L’impegno morale di Liliana Segre, senatrice a vita
La vita di Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz e senatrice a vita, è recentemente divenuta di dominio pubblico per le numerose interviste che ha rilasciato in TV per opporsi al ricorrere di episodi di antisemitismo e ai rigurgiti dell’ideologia fascista e nazista. Liliana Segre è nata a Milano il 10 settembre 1930, in una famiglia di discendenza ebraica. Perse la mamma per malattia quando aveva un anno di vita; nel 1938, a 8 anni, per le leggi razziali emanate dal regime fascista, venne espulsa dalla scuola. A 13 anni fu arrestata insieme al padre, trasferita prima nel carcere di San Vittore, a Milano, poi deportata il 30 gennaio 1944 dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Durante il terribile viaggio nel vagone bestiame durato sette giorni, cercò di consolare il padre, seduto sfinito sul pavimento. All’arrivo ne fu subito separata, e non lo rivide più. Il genitore morì nell’aprile successivo; nel maggio anche i nonni paterni furono arrestati, deportati ad Auschwitz e subito uccisi. Liliana ricevette il numero di matricola 75190, tatuato sull'avambraccio sinistro. Fu messa per circa un anno ai lavori forzati in una fabbrica di munizioni. Durante la prigionia riuscì a superare tre selezioni, che preludevano all’invio alle camere a gas; in una perse un'amica che aveva incontrato nel campo. Nel gennaio 1945 fu trasferita con gli altri detenuti dai campi di concentramento della Polonia a quelli della Germania con la “marcia della morte”. Prima del 27 gennaio 1945, cioè prima della liberazione del campo di Auschwitz da parte dei sovietici, era iniziata la “marcia della morte” alla quale fu costretta a partecipare con altre decine di migliaia di prigionieri disperati, quasi sempre a piedi, nel gelo dell’inverno, soffrendo una fame indicibile. Venivano spinti dai nazisti sempre più verso nord-ovest, passando da un lager all’altro. Furono oltre tre mesi d’inferno. I sopravvissuti morivano come mosche. Se cadevano, venivano finiti dalle guardie con un colpo di fucile. Alla fine il gruppo di deportate di cui faceva parte raggiunse l’ultima meta, il campo di Malchow a nord di Berlino. Liberata il 1º maggio 1945, al ritorno in Italia, come altri sopravvissuti ai campi di sterminio, tacque sull’esperienza passata: «Era molto difficile per i miei parenti convivere con un animale ferito come ero io: una ragazzina reduce dall'inferno, dalla quale si pretendeva docilità e rassegnazione. Imparai ben presto a tenere per me i miei ricordi tragici e la mia profonda tristezza. Nessuno mi capiva, ero io che dovevo adeguarmi ad un mondo che voleva dimenticare gli eventi dolorosi appena passati, che voleva ricominciare, avido di divertimenti e spensieratezza.» Trovò l’amore, si sposò, ebbe tre figli, condusse una vita riservata, ma. dopo un lungo periodo di riflessione e silenzio, negli anni novanta decise che la sua testimonianza fosse necessaria per far conoscere il dramma vissuto e per evitare il ripetersi dell’orrore. Iniziò allora a parlare nelle scuole, e venne intervistata più volte, partecipò a documentari, le vennero conferite numerose onorificenzeper l’attività svolta. Nel gennaio 2018, anno in cui ricadeva l'80º anniversario delle leggi razziali fasciste, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha ricevuto la nomina a senatrice a vita per “avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”. I senatori a vita sono nominati in base all’articolo 95 della Costituzione Italiana: «È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Inoltre il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.» L’articolo fu voluto dai Costituenti nel 1948 per rendere omaggio a coloro che avevano ricoperto la massima carica dello Stato, e a chi aveva onorato la Patria per meriti eccezionali. Da allora sono stati nominati premi Nobel e artisti famosi. Liliana Segre è la quarta donna ad assumere tale incarico, dopo Camilla Ravera (1982), Rita Levi-Montalcini (2001) ed Elena Cattaneo (2013). Negli ultimi anni il diritto al voto dei senatori a vita ha provocato ostilità nei confronti di tale istituzione da parte di alcune forze politiche, con l’accusa di avere avuto un peso eccessivo sulle decisioni del governo col loro voto. Nel 2024, durante il cammino della riforma costituzionale, la cosiddetta “madre di tutte le riforme” voluta dall’attuale governo, è stata approvata a maggioranza la loro abolizione. Una decisione che riduce i poteri del Presidente della Repubblica, impedisce di far conoscere al popolo italiano persone di grande prestigio, premiandone il merito. Era sufficiente abrogare il loro diritto al voto, lasciando la prerogativa d’intervenire in parlamento. Dal novembre 2019 alla senatrice Liliana Segre è stata assegnata una scorta a causa delle crescenti minacce e insulti che le vengono rivolti via internet per la sua testimonianza antifascista. Nel gennaio successivo, su invito del Presidente David Sassoli, è intervenuta ala Parlamento Europeo, dove ha ricevuto un'ovazione dal plenum dell'assemblea. Nelle interviste TV mostra sempre una grande dignità, lucidità di pensiero, equilibrio nei giudizi anche sugli avvenimenti internazionali in medio oriente, ma è fortemente preoccupata per il rinnovarsi dell’antisemitismo e lo condanna fermamente in nome della Costituzione Italiana. Un particolare può aver colpito gli spettatori della trasmissione L’onda su La 7. del 30 giugno 2024; al termine dell’intervista la senatrice ha dichiarato di essere una donna “pesante” suscitando un moto di sorpresa nella gentile intervistatrice. Il tempo era scaduto e la senatrice non ha avuto la possibilità di motivare l’affermazione. É possibile che abbia usato quell’aggettivo insolito con ironia riferendosi a quelli che ritengono ingombrante, “pesante”, la presenza dei testimoni viventi di un passato di violenza e orrori, e delle connesse responsabilità. In realtà è proprio l’incalcolabile “peso” morale delle loro testimonianze che rappresenta, un ostacolo insormontabile a derive reazionarie e nello stesso tempo un inno alla vita contro le pulsioni di morte dell’ideologia nazifascista.
Alberto Dolara
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