Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Economia circolare: il cerchio da chiudere

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Il concetto di economia circolare, il riciclo dei materiali prodotti, è piuttosto recente nella storia dell’umanità. Nei secoli scorsi si recuperava materiale edile, pietra o marmo per i nuovi edifici, oppure materiali preziosi, oro o argento, in tempi più recenti carta straccia o indumenti usati.

Il riciclo di materiale organico era comune nella società contadina, alcune forme di riuso sono ancora apprezzate in ambito gastronomico, vedi la “ribollita” toscana con avanzi di pane e verdure. Anche durante i periodi bellici si sono riusati materiali: un ricordo storico è la raccolta di ferro domestico durante le sanzioni comminate all’Italia per l’aggressione all’Etiopia nel 1935.

L’accumulo di materie di scarto era messo in discarica senza problemi. Un esempio è quello del monte Testaccio, una collina artificiale nella zona portuale dell’antica Roma. Alto 54 metri e con una circonferenza di circa 1 chilometro, è formato da milioni di cocci, le testae, da qui il nome del monte. Sono in prevalenza frammenti di anfore accatastati con la massima economia di spazio, utilizzando la calce per eliminare gli inconvenienti causati dalla decomposizione dell’olio.

 

La situazione è cambiata completamente dalla seconda metà del secolo scorso con l’aumento esponenziale della popolazione mondiale e la crescente capacità produttiva dell’industria associata alla estrazione dal sottosuolo di enormi quantità di petrolio, carbone e minerali.

Nel 1950 la popolazione mondiale assommava a 2.5 miliardi, era aumentata a 8 miliardi nel 2022. Studiosi israeliani (Elhacham E et al. Global human-made mass exceeds all living biomass, Nature, 2000) hanno calcolato come all’inizio del ventesimo secolo la massa antropogenica (i prodotti dell’uomo) era uguale a solo il 3% della biomassa del globo terrestre con una differenza di circa 1.1 teratotonnellate (Tt) (una Tt equivale a mille miliardi di tonnellate).

Circa 120 anni dopo, nel 2020, la stessa massa antropogenica superava l’intera biomassa del globo; quella dei prodotti umani come la plastica o simili era di 8 Tt contro le 4Tt degli esseri viventi, quella degli edifici ed infrastrutture di 1.1 Tt rispetto alla massa a degli alberi e degli arbusti di 900Tt.

A differenza della natura, che ha attuato nel corso di milioni di anni metodi di riciclo efficienti per mantenere la massa biologica in equilibrio, gli alberi che cadono forniscono terriccio, gli animali morti i minerali, la massa antropogenica, principalmente derivata da processi estrattivi, non si ricicla spontaneamente, ma deve esser distrutta o accumulata nelle discariche.

La necessità di un’economia circolare, il riciclo dei materiali prodotti dall’uomo, ha iniziato a porsi a metà del secolo scorso inizialmente da studiosi piuttosto che da politici, intenti ad incentivare la crescita dei prodotti piuttosto che il loro riuso.

Tra pionieri della economia circolare troviamo Barry Commoner, biologo marino statunitense (1917-2012), che in un famoso saggio del 1971, The Closing Circle: Nature, Man, and Technology, pubblicato in Italia da Garzanti nel 1977, Il cerchio da chiudere. La natura, l'uomo e la tecnologia, faceva presente come i processi naturali si svolgono secondo circoli che si conchiudono e poi ricominciano, senza impattare sull’ambiente, mentre le tecnologie utilizzano in prevalenza processi lineari che producono accumuli e disequilibri. Di qui l’urgenza di chiudere il cerchio anche per i prodotti dell’uomo.

A distanza di cinquant’anni il cerchio di Commoner è tutt’altro che chiuso, l’entità del riciclo è molto variabile nei vari Paesi e tra i diversi materiali, maggiore per alcuni bassa per altri.

In Italia nel 2021 il tasso di riciclo degli imballaggi di carta aveva raggiunto l’85%, per il vetro il 77%, quello degli. imballaggi in plastica il 56%, ma per il materiale elettrico ed elettronico, era solo circa del 30%; le cifre non sono molto diverse negli altri Paesi europei, minori negli Stati Uniti; nel mondo le differenze sono notevoli, dal riciclo zero della Turchia nel 2018, al 69 % della Corea del Sud.

Il mancato riciclo della plastica, oggi la produzione è stimata a 8 miliardi di tonnellate ogni anno, investe tutto il globo con cifre drammatiche.

Secondo il rapportoGlobal Plastic Outlook diffuso dall’OCSE solo il 9% della plastica è riciclata, il 19% finisce negli inceneritori, quasi il 50% nelle discariche autorizzate e il restante 22% è smaltito in discariche non controllate, bruciato a cielo aperto o disperso nell’ambiente.

Le difficoltà a chiudere il cerchio nell’economia sono culturali e politiche: nell’ultimo secolo l’umanità è stata continuamente sollecitata a produrre e consumare meritandosi l’appellativo di “società dei consumi”: un vestito s’indossa una sola volta, il cibo avanzato finisce nella pattumiera, l’auto si cambia dopo pochi chilometri per un modello nuovo, lo stesso avviene per il cellulare e così via.

L’industria d’altra parte favorisce il ricambio continuo con nuovi modelli, anche di durata ridotta, oppure mette in commercio prodotti difficili a riciclare e/o riparare.

Vi sono inoltre difficoltà oggettive dal punto di vista organizzativo nella raccolta differenziata, i centri di riciclaggio sono insufficienti, in particolare quelli specializzati per i rifiuti elettronici, la quantità dei prodotti è molto elevata rispetto alle possibilità di riciclaggio; in alcuni casi, come per la strumentazione elettronica o le bottiglie in plastica delle acque minerali, la crescita della vendita supera quella del riciclo.

Esiste anche la difficoltà della differenziazione del materiale raccolto; dal 2018 la Cina ha bloccato l’importazione di plastica dall’Europa, richiedendo solo materiale selezionato con la motivazione che dividere i vari tipi di plastica richiede l’impegno di manodopera numerosa e costi elevati.

L’urgenza del problema è spesso evidenziata dai mass media. La trasmissione “Presa diretta” , su Rai 3 delle 22 settembre 2024 , ha mostrato quanto avviene nella più grande discarica di materiale elettrico del mondo ad Accra, la capitale del Ghana, l’inferno di chi vive di rifiuti elettronici, uomini che trascorrono le giornate a bruciare televisori, computer e pannelli solari per isolare i metalli preziosi, donne che trasportano carichi pericolosi e velenosi, bambini che frugano nelle montagne di rifiuti per guadagnare qualche soldo.

Un’economia del riciclo sommersa e informale che dà lavoro ad alcune migliaia di persone, ma produce anche degrado, malattie e inquinamento.

Mostrando una batteria fabbricata nel nostro Paese presente nella discarica l’operatrice sanitaria africana ricordava alla giornalista che i veleni, finiscono nell’oceano, ma poi tornano anche in Italia!

L’economia circolare, il riciclo dei materiali prodotti è indubbiamente un approccio virtuoso e necessario con grandi vantaggi per la collettività, ma le cifre indicano un obbiettivo ancora lontano.

Occorre una transizione culturale da società dei consumi a società con responsabilità ecologica, moltiplicare le iniziative volte al recupero e alla riparazione; è necessario che l’industria favorisca il processo di recupero con prodotti di maggiore durata facilmente riparabili e riciclabili.

Nessuno vuol tornare ad una economia di guerra, ma lo spreco delle risorse può costare caro all’umanità con un inquinamento ambientale non più sostenibile.

 

Alberto Dolara

 

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