Vittime innocenti. Ottobre 1972-2019
Il 1° ottobre del 1994 a Mileto (VV) morì il piccolo Nicholas Green, 7 anni: fu ucciso da una banda di rapinatori. Era un bambino californiano di 7 anni in vacanza in Italia con la famiglia. Il 29 settembre stava viaggiando con i suoi genitori sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria. I killer scambiarono la Y10 su cui stavano viaggiando per un portavalori obiettivo della loro rapina e un proiettile colpì il bimbo che dormiva sul sedile posteriore della vettura. Nicholas morì due giorni dopo nell’ospedale di Messina dove era stato ricoverato. La vicenda ebbe un grande risalto mediatico non solo per la giovane età della vittima ma anche perché i genitori autorizzarono l’espianto e la donazione degli organi, pratica poco diffusa in Italia all’epoca. Il 2 ottobre del 2003 a Bari venne ucciso il 15enne Gaetano Marchitelli. Andava a scuola e la sera lavorava come garzone in una pizzeria del suo quartiere, Carbonara, per guadagnare una piccola paga che gli consentiva di non gravare troppo sulla sua famiglia. Quella sera, davanti a quella pizzeria, Gaetano si trovò nel mezzo di una sparatoria tra gruppi malavitosi rivali e rimase ucciso.
Poco dopo le 23.00, un commando armato scatenò l’inferno per colpire alcuni ragazzi del clan rivale fermi davanti al locale. Non appena la pioggia di proiettili finì, si scoprì che a terra era rimasto il 15enne, colpito alla schiena da uno di quei colpi destinati ad altri e che non gli lasciò scampo. Vittimainnocente di una guerra per il controllo del territorio. Grazie al racconto dei testimoni, si è ricostruito l’accaduto, cominciando dai veri obiettivi, due fratelli che hanno usato Gaetano come scudo umano per pararsi dai colpi. Pezzo dopo pezzo, per l’omicidio sono stati condannati i due sicari e l’uomo che era alla guida dell’auto. Il 3 ottobre del 1985 a San’Agata dei Goti (BN) venne ucciso a 35 anni il vice sindaco Angelo Maria Biscardi. Venne ucciso per essersi ribellato al tentativo della camorra di entrare in possesso dei fondi stanziati dallo Stato per la ricostruzione post-terremoto. L'omicidio di Biscardi avvenne dopo una lunga serie di atti di criminalità che interessano in quel periodo Sant'Agata dei Goti. In un primo momento l'autore del delitto Biscardi venne indicato dagli inquirenti nella persona di un pregiudicato locale ritenuto affiliato ad un clan camorristico di Marcianise e già arrestato con accuse di racket. Le indagini, tuttavia, non approdarono a nulla perché, pochi giorni dopo quel 5 ottobre, anche il presunto killer venne ammazzato. Il 26 settembre 2002 il prefetto di Benevento, ai sensi della Legge 20 ottobre 1990, n. 302, certificò che Angelo Maria Biscardi è “deceduto quale vittima della criminalità organizzata". Il 23 marzo del 2019 l'Amministrazione Comunale di Sant'Agata de' Goti ha intitolato una piazza ed una stele ad Angelo Mario Biscardi. Il 3 ottobre del 2020, nel 35esimo anniversario della sua morte, gli viene intitolata la sala convegni e formazione degli uffici della provincia di Benevento. Il 4 ottobre 2019 a Trieste vennero uccisi gli agenti di Polizia Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, 34 e 31 anni. Furono uccisi all’interno della Questura di Trieste da Alejandro Stephan Meran, un pregiudicato di origine sudamericana. Nel corso del loro servizio di volante, Rotta e Demenego avevano fermato Meran, accompagnandolo in Questura per degli accertamenti. Qui lo straniero, in un raptus di violenza, aggredì l’Agente Rotta, impossessandosi della sua pistola ed esplodendo numerosi colpi letali verso di lui e verso l’Agente Demenego, intervenuto in aiuto del collega. Il 7 ottobre del 1986 il piccolo Claudio Domino fu ammazzato mentre giocava in una strada di San Lorenzo di Palermo che oggi porta il suo nome. Aveva 11 anni. Claudio stava passeggiando con un amichetto quando un uomo che arrivava con una moto di grande cilindrata, una Kawasaki, chiese ai due bambini chi fosse Claudio Domino e alla risposta di Claudio l’uomo si avvicinò, tirò fuori una pistola 7,65 e da meno di un metro gli sparò in mezzo agli occhi, uccidendolo sul colpo. Non sono mai stati chiariti i motivi dell'omicidio. Si era pensato che Claudio avesse potuto essere testimone involontario di un delitto di mafia o di uno scambio di droga. La cosa certa è stato una vittima innocente che non ha mai avuto giustizia. Pierluigi e Matteo erano due giovani Poliziotti entusiasti del loro lavoro e molto apprezzati da tutti i colleghi. Solo dieci giorni prima della loro tragica fine avevano salvato un 15enne da un tentativo di suicidio. L’8 ottobre del 1986 a Messina fu uccisa Nunziata Spina, 35 anni, durante un regolamento di conti tra cosche rivali. Era ricoverata nel reparto di fisioterapia dell’ospedale di Ganzirri di Messina. Alle ore 22.00 si trovava in una saletta del nosocomio insieme ad un ragazzo di 13 anni e con un altro ricoverato, Pietro Bonsignore di 21 anni. All’improvviso due uomini fecero irruzione nel locale e cominciarono a sparare all’impazzata contro il Bonsignore che tentò invano di ripararsi dietro le sedie. Un colpo vagante raggiunse la donna alla tempia sinistra. Nunziata Spina crollò ai piedi del ragazzo che rimase inebetito per lo shock. Gli assassini non si fermarono: prima di allontanarsi diedero al Bonsignore il colpo di grazia. Per la donna che dava ancora deboli segni di vita fu tutto inutile: i medici non riuscirono a salvarla. Il 10 ottobre del 2006 a Quarto (NA) venne uscio l’imprenditore 45enne Enrico Amelio. Fu ammazzato dai sicari del clan Polverino. L’imprenditore pagò con la vita perché lo zio, Leonardo Carandente Tartaglia, mise gli occhi su alcuni terreni, situati nel comune di Quarto, oggetto degli interessi della fazione criminale capeggiata dal “Barone”. Gli scagnozzi del boss avvicinarono Enrico Amelio, completamente estraneo all’affare, per intimargli di convincere Tartaglia. Il clan allora si vendicò sparando alle gambe Amelio. Un proiettile colpì l'arteria femorale ed Enrico morì. Una lezione sanguinaria per imporre il dominio del clan sul territorio. Enrico era padre all'epoca di due figlie piccole: una di 16 anni e l'altra di 9 anni. Sarà la moglie a dover provvedere ad ogni cosa dopo la sua uccisione. Nel primo grado, la Corte d'Assise di Napoli il 27 febbraio 2020 condanna tutti gli imputati alla pena dell'ergastolo tranne D'Ausilio, condannato con altra sentenza in 6 dicembre 2016 a 12 anni di reclusione. Gli imputati ricorrono in Appello, la Corte d'Assise di Appello il 16 marzo 2021 deposita sentenza di condanna per anni 28 di reclusione a ciascuno dei 5 imputati. Tutti gli imputati fanno ricorso in Cassazione per ottenere un diverso inquadramento dell'omicidio da volontario e preterintenzionale. La Corte suprema di Cassazione conferma le condanne stabilite in appello. Il 12 ottobre del 1992 a Palermo fu ucciso l’ex agente di Polizia Serafino Ogliastro, 31 anni. All’epoca della scomparsa era un venditore di automobili. Fu ucciso con il metodo della lupara bianca da Salvatore Grigoli in quanto la famiglia di Brancaccio sospettava che nell'ambito del proprio lavoro fosse venuto a conoscenza degli autori dell'omicidio di un mafioso, Filippo Quartararo. Al processo Grigoli confessò l'omicidio, indicando altri 7 complici. Il corpo dell’uomo non fu mai rinvenuto, solo l’auto della vittima venne fatta ritrovare dopo oltre un anno dalla scomparsa. Secondo le dichiarazioni del killer pentito, Ogliastro fu interrogato e torturato. Successivamente, furono in sei a strangolare e a caricare il corpo su una Fiat 127 per occultarlo in un luogo rimasto sconosciuto. Il 14 ottobre del 2010 ad Aversa fu ucciso Pietro Capone, imbianchino di 23 anni. Venne ucciso per aver difeso la moglie dalle avances del figlio di un esponente del clan dei Casalesi. Pietro si incontrò con Mario Borrata per un chiarimento ma il camorrista lo colpì con un fendente al collo. Trasportato d’urgenza in ospedale, il giovane ferito morì per arresto cardiocircolatorio. Nell'ottobre del 2011, viene emessa dal Gup del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Stefania Amodeo, la sentenza a carico di Mario Borrata, diciottenne di Aversa, accusato dell'omicidio di Pietro Capone. A Borrata, nonostante la richiesta di rito abbreviato, è stata inflitta la pena dell'ergastolo con interdizione dai pubblici uffici e pubblicazione della sentenza sul sito del Ministero di Giustizia e nei Comuni di Aversa e Santa Maria Capua Vetere. Il Gup ha riconosciuto Borrata colpevole non solo del reato di omicidio premeditato aggravato da motivi abietti ma anche del reato di violenza a danno di Roberta Pizzo, moglie di Capone. Condannato in primo grado all'ergastolo, Borrata vedrà la propria condanna ridotta nel febbraio 2013 a vent'anni. Il 16 ottobre del 2005 a Locri (RC) fu ucciso dalla Ndrangheta il vicepresidente del Consiglio Regionale della Calabria Francesco Fortugno, 54 anni. Nel giorno delle primarie dell’Unione, venne ucciso all’interno del seggio da un killer a volto coperto, con 5 colpi di pistola. Ai funerali partecipò anche Carlo Azeglio Ciampi, allora presidente della Repubblica. Fu ''eliminato'', in quanto rappresentava un ostacolo ''alla realizzazione di un progetto politico-affaristico clientelare''. Parole riferite dall’allora capo della procura della Repubblica di Reggio Calabria, Antonino Catanese. Il 21 marzo 2006, dopo 5 mesi di indagini, sono stati arrestati i nove presunti colpevoli dell'omicidio. Si tratta di Vincenzo Cordì, 49 anni, Domenico Novella, 30, Antonio Dessì, 24 anni, Gaetano Mazzara, 42 anni, Salvatore Ritorto, 27 anni, Domenico Audino, 27 anni, Carmelo Crisalli, 26 anni, e Nicola Pitari, 27 anni, tutti di Locri. Il 21 giugno 2006 sono stati arrestati Alessandro e Giuseppe Marcianò, padre e figlio, rispettivamente caposala e infermiere in un ospedale di Locri. Accusati di essere i mandanti dell'assassinio di Francesco Fortugno. Il 2 febbraio 2009 la sentenza di primo grado nel processo per la morte di Fortugno condanna all'ergastolo gli imputati ritenuti esecutori materiali: Alessandro e Giuseppe Marcianò, Salvatore Ritorto e Domenico Audino. Condanne confermate fino alla cassazione. Il 18 ottobre del 1994 ad Acate (RG) venne ucciso il benzinaio Saverio Liardo. Vittima innocente di mafia che si era opposta al racket. Conosciuto come Elio, fu ucciso nel suo distributore di benzina nei pressi di Acate, nel ragusano. Soltanto il 14 luglio del 2010, però, il Tribunale di Catania ha stabilito con sentenza passata in giudicato, che si trattava di un omicidio di mafia. La morte di Saverio Liardo doveva essere un segnale esemplare nei confronti dei commercianti di Niscemi: «Se non pagate, farete la sua stessa fine». Il 19 ottobre del 2016 a Sant’Antimo, Stefania Formicola diventa l’ennesima vittima di un dell’amore malato. La 28enne di San Marcellino viene uccisa con un colpo di pistola dal marito Carmine D’Aponte a bordo della sua auto. Un amore tormentato, segnato da continui litigi e violenze, nonostante dalla loro unione siano nati due figli. Finché un giorno Stefania prende coraggio e lascia il marito, rifugiandosi a casa dei genitori con i bambini, avendo preso la decisione di separarsi. Una scelta inaccettabile per l’uomo, accecato dalla gelosia: la mattina del 19 ottobre, quando Stefania sta per recarsi a lavoro, Carmine le chiede l’ennesimo chiarimento. A bordo dell’auto la discussione degenera, l’uomo estrae una pistola e spara un colpo, che uccide all’istante Stefania. Aveva a 28 anni. Il 20 ottobre del 1989 a Statte (TA) venne ucciso il 14enne Domenico Calviello. Fu ucciso a fucilate mentre si trovava nei pressi della macelleria del padre. Ad ammazzarlo due killer appostati dietro un muretto distante pochi metri. Misterioso il movente. Due le ipotesi: un errore di persona oppure una vendetta trasversale. Domenico stava parcheggiando il suo ciclomotore dinanzi alla macelleria ormai chiusa al pubblico. Il fratello Antonio, 24 anni, era a qualche decina di metri, in compagnia di due amici. Uditi gli spari, si è dato alla fuga. Poi. quasi intuendo la tragedia, è ritornato sui propri passi alla ricerca del fratello minore, che era disteso sul selciato, agonizzante. Nel buio i killer si sono dileguati. Nessuno ha «visto». Il ragazzo è stato soccorso dal padre Pietro, che era in strada. Domenico è stato trasportato all’ospedale. Tutto inutile. La fisionomia di Domenico, identica a quella del fratello, accredita l’ipotesi che possa essersi trattato di un errore di persona. Il 22 ottobre del 1975 avvenne la Strage di Querceta nella quale furono uccisi gli agenti di Polizia Armando Femiano, Giovanni Mussi e Giuseppe Lombardi Nel corso di una operazione di polizia giudiziaria, conclusasi dopo un violento conflitto a fuoco con la cattura di due pregiudicati autori di gravissimi reati, alcuni appartenenti alla Polizia furono fatti segno a numerosi colpi d’arma da fuoco esplosi al loro indirizzo da uno dei criminali. Tre degli agenti rimasero uccisi. Gli agenti Giovanni Mussi, Armando Femiano e Giuseppe Lombardi. Il latitante Massimo Battini, autore di furti e rapine, era ricercato dalle questure di La Spezia e di Lucca, e dalla Criminalpol di Firenze sui monti versiliesi. Vennero riuniti un centinaio di agenti, per effettuare una serie di perquisizioni. Una squadra composta da una ventina di agenti avrebbe dovuto perquisire l’abitazione del pregiudicato Giuseppe Federigi, sua madre e suoi fratelli, in località Montiscendi a Querceta. Gli agenti si appostarono tra la boscaglia intorno allo stabile, circondandolo, e comunicarono ai residenti l'ordine di perquisizione. Si affacciò Federigi, in mutande, chiedendo il permesso di vestirsi. Dopo qualche minuto, non essendo ancora ritornato, alcuni agenti entrarono in casa. Battini, che era presente nell'edificio, sparò con un mitra da dietro una porta a vetri, uccidendo sul colpo l'appuntato Femiano e ferendo Mussi e Lombardi mentre il vice questore riuscì a mettersi in salvo. Guarini si buttò da una finestra rompendosi un piede. Belmonte provò a rispondere al fuoco ma il suo mitra si inceppò. Riuscì comunque a precipitarsi fuori prima di essere raggiunto dal fuoco dei malviventi. Battini e Federigi raggiunsero l'ingresso dell'edificio continuando a sparare e ferendo gravemente Crisci. Battini finì a colpi di mitra Mussi, mentre Federigi finì Lombardi, già agonizzante a terra. I criminali spararono anche a Crisci, che giaceva ferito, ma il proiettile non fu letale in quanto deviato dal suo distintivo. I malviventi seguitarono a far fuoco attraverso una finestra ferendo al braccio l'agente Vincenzo De Luca, dopo di ché scapparono in direzione del bosco ma finirono per essere catturati. Il 25 ottobre del 1992 a Casandrino (NA) venne ucciso a soli 19 anni il carabiniere Corrado Nastasi. Fu ucciso per aver reagito ad un tentativo di rapina. La sera del 25 ottobre era ancora in libera uscita quando venne rapinato e ferito. Inutile il ricovero all’ospedale di Napoli, dove morì dopo due giorni. Gli assassini di Corrado sono ancora sconosciuti. Il 26 ottobre del 1982 a Cesa (CE) venne ucciso l’agente di custodia Gennaro de Angelis, 36 anni. Era di servizio presso la Circondariale di Poggioreale, dove svolgeva, tra gli altri compiti d'istituto, anche quello della ricezione dei pacchi dei detenuti. Mentre si trovava in un circolo di Via Roma, due killer lo raggiunsero nel locale sparandogli alla testa a bruciapelo. Nell’esecuzione venne ferito anche Pasquale Marino pensionato di settant’anni, che sarebbe morto 4 giorni dopo al Cardarelli di Napoli. Le indagini accertarono la natura camorristica dell’omicidio: De Angelis si era rifiutato di ottemperare alle richieste della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Il 27 ottobre 1972 il giornalista Giovanni Spampinato, 26 anni, veniva ucciso dalla mafia a Ragusa perché indagava su inchieste scomode. Scriveva per “l'Ora" di Palermo e “l'Unità”. Aveva documentato i rapporti tra le organizzazioni di estrema destra locale e la criminalità organizzata. Si era occupato dell'omicidio del costruttore Angelo Tumino ed era finito sulle tracce di Roberto Campria, figlio dell'allora presidente del tribunale di Ragusa. La sera di quel 27 ottobre Campria lo attirò in periferia e lo uccise scaricandogli addosso sei colpi di pistola. Subito dopo si costituì dicendo di avere agito in un impeto d'ira perché ingiustamente accusato da Spampinato in diversi articoli. L'omicida venne condannato a 14 anni di reclusione, ma ne scontò solo otto, in manicomio giudiziario. “Assassinato perché cercava la verità”, fu il titolo di apertura dell'edizione dell'Ora del 28 ottobre 1972. Nel settembre 2007, Giovanni Spampinato è stato insignito dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano del premio Saint Vincent per il giornalismo alla memoria. Il 28 ottobre del 2006 a Pozzuoli (NA) venne ucciso il 18enne Daniele Del Core. Nella stessa occasione rimase ferito un suo amico coetaneo, Loris De Roberto, che sarebbe poi morto qualche giorno dopo, il 5 novembre 2006. Loris De Roberto aveva interrotto, nell’estate del 2006, la sua relazione con una ragazza durata ben 3 anni. La sua ex ragazza da settembre dello stesso anno frequentava Salvatore D’Orta (assassino), sebbene continuasse a cercare Loris. Questo era il motivo per cui Salvatore era geloso di Loris. Daniele Del Core, la sera del 28 ottobre, si trovava, come ogni sabato sera, al centro abbronzante che frequentava di solito. Lì sopraggiunse l’assassino per uccidere Loris. Daniele, che non conosceva affatto l’assassino, intervenne solo per sedare la lite scoppiata tra Loris e Salvatore D’Orta e per salvare il suo amico, rimanendo ucciso. Nel novembre 2006 il responsabile viene portato nel carcere minorile di Airola in attesa di essere processato per il duplice omicidio di Loris e Daniele. Nel 2007 il Tribunale per i Minorenni di Napoli lo condanna a 20 anni di reclusione, pena che verrà ridotta a 16 anni dalla Corte d'Appello di Napoli, Sez. Minorenni.
Il 30 ottobre del 1991 ad Avelino venne ucciso Nunziante Scibelli, 26 anni. Quella sera era in macchina con la moglie, Francesca Cava, 24 anni, al settimo mese di gravidanza. Improvvisamente la macchina venne raggiunta da dei killer che vi esplosero contro oltre 100 proiettili. Nunziante morì sul colpo, la moglie rimase viva per miracolo e, insieme a lei, il figlio. L’omicidio si inserisce nella faida Cava-Graziano che fece centinaia di vittime innocenti: la coppia, infatti, viaggiava a poca distanza e con lo stesso modello e colore di auto, da quella dei veri obiettivi dell’agguato, due pregiudicati del clan Cava. Il 31 ottobre del 2006 a Sant’Antimo (NA) venne ucciso Rodolfo Pacilio, imprenditore di 39 anni. Noto come Giancarlo, era un imprenditore noto nel settore dei giocattoli, venne ucciso con una decina di colpi da due uomini in sella ad uno scooter. Gli inquirenti vedono nella morte di Rodolfo Pacilio la conseguenza di un rifiuto a pagare tangenti o una vendetta del clan denunciato tempo prima. Infatti suo padre aveva denunciato negli anni ’90 un esponente del clan della zona che gli aveva imposto una tangente di 40.000.000 di lire per la costruzione di un importante edificio. Per quella denuncia il boss fu condannato ad 11 anni di reclusione. Nel 2003 un fratello di Rodolfo, Domenico, di 45 anni, aveva subito la stessa sorte. L’uomo, che gestiva un circolo di intrattenimento, era stato ucciso in un agguato di camorra per una questione legata al racket.
Francesco Emilio Borrelli
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