Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il latino, lingua eterna e universale

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Ciclicamente si ripresenta, tra gli addetti ai lavori del mondo della Scuola, la discussione circa l’opportunità di continuare a studiare il Latino nei nostri Licei. E anche l’attuale Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara non si è sottratto al dibattito.

Lo ha fatto nel suo libro La scuola dei talenti (Piemme, 2024) proponendo di ripristinare lo studio della lingua latina anche per le scuole medie, convinto che sia un esercizio fondamentale per il ragionamento logico, tutto a vantaggio degli studenti.

Questo per contrastare l’ormai decennale crisi del Liceo Classico, sempre meno considerato dagli studenti italiani che preferiscono lo Scientifico o gli Istituti professionali, abituati a pensare che le discipline umanistiche siano inutili e troppo inutilmente impegnative.

La supremazia del tecnico, dell’informatica e dell’inglese “globish”, infatti, ha costretto quei pochi sopravvissuti che si occupano ancora di latino a giustificare penosamente la loro scelta, adducendo le stesse motivazioni utilitaristiche di chi sceglie materie scientifiche.

Sarebbe, quindi, “utile” studiare il latino perché esso “insegna a vivere”, ad “aprire la mente”, ad “analizzare e comprendere la realtà” e la sua traduzione “educa ad una mentalità scientifica” (ecco appunto...).

 

Tutto bello, anche se queste sembrano più ragioni di comodo, dato che pure studiare matematica o biologia o geografia o altro aiuta a sviluppare l’intelligenza, così come tradurre da lingue moderne rappresenta uno sforzo mentale non da poco.

Sono altre, quindi, le ragioni - più forti - per cui dovremmo continuare ad occuparci di latino, restituendogli la giusta dignità che merita, e per farlo dobbiamo guardare alla storia di questa lingua cosiddetta “morta”.

Secondo la vulgata imperante i Romani non avrebbero prodotto nulla di originale dal punto di vista culturale, avendo acquisito il loro bagaglio di conoscenze dai Greci, come ci ricorda Orazio per il quale «la Grecia conquistata, conquistò i vincitori».

Ciò è vero in parte, intanto perché aver apprezzato la cultura greca è già di per sé dimostrazione dell’intelligenza dei Romani, e poi perché, fin dagli albori della loro storia, i Latini hanno prodotto letteratura e poesia.

La lingua latina ha accompagnato le legioni nella loro opera di conquista, avendo i Romani una forte considerazione della propria parola; la Latinitas, infatti, rappresenta quella macrozona linguistica da cui derivano le lingue nazionali più importanti d’Europa, cioè le lingue dette neolatine o romanze (persino nell’inglese, idioma non latino, oltre un terzo dei lemmi sono mediati da quest’ultimo).

Anche dopo la caduta dell’Impero d’Occidente il latino è rimasto, per due millenni, la lingua internazionale della cultura e del potere, nonché la lingua del Cristianesimo, infatti ancora oggi nelle liturgie solenni presiedute dal Papa e nei documenti ufficiali la Chiesa Cattolica parla e scrive in latino.

Non solo, fino all’inizio del XIX secolo i grandi della Scienza, da Leibniz a Newton, hanno pubblicato le loro opere in latino, mentre in zoologia ancora si utilizza la lingua di Virgilio per classificare le specie di animali e piante. Senza dimenticare lo studio del Diritto, come dimostrano i tanti termini romani utilizzati nella giurisprudenza moderna.

Tutto ciò è stato possibile grazie alle caratteristiche proprie della lingua latina, una lingua precisa, logica, chiara e, allo stesso tempo, nobile e capace di sottigliezze espressive (non è un caso che i Romani fossero campioni di motti, sentenze, eloquenza e retorica). Una lingua flessibile, funzionale e duttile, che ha resistito ai secoli inalterata perché codificata nel tempo e nello spazio, grazie alla quale si è potuta tramandare la sapienza degli Antichi.

Ce lo dice Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia, opera in cui è possibile ritrovare le “vere” ragioni per continuare a studiare il latino.

Nel trattato sul volgare italiano il Poeta afferma che il “sì” italico è derivato dall’espressione latina “sic est” (“così è”) ed è sempre dal latino che la parlata italiana ha acquisito quella dolcezza, quella soavità e quella musicalità caratteristiche del Dolce Stil Novo.

Più e meglio di altri idiomi il nostro si appoggia sul latino, divenendo lingua unitaria degli Italiani, pur mancando quest’ultimi di unità politica; continuando ad essere gli eredi genetici dei Romani, nonostante l’asservimento agli stranieri, gli abitanti della Penisola hanno potuto esprimere nei secoli lampi di quella sapienza ed essere faro di Civiltà.

Dal latino, infatti, dipende l’etimologia della maggioranza dei nostri vocaboli, tanto che la lingua italiana si può considerare, più che una derivazione come le altre lingua romanze, una evoluzione dal latino, una sua continuazione ininterrotta, erede diretta della lingua di Cicerone.

Ecco l’importanza che riveste il Liceo Classico per la cultura e l’identità degli Italiani, in quanto esse sono profondamente radicate nel mondo mediterraneo, culla della civiltà greco-latina - da qui la necessità di studiare anche il greco antico - a sua volta pilastro della civiltà europea.

Lo studio della lingua e della letteratura dei Romani ci riconnette alla nostra lingua antenata, impedendo la diffusione di anglicismi inutili e stimolandoci a sentire il latino come (seconda) lingua nazionale.

 

Gianluca Rizzi

 

 

Bibliografia

 

M. Ianniello, Valditara: “Reintrodurre il latino alle medie”. E perché no?, [culturaidentita.it], 14 marzo 2024.

A. Marcigliano, Il latino nelle catacombe, [inchiostronero.it], 27 ottobre 2023.

M. Corti, Un ponte tra latino e italiano, Interlinea, 2002.

I. Magli, Omaggio agli Italiani. Una storia per tradimenti, Rizzoli, 2005, pp. 25-38.

I. Borzi et al. (a cura di), Dante. Tutte le opere, Newton Compton, 1993/2007, 2 ed. 2010, pp. 1017-1070.

A. Del Ponte, Per le nostre radici. Carta d’identità del latino, Aracne, 2018.

M. Trombino, Italiani da sempre. Profilo storico e contemporaneo dell’identità nazionale italiana, Phasar, 2021, pp. 42, 141.

V. Feltri, Il latino lingua immortale. Perché è più vivo che mai, Mondadori, 2024.

 

 

 

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