gioca d’azzardo il rischio stesso diviene l’obbiettivo della decisione, nelle persone che usano droghe il desiderio delle sensazioni provocate dalla droga oscura del tutto il danno che ne può conseguire. La capacità di decidere è inesistente in queste situazioni.

La storia riporta esempi estremi della valutazione del rischio: se un dittatore ordina l’aggressione ad un altro Paese, non prende in considerazione quello personale perché si ritiene onnipotente, conosce bene quello che corrono gli altri esseri umani, ma non lo considera importante disprezzandoli. All’opposto vi sono persone comuni che conoscono i rischi che comportano le loro decisioni come gli eroi borghesi nei periodi di pace, i patrioti durante il Risorgimento e i partigiani nella Resistenza disposti a lasciare la vita per i loro ideali.

Lo aveva espresso in modo mirabile Dante Alighieri nel I canto del Purgatorio: «Or ti piaccia gradir la sua venuta, libertà va cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta». Cosi Virgilio si era rivolto a Catone Uticense per presentare Dante “cercatore di libertà”, e riferendosi al suicidio di Catone che aveva preferito togliersi la vita piuttosto che assistere alla fine dei valori repubblicani di Roma.

L’esaltazione del rischio si ritrova in alcune manifestazioni artistiche: la canzone Voglio una vita spericolata, presentata da Vasco Rossi la prima volta a Sanremo nel 1983, divenne un successo mondiale sospinta dall’entusiasmo delle giovani generazioni che trovavano nei versi un incentivo alle loro esuberanze: «Voglio una vita maleducata. Di quelle vite fatte cosi. Voglio una vita che se ne frega. Che se ne frega di tutto sì. Voglio una vita che non è mai tardi, di quelle che non dormi mai, voglio una vita, la voglio piena di guai.»

Il cantante ora 73 enne, ha vissuto in coerenza con questi propositi una vita costellata da impegni sociali e politici, di solidarietà e disavventure personali, e se ne dichiara soddisfatto.

Occorre anche sottolineare come una sopravalutazione del rischio nei processi decisionali della vita quotidiana può condurre ad inazione ed impotenza. Il timore di perdere consensi rappresenta un freno per scelte politiche coraggiose.    

 L’elogio del rischio ha provocato anche una fake news, letteraria: la poesiaLentamente muoreè stata attribuita al grande poeta, diplomatico e politico cileno, Pablo Neruda e ripetutamente citata come tale. Questi i versi iniziali:«Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudini, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, che non cambia la marcia, chi non rischia e cambia il colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.»

Lo stile non era proprio quello del grande poeta, premio Nobel per la letteratura, e si è accertato che si tratta di una composizione dal titolo A morte devagar della poetessa brasiliana Martha Medeiro, pubblicata nel 2000 sul quotidiano brasiliano Zero Hora. Non vi sono comunque dubbi che Pablo Neruda (1904-1973)abbia messo sempre a rischio la vita per l’impegno politico e l’opposizione alle dittature.

Le considerazioni sopraesposte non hanno preso in considerazione l’esistenza del libero arbitrio, problema dibattuto da millenni tra filosofi e scienziati, ma nei processi decisionali non si può ignorare la presenza della coscienza, essenziale caratteristica umana, nella valutazione del rapporto rischio beneficio.

Compos sui, padrone di sé, è una locuzione latina, usata in passato in medicina, per indicare chi si rende conto di quello che sta facendo e delle relative conseguenze.

 

Alberto Dolara

 

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