Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Democrazia e informatica

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Quando si tratta di democrazia tutti si sentono autorizzati a dire la loro senza remore.

Se si chiede quale sia l’esatto significato di uno dei termini più utilizzati nel nostro linguaggio quotidiano, anche agli studiosi non viene in mente di fornire un’adeguata definizione scientifica. E, del resto, di adeguatezza in questo caso è arduo parlare considerata la molteplicità dei punti di vista in gioco.

Si tende invece a ribattere che tutti sanno quali sono i principi che rendono riconoscibili i valori della democrazia. Essi sono difesi da maggioranze, le quali liberamente si affermano e governano alternative nel rispetto delle minoranze.

Naturalmente così non è, altrimenti i dibattiti cui accennavo prima sarebbero già terminati da un bel pezzo, e oggi potremmo starcene tranquilli ad applicare i principi della democrazia piuttosto che discuterne in continuazione e senza posa.

Non è così proprio perché il sistema democratico si è venuto disegnando nell’immaginario popolare come una risposta quale ognuno può intenderla dentro di sé; e che lo porta a dire, come per istinto a proposito di un determinato comportamento ch’egli voglia giudicare: questa è democrazia, oppure, questa non è democrazia.

Le risposte istintive, tuttavia, in questo come in altri campi, possiedono sì un loro valore, ma non giungono ad approfondire la questione. A ciò si aggiunge il fatto che, nella nostra epoca, il significato della parola si è progressivamente esteso. Valga per tutti il caso dei “diritti umani”, per un certo tempo considerati fissi e inalienabili. Oggi scienza, tecnica ed economia hanno prodotto un’altra serie di diritti che gli esseri umani avvertono e vogliono conquistare, con una conseguente frammentazione che rende la discussione ancora più complicata di quanto fosse in precedenza.

 

Molto importante, nella nostra epoca, è il problema dei rapporti tra informatica e democrazia. Qui siamo sul piano della più stretta attualità, come le recenti vicende politiche italiane dimostrano con dovizia di esempi. Assistiamo alla riscoperta e all’innovazione di strumenti istituzionali tipici di forme di esercizio della democrazia diretta. Questo fatto apre ulteriori spazi – senz’altro rivoluzionari, secondo i più accesi sostenitori di sempre nuovi e sempre più importanti approdi della scienza informatica – lo sviluppo in atto di mezzi posti a disposizione dalla tecnologia al mondo della vita politica.

L’impressione diffusa è che tali sviluppi garantiscano un riscontro immediato della volontà politica popolare.

La Rete, in questo senso, favorirebbe l’emergere di esigenze sempre nuove di partecipazione e di spazi sempre più ampi per il loro utilizzo.

Come spesso avviene nel mondo umano, le cose sono però meno semplici di quanto s’immagina. L’assimilazione della Rete alla “agorà” ateniese è piuttosto azzardata, se si pensa che in quest’ultima parlare significava affrontare in presenza le conseguenze di quanto si diceva: con la propria persona, con il proprio coraggio, fisico e intellettuale. Significava comunicare con quanti erano dinanzi e accanto.

Tra l’altro, che tutti siano uguali quando navigano in Internet è vero solo fino a un certo punto, giacché non è possibile risolvere con un gesto meccanico compiuto su una macchina un problema che meccanico non è. I vantaggi ci sono, bilanciati tuttavia da svantaggi di analoga (o maggiore) portata. Ecco i motivi che inducono a rilevare che la tecnologia informatica non deve servire per attrarre le masse in un gioco comunicativo che manifesta i rischi dell’illusorietà. Trasmettere tecnologicamente un pensiero è come vedere un fiore senza sentirne il profumo. Di qui l’invito, ancora una volta, a non confondere la Rete con il mondo reale, invito che purtroppo è spesso disatteso.

 

Michele Marsonet

 

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