Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

La guerra che non ho combattuto

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Come si stava dalla parte di chi fu perseguitato durante una guerra violenta come quella del 1939-1945?

È stato raccontato nel diario di Giulio Supino, Diario della guerra che non ho combattuto. Un italiano ebreo tra persecuzione e Resistenza (2014) a cura di Michele Sarfatti, che ha firmato anche la prefazione.

Supino, professore di Idraulica espulso dall’Università nel 1938 perché ebreo, appuntò su alcuni taccuini nel 1939-1940 e nel 1943-1945 (per il periodo intermedio sono conservati fogli sparsi) le sue impressioni sulla vita di quegli anni a Bologna, le vicende belliche, la persecuzione antiebraica, l'inizio del suo impegno antifascista, e poi la Resistenza nelle fila del Partito d'Azione, la partecipazione alla vita sociale, lo studio, la rete amicale, la vita clandestina con la famiglia a Firenze nel 1943-1944, e l'impegno nella ricostruzione, fino al rientro a Bologna appena liberata.

Annotazioni che riflettono lo stato d’animo di chi è perseguitato, come quando nell’agosto del 1939, ripensando alla campagna di stampa che parla di “ebrei guerrafondai”, Supino di fronte all’opportunità che la consorte Camilla torni da Londra in Italia, scrive: «io non mi sento di affidare moglie e figlia a questi f.(ascisti)».

Dal diario è emerso il comportamento indifferente e spesso complice di gran parte della popolazione italiana (con delle eccezioni, per fortuna) sia di fronte all’applicazione delle leggi razziste del ’38 e sia, a seguito dell’armistizio del settembre ‘43, di fronte alla persecuzione delle vite messa in atto dai tedeschi con l’aiuto dei fascisti di Salò.

Quando si scatena la caccia agli ebrei, l’impiegato della questura Vincenzo Attanasio, col quale è in contatto per conto della Resistenza, gli confessa: «Non avete idea della cattiveria umana. Valanga di lettere anonime. Spie ebree».

L'inusuale “non” contenuto nel titolo rimarca il suo non aver combattuto nell'esercito italiano, perché ebreo, e non aver partecipato militarmente alla Liberazione di Firenze, perché ferito.

Ma come scrive Sarfatti nella prefazione, in realtà Supino, che era reduce della Grande Guerra, combatté «varie guerre: quella per difendere e conservare la dignità propria e dei famigliari calpestata dall’antisemitismo di Stato, nonché la sua specifica dignità di studioso preparato e appassionato; quella per riaffermare i valori della democrazia; quella per la giustizia e la libertà reclamate dal PdA; quella per salvare la vita del suo nucleo famigliare, dei parenti prossimi, di altri ebrei braccati».

Cronache di guerra e di persecuzione. Rare e quindi preziose. Da leggere con attenzione, con un occhio al presente, alla nostra Europa dove purtroppo sembra soffiare di nuovo un vento antisemita.

 

Mario Avagliano

 

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